Asporti non autorizzati

da "Asporti non autorizzati e altri racconti"


Gregorio Salsa si alzò dal letto nel cuore della notte. A tentoni aprì lo sportello del comodino e, al buio, cercò la cosa che in quel momento più gli premeva al mondo. La mano vagò a lungo nelle viscere del mobiletto, ma niente. Un prezioso pitale era sparito.

Ancora mezzo addormentato, poiché il bisogno urgeva, il vecchio signore, rassegnato, si diresse verso il bagno, che era al termine di un lungo corridoio. Pur nell'oscurità, gli sembrò di avere le traveggole, perché, davanti a lui, fluttuava nell'aria il suo amato vaso da notte.

Ritornato a letto, si riaddormentò di colpo, nonostante l’inquietante visione.

Solo al mattino, Gregorio Salsa si rese conto, pienamente cosciente, che il vaso da notte era definitivamente sparito. Perdita incalcolabile, perché si trattava di un manufatto di epoca Ming, dentro al quale si erano compiaciuti di versare il meglio di sé il fior fior degli imperatori cinesi.


Suonarono alla porta. L’anziana signorina Ester Mallegni l’aprì e si trovò di fronte una donna in avanzatissimo stato di gravidanza. La quasi puerpera ebbe appena il tempo di dire: “Mi aiuti, sto per partorire” che il suo soprabito si aprì. Con un abile salto acrobatico, un bimbo di circa un anno e mezzo, con un bel completino di lana blu, si slanciò dal ventre della genitrice sul pavimento e cominciò a gattonare velocissimo per la casa, arraffando con le sue manine cicciute valori, contanti e gioielli. Terminata una fruttuosa raccolta, l’infante si avviò verso il caldo rifugio materno quando la signorina Ester, riavutasi parzialmente dalla visione stupefacente, cercò di agguantare il bimbo ed il malloppo, ma le riuscì solo di strappare solo una scarpetta di lana blu (comportamento riprovevole, stigmatizzato successivamente dalla magistratura, che ebbe a qualificarlo come violenza su un minorenne).

Un ispettore di polizia, chiamato dai vicini, dichiarò di non poter arrestare la donna perché gravida, essendo il minore ritornato con la refurtiva nel seno materno.

Gregorio Salsa aveva gli occhi incollati sul grande televisore. L’anziano signore era concentratissimo su un telefilm poliziesco che era alle ultime battute. Di lì a poco sarebbe stato svelato il nome dell’assassino.

Ma il televisore cominciò a muoversi nella stanza e poi a percorrere il corridoio della casa, mosso da mani invisibili.

Gregorio Salsa si alzò dalla poltrona e, ipnotizzato dallo spettacolo cui assisteva, seguì l’apparecchio, che, pur muovendosi e pur essendo staccato dall’impianto elettrico, per ragioni misteriose continuava a funzionare.

Quando il televisore e il fedele spettatore furono al fondo del corridoio, il nome dell’assassino venne rivelato e l’apparecchio sparì.


La cronaca registrò che anche le casseforti, in teoria inviolabili delle banche della città di Gregorio Salsa, per non parlare di quelle banali casalinghe, erano state facilmente aperte. Eppure su quegli apparati di sicurezza non erano stati riscontrati segni di effrazione.

Circolò la voce, riportata dalla stampa, che la violazione dei vani blindati era stata opera di asportatori non autorizzati esoterici. Questi operatori, anche dell’occulto, non ottenevano facilmente l’apertura dei forzieri recitando un banalissimo ed abusato “apriti sesamo”. Essi pronunciavano, invece, un’arcana formula tratta da un grimorio medioevale che aveva consentito, nel periodo del suo massimo fulgore, l’istantanea apertura anche delle serrature più ostiche e complicate delle cinture di castità.


Era delizioso osservare quanti uccelli volavano felici, quasi danzando, al suono di una musica interiore che non era dato di sentire, intorno al condominio di via delle pigne n. 3.

Per rendere partecipi gli inquilini del palazzo del loro stato di beatitudine, gli uccelli entrarono nelle case.

La vera felicità non è assolutamente legata al possesso di beni materiali, così i volatili, precisamente gazze asportatrici, alleggerirono del fastidioso fardello i casigliani.

Poiché, poi, non volevano essere coinvolte nelle miserie umane legate all'avidità, le gazze si liberarono, aprendo i becchi di gioielli e valori nelle mani di asportatori ornitologi non autorizzati che, per carattere, erano inclini alla tristezza e che aspettavano confidenti in strada.

Volavano e poi sparivano dalla villetta di Gregorio Salsa oggetti e suppellettili: quadri, soprammobili, libri, mobili, elettrodomestici.

L'anziano signore era stato, prima del pensionamento, un membro influente della pubblica amministrazione. Intervenendo su amici importanti, sui quali poteva ancora contare, ottenne che un commissario di polizia e un magistrato si fermassero per un giorno intero a casa sua, per rendersi conto di persona di quello che accadeva.

Due candelabri d’argento si libravano nell’aria.

“Fermo là. Lei è in arresto” intimò il commissario in direzione dei candelabri.

“Arresti domiciliari con obbligo di cavigliera elettronica” corresse il magistrato.

“Dove abita?” incalzò il poliziotto.

“Eleggo domicilio in questa bella casa” rispose l'asportatore invisibile non autorizzato. “Ma che la cavigliera sia invisibile altrimenti diventerà un segnale visibile di una mia asserita ma non dimostrata colpevolezza. Vige la presunzione di innocenza e ne va della mia dignità.”
Il magistrato, che apparteneva a una scuola giuridica molto avanzata, annuì.


La villetta dove abitava Gregorio Salsa aveva l’aspetto, in miniatura, di un castello medioevale. Una costruzione un po’ sinistra ma, a modo suo, affascinante.

Fu così che un asportatore demolitore la ridusse ordinatamente in mille pezzi perché un asportatore ricostruttore, a sua volta, la potesse ricomporre in un altro luogo.

Gregorio si svegliò un rigido mattino d’inverno non nel suo letto ma sulla nuda terra. Era diventato, tecnicamente parlando, un senza tetto. Per poco, però, perché il giorno successivo morì per una polmonite fulminante.

Gregorio Salsa fu sepolto con tutti gli onori nella tomba di famiglia. Il sepolcro era sormontato da un artistico essere alato, scolpito in un blocco di prezioso marmo di Carrara.

L’opera d’arte fu un giorno imbracata da corde robuste e cominciò a volare, come era giusto che facesse, trasportata da un elicottero abilmente pilotato da un asportatore angelico non autorizzato.