La granduchessa
da "Asporti non autorizzati"
La riunione del comitato centrale del partito fu molto agitata. Il segretario generale intervenne a spada tratta nella discussione: “Compagni, per un minimo di decenza rivoluzionaria, bisogna bene intendersi. Su questa delicata faccenda il partito non può assumere una ‘posizione’, al più può seguire una linea.”
"Stiamo molto attenti alle provocazioni, la stampa borghese può ricamare su questa faccenda e infangare il buon nome di tanti bravi militanti", fece il compagno Cocilovo.
La discussione degenerò quando il compagno Milanese disse che, a guardar bene, si trattava di un’invasione, i cui effetti, alla lontana potevano anche risultare positivi per la classe operaia. Milanese era un monomaniaco vedeva invasioni dappertutto e tutte le giustificava, anche quelle di Attila e degli unni, “perché oltre che ad impedire che l'Asia e l’Europa cadessero nel caos e nella controrivoluzione, Attila contribuì in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici degli unni ma a salvare la pace nel mondo”.
Il compagno Brandani, che rappresentava il sindacato dei braccianti, categoria di lavoratori manuali rozzi e senza peli sulla lingua, non era avvezzo alle sottigliezze ideologiche e se uscì con: "Ma che cazzo dici, Milanese, tu e le tue invasioni che qui c’entrano come i cavoli a merenda".
I componenti del comitato centrale si guardavano in cagnesco. L’uno sospettava che l’altro conoscesse i termini del problema direttamente e intimamente, al di là delle burocratiche relazioni che erano arrivate dalle sedi periferiche del partito.
In una situazione analoga a quella, il compagno Stalin, luce e guida suprema del movimento operaio internazionale, avrebbe proceduto ad immediate epurazioni e, dopo processi sommari, avrebbe fatto fucilare l’intero comitato centrale, tranne, ovviamente, se stesso. Ma in quella sede, già si sperimentava faticosamente la via nazionale al comunismo, lastricata di compromessi storici, e, quindi, non si decise niente.
Ed ecco in azione la pietra dello scandalo, un momento topico, che dà conto di mille altri episodi simili. Qui lo svolgimento del racconto vuole assumere i toni del cinema neorealista, quale sommesso omaggio ai tanti compagni intellettuali registi che a quel cinema hanno dato imperituro lustro.
L'ambiente è la stanza di un lupanare di infima categoria. S’avanza, ignudo, il compagno Giulio Brandani e va verso un letto dove è mollemente distesa una femmina, se essa così si può chiamare. La femmina fa cenni di invito verso il lurido talamo e in un italiano stentato, marcato da un inconfondibile accento russo, dice: "Vieni, mio bel mugik. Mio nonno faceva lavorare i mugik come te ventidue ore al giorno e, poi, nelle rimanenti due ore li frustava a sangue."
A questo punto, Brandani, scosso da un irrefrenabile fremito rivoluzionario, e non da un impossibile impeto erotico, si butta a pesce sulla poco accogliente femmina, declamando con un bello accento emiliano-romagnolo: "La rivoluzione ha vinto. E ora il popolo lavoratore castigherà attraverso te tuo nonno, carnefice della classe operaia rurale!"
Ora è necessario fare un doveroso passo indietro. Innanzitutto, contrariamente a quanto si può immaginare da quanto fin qui svolto, bisogna premettere che la morale dell’epoca in cui si svolsero questi fatti era molto rigorosa per le ragazze di buona famiglia. Nunziata Scapece, oltre ad avere un naturale talento per le lingue straniere, se ne infischiava dell’etica corrente. Sentiva l’urgenza di darla, anche se sotto falso nome, unica concessione alle tradizioni familiari. C’era un unico problema: Nunziata era un cesso autentico. Se lei era disposta a darla, nessuno era propenso a prenderla.
Dopo tanti, frustranti, inutili tentativi, Nunziata pensò di rivolgersi a Donna Amalia, esperta di fama mondiale. Amalia era direttrice del famosissimo casino l’Internazionale, che fu frequentato, si dice, anche da Lenin.
Il caso era disperato, fece presente la tenutaria, dopo aver dato un’occhiata superficiale alla giovane.
"Sì, lo so, ma io ho una vocazione autentica" ribatté, tra le lacrime, la povera Nunziata.
Donna Amalia, provando umana simpatia e comprensione, decise di far appello alla sua consumata astuzia, pur di aiutare la forzata vergine.
Era l’immediato secondo dopoguerra, epoca di grandi passioni e pulsioni politiche. Perché le legittime attese di Nunziata fossero soddisfatte, bisognava dare alla ragazza una notevole carica ideologica. I miracoli della chirurgia plastica, infatti, erano ancora di là da venire.
Seduta stante, siccome Nunziata conosceva nove lingue, tra le quali il russo alla perfezione, Donna Amalia la fece diventare la Granduchessa Iekaterina Ivanovna Kondilova. Secondo il racconto della tenutaria, che avrebbe pubblicizzato la cosa capillarmente, la Granduchessa, nipote diretta del Granduca Kondilov, spietato proprietario terriero e terrore dei mugiki, sfuggita alla morte ed alla collera dei rossi, era scappata all’estero. Senza soldi ed aiuti, dopo che le avevano rubato anche le valigie, si era dovuta piegare e si era messa a fare la puttana.
Fu così che i maschi di intere sezioni comuniste, turandosi il naso e chiudendo gli occhi, possedevano instancabilmente la “Granduchessa”, che, per la gioia, non stava, naturalmente, nei panni.
Fu così che Nunziata divenne la stella, l’imperatrice dei bordelli, specie di quelli che operavano in zone a più intensa vocazione operaia.
Molti comunisti, pur sapendo che la prostituzione è una decadente istituzione borghese, congiungendosi con la figlia dell’odiato terrore dei mugiki, davano uno schiaffo agli autocrati e, per quella via, partecipavano, pure loro, sia pure a posteriori, alla rivoluzione bolscevica.
Nunziata si ritirò infine precocemente, ma sazia, dalle scene, per via che quello comunista era un movimento di massa, togliendo così le castagne dal fuoco dal comitato centrale del partito, che, riunione dopo riunione, non era riuscito ad individuare una linea da seguire sulla spinosa vicenda.