Vita di Paoletta, la più grande cartomante napoletana
da "Asporti non autorizzati"
La seconda guerra mondiale ebbe esiti nefasti anche per i familiari di Paoletta. La povera, dignitosa ed onesta famiglia si ritrovò ad avere una componente incline a praticare il mestiere più antico del mondo.
Gli eserciti stranieri, che risalirono il tormentato suolo italiano, trovarono un sollievo nell'instancabile e competente Paoletta.
Per quella sua frenetica attività, la giovane donna ebbe l'appellativo, nel popoloso quartiere Materdei di Napoli, dove abitava, di Pompa pompa. "Pompa pompa" era il grido di scherno che si levava dai ragazzacci al passaggio della nostra amica.
L'onesta famiglia ebbe un colpo terribile, ma si rimise abbastanza velocemente, assorbendo subito l'elasticità di giudizio dei tempi nuovi.
Gli anni erano difficili. Roba da mangiare non si trovava. La carne in scatola, il latte in polvere, la cioccolata e gli altri generi di conforto che portava Paoletta, facevano comodo ai suoi parenti. Facevano dimenticare certe cose dolorose.
La guerra finì, e cominciò quella stagione, il dopoguerra, nella quale si fanno la conta delle vittime e i bilanci dei profittatori. Le cose cominciano a girare per il loro verso. Ci si lecca le ferite. Il cibo comincia a circolare con una certa facilità. Anche la povera gente comincia a stare un po' meglio. Paoletta fu cacciata di casa, essendo venuta meno l'essenzialità della sua funzione alimentare.
Gli eserciti sono tradizionalmente di bocca buona. La fortuna di Paoletta era dipesa da questo, e non certa dalle qualità fisiche della giovane, peraltro inesistenti.
Nel dopoguerra si è certamente molto più esigenti del periodo immediatamente precedente. Le truppe straniere sfollarono. Paoletta si trovò senza casa e senza lavoro.
Morsa dalla fame, si sentì addentare anche dal sacro fuoco dell'arte. Un suo vecchio amico prosseneta, al quale la donna aveva donato tanto, si era dato all'organizzazione di spettacoli di varietà.
Paoletta entrò a far parte di un complesso di ballo, che batteva, insieme con una compagnia di vecchi guittacci, i paesi più sperduti dell'Italia Meridionale.
Paoletta e compagne erano anche chiamate "quelle dei pomodori", per via di quello che dovevano ricevere in scena.
I tristi anni passati nella compagnia di giro valsero a farla dimenticare nell'ambiente pettegolo e un po' paesano del quartiere Materdei. Così, Paoletta, che non ne poteva più di essere presa a pomodori ed ortaggi su palcoscenici di quart'ordine, abbandonò il varietà, e riuscì a farsi riammettere in famiglia.
La donna non poté, però, dimenticare l'arte.
Il cinema cominciava a togliere spettatori agli spettacoli di rivista. Il vecchio amico prosseneta, don Antonio, cambiò nuovamente mestiere. Si diede ad organizzare spettacoli di piazza ed a partecipare con carri allegorici alla festa di Piedigrotta, che ogni anno, a settembre, si teneva a Napoli. Questa festa aveva, come il Carnevale di Viareggio, il suo momento culminante, nella sfilata di carri allegorici.
Don Antonio, capeggiando il comitato organizzatore che si occupava di allestire il carro di Materdei, offrì il ruolo di figurante principale a Paoletta.
La Pompa pompa, inguainata la sua magrezza spaventosa in una calzamaglia color carne, doveva fare la sua sconvolgente apparizione da un'enorme conchiglia che si apriva e, poi, naturalmente si chiudeva. Per dare un attimo di respiro alla popolazione. Doveva essere un'allegoria sulla nascita di Venere.
Quegli anni, a forte vocazione democristiana, erano estremamente conservatori, quanto a morale. Il potentissimo parroco di Materdei insorse contro il lascivo spettacolo. Il sacerdote la ebbe naturalmente vinta. L'ex prosseneta, elastico e fantasioso, trasformò, l'allegoria "Nascita di Venere", nella meno mitologica: "Una vongola verace a Mergellina". Dalla conchiglia usciva sempre Paoletta Pompa pompa, ma questa volta irriconoscibile, combinata com'era sotto le spoglie del mollusco. Per mostrare la sua freschezza, la vongola sputava allegramente addosso ad un energumeno che, travestito da Nettuno, la infilzava con un tridente.
