Questi fantasmi

da "Asporti non autorizzati"


Nicola Cinquegrana apparteneva a pieno titolo alla dinastia dei Piselli. Era conosciuto come Pisello perché, come tutti i suoi parenti, ascendenti e discendenti, aveva una piccola escrescenza circolare verdastra sul lato destro del naso. La pelle aveva una strana consistenza, come se fosse raggruppata a formare dure scaglie. Primitivo era l'aspetto di Nicola, come primitivi e selvaggi i suoi sentimenti. Solo la furbizia aveva goduto dei benefici dell'evoluzione della specie.

Ricco, era ricco. Si presentava come un umile e povero contadino, ed, in effetti coltivava una degli ultimi appezzamenti non ancora urbanizzati della località Fontanelle. Ma l'origine dei suoi possessi materiali era l'attività di usuraio, che svolgeva con passione e con violenza verso i debitori che si permettevano di non pagare o di pagare con un solo giorno di ritardo quanto gli dovevano, compresi salatissimi interessi.

Cinquegrana aveva oculatamente investito il frutto dell'usura. Aveva acquistato bar, salumerie, rivendite di giornali, mercerie, che aveva distribuito tra i componenti della vasta tribù che costituiva la sua famiglia. Non c'era, però, un solo briciolo di affetto tra i Piselli. Il primo di ogni mese, Nicola si recava in ogni negozio di sua proprietà e pretendeva dai figli, meri gestori delle attività commerciali, quanto gli dovevano. Solo con il figlio Pasquale, che era un grandissimo fetente come lui, aveva un guizzo di umanità e gli concedeva uno sconto dell'un per cento. 

L'ultima ad essere visitata era la moglie, che gestiva in suo nome una salumeria e con la quale da anni non aveva più alcun rapporto.

La moglie gli buttava addosso i soldi che doveva, addentava una cipolla cruda e, dopo avergli alitato in faccia, gli diceva immancabilmente. “Mi fai schifo.”

Non aveva sentimenti Nicola? Questo proprio no. Perché in cima ai suoi pensieri c'era la gallina Titina. Come prima di lei aveva nutrito affetto per la mamma di questa, Rosina, perita a causa di uno spiacevole incidente.

Titina, in qualche modo, faceva parte della famiglia, perché anche lei, a lato del becco, aveva una piccola escrescenza circolare verdastra.

Nicola aveva notato da tempo che Titina, libera nel pezzo di terra delle Fontanelle, aveva il capino verso l'alto e sembrava attratta da qualcosa, quasi che qualcuno le parlasse e lei partecipasse alla conversazione.

Non bisogna sottovalutare le galline. Titina vedeva qualcosa o qualcuno che Nicola non poteva vedere e parlava a qualcosa o qualcuno che l'uomo non poteva sentire. Titina si intratteneva in un'appassionata conversazione con un fantasma. E che fantasma! Quello di un tirannosauro! Il bestione, per ragioni che vedremo, aveva assunto il nome di Pio, Pio Tredicesimo, perché si era voluto dare anche un cognome.

“Un crudele destino ci ha fatti sparire dal mondo. Ma non è stato il grande asteroide a causare la nostra estinzione. In realtà è stato il mare di merda. Considera, milioni di enormi dinosauri non potevano che produrre deiezioni in quantità gigantesca. Siamo tutti affogati nel letame. 

Perciò, dico agli abitanti di oggi della Terra: fate attenzione all'ambiente, combattete l'inquinamento e, soprattutto, sorvegliate strettamente i sistemi fognari.”

“La tua è una delle tante teorie. L'unico fatto certo è che non ci siete più. È, poi, è inutile girarci intorno” diceva Titina al suo interlocutore. “Io sono la tua discendenza.”

Il dinosauro, ritenendo la cosa veramente sproporzionata, faticava ad accettare quella semplice realtà.

“E che facciamo. L'evoluzione al contrario?”

Il problema non era questo, in effetti, ma, in realtà, come era possibile che una gallina e un tirannosauro discutessero, con più o meno competenza, di quegli argomenti. Dobbiamo, a questo punto, ammettere che la teoria dell'inconscio collettivo di Jung si deve applicare non solo al genere umano, ma a tutti gli esseri viventi, comprese le piante, che hanno popolato la terra a partire dai primordi fino ad oggi.

Pio aveva informato Titina che non era solo in città, ma che al bosco di Capodimonte fantasmi di diplodoco e triceratopo passavano le notti a inghiottire fantasmi di felci giganti.

“Perché siamo qui in questa forma disincarnata? Siamo stati evocati in una seduta spiritica da una medium che voleva mostrare i dinosauri al figlio 'Mammà voglio i dinosauri, voglio i dinosauri'. Pianti, strepiti. E alla fine la medium, perché anche loro hanno un'anima, ha accontentato quel piccolo disgraziato e ci ha fatto apparire. Poi siamo rimasti intrappolati qui.

A dire il vero il posto non mi era sconosciuto. A Mergellina ho avuto i miei trionfi d'amore. 

Anche allora l'atmosfera si prestava. La Luna, il mare, i pesci che guizzavano, non quei pescetti di oggi ma certi signori pesci di trenta metri, gli uccelloni che cantavano. Lei mi aspettava in grotta sul mare, sento ancora il profumo di salsedine. Tutto è durato fino al giorno in cui preso dalla passione ho messo una coda in fallo e, in pratica, ho rotto le uova nel paniere. La strage degli innocenti l'ha chiamata lei e mi ha cacciato.

Ma ora non penso più a queste faccende materiali. Il mio spirito si è elevato. Mi sono convertito. È successo quando ho assistito a una funzione solenne. Il canto gregoriano mi ha ammaliato. Io che ero abituato agli strilli cacofonici delle foreste.

Vedi io vengo da ere senza luce, da centinaia di migliaia di anni, da milioni anni di ateismo. Lui non si era manifestato e lo capisco. Doveva dire che era fatto a immagine e somiglianza nostra?

Ho convertito anche i fratelli che sono nel bosco di Capodimonte. E quelli mi vedono come un ministro del culto.”

“Perciò guardi con interesse i pulcini,” che aveva notato certi sguardi e certe manovre equivoche di Pio verso le piccole creature.

I giorni e specialmente le notti passarono, Pio e Titina parlavano e parlavano. La loro relazione si faceva sempre più intensa.

Un mattino, Nicola andò nell'aia per prendere il suo ovetto fresco e, orrore!, vide la sua Titina che covava un uovo enorme.

Nicola, reso furente dalla mancata colazione e dalla gelosia, andò a prendere il fucile e cominciò a sparare precisamente dove gli veniva detto dall'inconscio collettivo.