Il pranzo
da "Asporti non autorizzati"
I due uomini sembravano conoscersi da tempo immemorabile. Erano amici di una vita, o forse più. Entrarono nella bettola per festeggiare qualcosa. Il proprietario si comportò come se aspettasse la loro venuta, non, però, in base ad una banale prenotazione. L’oste aveva un che di demoniaco nell’aspetto. Anche l’osteria aveva l’aspetto, non gradevole, di un antro infernale.
I due uomini, abitavano nello stesso palazzo. L’uno al piano nobile e l’altro negli scantinati. C’era un rapporto tra di loro come tra padrone e servo, tra ricco e povero, tra nobile e plebeo. In quel momento non davano a vederlo. Gozzovigliavano allegramente e scoppiavano in fragorose risate, ricordando fatti che risalivano a quaranta, cinquanta anni addietro.
“Ti ricordi quando ti ho preso a calci e ti ho fatto rotolare per le scale?” disse il ricco.
“Sono passati tanti anni, ma a pensarci sento il dolore di allora. Me ne ricorderò nella prossima vita.” Rispose il povero.
Erano più di duemila anni che le loro sorti intrecciate. Era iniziato quando Napoli era una prospera colonia greca. Uno dei due era il nobile e l’altro il suo schiavo. Dopo, ogni volta che i due morivano, rinascevano. E, nelle vite successive, i due invertivano i ruoli che avevano avuto nelle esistenze precedenti. Uno da povero diventava ricco, e l’altro da sottoposto si trasformava in padrone. L’azione si svolgeva sempre nello stesso luogo. In quel palazzo di via Tribunali che, epoca dopo epoca, si trasformava, veniva ricostruito, ma che non moriva mai.
Solo in un giorno della loro vita attuale, essi avevano piena conoscenza di chi erano e di come le loro anime fossero state intrecciate nei secoli. Allora andavano a festeggiare. Ritornavano, vita dopo vita, nella stessa taverna, che, generazione dopo generazione, cambiava di poco. Solo l’oste era sempre lo stesso.