Dopo il successo di "Una vongola verace a Mergellina", la vita artistica di Paoletta praticamente finì. Oziava in casa e non era una gran bella vita. Periodicamente, il passato riaffiorava e gridava vendetta. Non portava più ai familiari carne in scatola, latte in polvere e cioccolata. Gli insulti si sprecavano. Le fischiavano le orecchie al grido continuo di epiteti come "zoccola di qua" e "zoccola di là".
Esasperata e ferita, abbandonò nuovamente la casa paterna. Scoprì finalmente la sua vera via, che era precisamente quella che aveva interrotto al termine del periodo bellico. Ci fu, però, un deciso cambio di specializzazione.
Un vecchio sergente americano di colore, esperto di scienza dei mercati, nelle tante notti passate insieme anni addietro, le aveva aperto gli occhi sui concetti elementari di quella disciplina economica. Paoletta sapeva benissimo che non era avvenente. Era, per la precisione un cesso autentico. Non era neanche più giovanissima. Non poteva, quindi, fare breccia su fette indistinte di maschi in calore. Doveva scegliere un preciso segmento di mercato e specializzarsi. Fece la sua brava scelta, e si dedicò agli ultraottantenni moribondi, in cerca dell'ultima consolazione.
Paoletta, nella sua nuova attività, non si attirò il disprezzo che i cosiddetti benpensanti riservano alle donne di strada. Anche i bacchettoni più pervicaci ammisero che l'attività di Paoletta aveva una penetrante connotazione missionaria e assistenziale.
Gli anni cinquanta erano ancora contrassegnati, e si era purtroppo sul finire di quei legami, da una notevole saldezza dei valori familiari. I nonni erano ancora nelle famiglie, rispettati, venerati, assistiti amorevolmente e accontentati anche nei più vergognosi ultimi desideri. Così, quando un vecchio nonno esprimeva l'ultimo desiderio, la famiglia tutta si faceva in quattro per accontentarlo.
Nel caso di Paoletta, si chiamava prima il sacerdote per l'estrema unzione, e poi si passava alla soddisfazione del desiderio. Naturalmente, nella confessione che precedeva l'estrema unzione, si faceva fare totale ammenda al vecchio morente. Non solo di tutti i peccati più antichi, ma anche di quello che il nonno avrebbe commesso di lì a poco.
Così Paoletta, ostetrica all'incontrario, ottenne la fiducia ben riposta di decine e decine di famiglie. Il suo biglietto da visita, il suo nome, il suo numero telefonico circolavano nelle case che conservavano e custodivano gelosamente i vecchi valori.
Poiché non si trattava di un atto lascivo o lubrico, ma, bensì, del soddisfacimento legittimo di un ultimo desiderio, tutta la famiglia assisteva a quello che era, praticamente, un rito.
Paoletta, che ora veniva chiamata con rispetto Signorina Pompa pompa, indossava il camice bianco. Faceva scoprire il vecchio, e si chinava su di lui. I parenti aspettavano con trepidazione. A volte, dopo ore ed ore di appassionato ed instancabile intervento, Paoletta veniva felicemente a capo della situazione. Esausta, si toglieva il camice bianco. I parenti le si stringevano intorno, la facevano sedere nella poltrona più comoda, vicina al letto del nonno. Aspettava con gli altri. Ormai anche lei era una parente, anche se acquisita. E quando il vecchio moriva, di lì a poco, la baciavano con affetto. "L'avete fatto morire contento. Grazie."
Paoletta entrò un giorno in casa del Barone di Pompeo. Avvertì subito qualcosa di diverso, rispetto alle altre famiglie, fino allora frequentate per la sua amorevole missione.
Paoletta non sbagliava. In quella casa covava un sordido e spregevole interesse. I nipoti del barone non l'avevano chiamata per soddisfare l'ultimo desiderio del vecchio e già porco nobile, bensì per accelerarne la morte.
Ignoravano, gli ignobili individui, che nell'operare di Paoletta c'era qualcosa di miracoloso. Ma quei fetenti, sessuofobi per tradizione religiosa, non sapevano che quello fisico è una delle espressioni più alte dell'amore cosmico. Non erano a conoscenza, inoltre, del fatto che nella Pompa pompa erano presenti, ma da lei non consciamente utilizzati, formidabili poteri occulti.
