Il missionario
da "Asporti non autorizzati"
Nella Napoli di fine ottocento era famosa, per la sua rettitudine e la generosità verso i poveri e gli afflitti, la contessa Filomena Righetti. Divenuta vedova dopo pochi anni di matrimonio, la nobildonna, oltre alle opere di carità, aveva atteso con grande impegno all’educazione di due figli, una femmina e un maschio.
La ragazza era docile e di buon temperamento. Era stato facile sottrarla alle lusinghe della perdizione. Avevano aiutato anche piccoli accorgimenti messi in atto dalla contessa madre. Per esempio, le gambe dei tavoli e delle sedie di casa erano state nascoste da vezzose coperture e, quando durante le passeggiate, capitava di imbattersi in un obelisco, la buona madre si affrettava a coprire gli occhi della brava ed innocente fanciulla.
Grande fu la perplessità della contessa quando, durante un devoto pellegrinaggio a Roma, le si parò davanti la terribile visione dell’obelisco che svettava inverecondo in piazza San Pietro. Filomena, sconcertata, perse attimi preziosi prima di riuscire a coprire i virginali occhi della figliuola. La manovra non passò inosservata a un buontempone che disse:
“Signo’ non si meravigli, sono quasi duemila anni che i padroni della piazza campano su quello, mica lo potevano togliere.”
Grandi preoccupazioni, invece, Filomena le aveva dal figlio maschio, Giovanni, che deperiva sempre più, non si applicava nello studio e aveva problemi alla vista.
E, infatti, nella famosa Ottica Sacco erano stati perentori: “Contessa, suo figlio ha un costante, progressivo abbassamento della vista. Se non si pone subito rimedio, diventerà cieco.”
La nobile signora Righetti esclamò: “Lo so io cosa combina questo discepolo di Satana.” E giù uno scappellotto sulla nuca del brufoloso tredicenne. “Hai sentito? Diventerai cieco. Ma tu non ci senti, tu hai le stimmate del demonio.” La nobildonna concluse minacciosa. “Ma ti aggiusterò io, stanne sicuro.”
Cosa fossero le stimmate evocate dalla contessa madre non si sapeva. Comunque, ma solo ad un’occhiata sommaria, il giovanetto non aveva corna, né coda e ai piedi calzava scarpe e non zoccoli.
Detto fatto, fu stabilito che Giovanni dovesse indossare pantaloni senza tasche sul davanti. Durante la notte, poi, doveva portare una particolare cintura, fabbricata su misura per via di una ingombrante situazione locale, per impedire lubrichi movimenti.
Ora, se si tappa una valvola di sfogo a una pentola a pressione, questa esplode, così i sogni di Giovanni divennero particolarmente agitati. Si svegliava di soprassalto e sosteneva di vedere il diavolo e di ingaggiare furibonde battaglie con quello.
La pia e nobile madre corse subito ai ripari e decise che, durante la notte, nella stanza di Giovanni fosse presente don Baldassare, stimato confessore e direttore spirituale della famiglia.
Il buon prete, quando iniziavano i notturni furori di Giovanni, scacciava il demonio con poderosi esorcismi e praticava, poi, una spirituale terapia a base di preghiere, rosari, litanie, giaculatorie, evocazioni delle esemplari vite di santi e di beati.
Tanta santa devozione, che avrebbe fiaccato Belzebù in persona, fece capitolare l’ardore di Giovanni.
Il giovane sentì una chiamata provenire dal cielo ed obbedì.
Appena ordinato sacerdote, Giovanni Righetti sentì l’imperiosa necessità di farsi missionario.
Partì verso l’Africa più selvaggia. Quella che mai aveva conosciuto l’uomo bianco.
Il missionario non era più l’emaciato ragazzo di un tempo, ma, sottratto al peccato, era diventato un uomo imponente, alto più di due metri. La sua muscolatura era possente. Con un pugno era in grado di abbattere un leone.
Piombava all’improvviso nei villaggi più sperduti. Gli abitanti provavano immediatamente terrore e rispetto per quell’uomo smisurato, con gli occhi spiritati e la lunga barba al vento.
Intere tribù si convertirono di colpo. I pochi recalcitranti furono costretti alla fede dai calci nel sedere di don Giovanni.
Il missionario scoprì che quelle popolazioni non portavano mutande. Intuì, forte anche delle sue dolorose esperienze di vita, che l’abitudine conduceva alla depravazione. Ben sapeva che i più esposti al peccato devono essere rinforzati con barriere tra loro e il demonio.
Don Giovanni, dopo la scoperta, chiese con urgenza un carico di mutande ai confratelli di Napoli. Gli indumenti dovevano essere molto stretti. Il tempo necessario per calarle doveva essere talmente lungo da raffreddare ogni peccaminoso desiderio.
La curia di Napoli capì che virtù, mutande e civiltà erano tutt'uno. Uno dei capi incaricò il prete più capace di sovrintendere alla raccolta. Il prescelto per il delicato incarico fu Enea Gualzetti, che aveva diverso orientamento spirituale rispetto a don Baldassarre.
Il padre, infatti, aveva una doppia vita. Di notte sapientemente travestito, passava di bordello in bordello, per dare libero sfogo a ciò che don Giovanni aveva represso e sublimato. Mai, comunque, commissione fu affidata a persona più adatta. Gualzetti frequentava ambienti nei quali il famoso indumento rientrava nel superfluo. Raccolse con facilità migliaia di mutande.
Giunte a destinazione nella giungla ed indossate, esse ebbero l’effetto contrario a quello desiderato. Gli indigeni trovarono che fosse estremamente faticoso abbassarle e rialzarle in continuazione. In compenso, la cosa era sommamente eccitante.
Avevano scoperto l’erotismo.
Si abbandonarono anima e corpo alle pratiche licenziose. Tralasciarono la caccia, la pesca, la raccolta dei frutti. Mandarono a quel paese il missionario.
Il povero Righetti, abbattuto dal fallimento totale, morì di crepacuore.
Solo dopo la morte, gli indigeni si accorsero che il missionario possedeva qualcosa di spropositato, di enorme sotto la tunica bianca, quello che la contessa madre aveva definito “stimmate del demonio”.
Gli indigeni vendettero quell'attrezzatura a mercanti cinesi senza scrupoli. Essi battevano l’Africa nera alla ricerca di corni di rinoceronte.
L’arnese di Righetti finalmente ebbe un’utilità. Salvò la vita a molti animali con corni afrodisiaci.
L’aggeggio, opportunamente polverizzato, fece miracoli in una vasta area asiatica. Risvegliò la passione anche nei vecchi di novant'anni.