Così l'amorevole lavoro si trasformò in un effetto controproducente per gli avidi parenti. Quando Paoletta ebbe felicemente finito, il Barone, aprì gli occhi, saltò come una molla dal letto, e scese a terra. Confessò di aver avuto un'esperienza fuori dal corpo, di quelle che precedono e accompagnano la morte. Uscendo dal suo corpo, era stato avvolto da una luce intensa. Aveva visto Paoletta che gli recava conforto. Intorno al suo letto, aveva avuto una chiara visione dei nipoti, intenti a fissare gli orologi. Era penetrato nelle loro menti, ed aveva letto: "Ma quando muore questo vecchio di merda, e ci lascia finalmente tutto?"
Avvolto dalla luce intensa, il Barone aveva sentito una voce cosmica: "Sai che facciamo, Pompeo? A questi fetenti glielo mettiamo a quel servizio."
Detto fatto, Pompeo di Pompeo era rientrato nel suo corpo. Ora era lì a chiedere, anzi a pretendere un prete che lo sposasse, in articulo mortis, con Paoletta.
Il Barone di Pompeo, dopo il matrimonio, visse altri due anni. Ebbe il tempo di ricevere molte altre volte il conforto delle amorevoli attenzioni di Paoletta. La donna si dedicava tutta a lui. Il nobiluomo era stato, oltre che un grande porco impenitente, anche un formidabile conoscitore dell’intero scibile occultistico. Per riconoscenza, indirizzò amorevolmente la moglie alla conoscenza delle arti magiche. La plasmò e la sgrossò.
Quando morì, era presente la sola Paoletta. Nessun nipote si fece vivo, neanche ai funerali. Erano stati avvertiti che il vecchio aveva nominato erede universale Paoletta.
Pompeo aveva anche messo la donna in una botte di ferro, al riparo da accuse di circonvenzione di incapace. Il vecchio in quei ventiquattro mesi aveva dato anche i quindici esami che erano rimasti per settant'anni un ostacolo tra lui e la laurea in giurisprudenza, tanto sognata e sospirata dai suoi genitori.
Ormai ricca sfondata, Paoletta acquistò la grande villa S. Vincenzo con un enorme giardino nel suo antico quartiere di nascita. Avrebbe potuto continuare a vivere nell'elegante e raffinata via Crispi, dove era la dimora del defunto barone suo marito. Ma non lo fece. Schifava troppo i ricchi, gli arricchiti e i nobili.
Naturalmente, non ebbe più esperienze con la sua antica professione. A tempo perso avrebbe voluto, ovviamente senza compenso, portare l'ultimo e definitivo sollievo a qualche vecchio meritevole, ma i costumi erano cambiati. Moltissimi degli anziani erano ricoverati in inospitali ospizi, e di qualcuno, che era ancora tollerato in casa, nessuno se ne fregava niente. Ci si accorgeva solo a cose fatte. "Toh, guarda, finalmente è morto quello scassambrello del nonno!"
Ora Paoletta poteva mettere a frutto tutto il sapere esoterico trasmesso da Pompeo di Pompeo.
Paoletta diventò cartomante. Esercitò la professione alla grande. Non usava i normali tarocchi, che anche il più sprovveduto maghetto può acquistare dal tabaccaio. Assunse una frotta di persone, ognuno con una storia alle spalle, che si collegava in qualche modo con ciò che doveva rappresentare.
In pratica, usava, per quelle che chiamava le sue smazzate o i suoi giri di carte, dei tarocchi animati. Persone autentiche che giravano da sole sul tavolo della vita, per dare a Paoletta l'ispirazione per emettere responsi, gratuiti, sui problemi che le venivano sottoposti.
La bella villa, che Paoletta, ora Madame Pompa pompa, aveva acquistato, era molto grande. Aveva, al piano nobile, una grande terrazza. Là si accomodava la ormai nobile cartomante, insieme alla persona che era venuta a consultarla.
La persona in attesa del responso esponeva il suo problema. Paoletta si concentrava e diceva ad alta voce, quasi gridando: "Ora mischio le carte."
Giù, in basso, sul prato del giardino, i ventidue arcani maggiori personificati, ciascuno dei quali reggeva una cornice, per far ben capire che era una carta, si mischiavano.
C'erano momenti di vera e propria ressa, e, in qualche caso, se la questione posta lo richiedeva, di autentica rissa, fatta di mazzate e di spintoni. C'era, in questo, qualcosa che andava ben al di là dell'esoterico, per investire la vita nella sua tragica tangibilità. Nei casi umani, infatti, gli elementi, le spinte reali, si accavallano, si spingono, si urtano, fanno a mazzate. Questo perché, alla fine, certe cose, o buone, o cattive, o neutre, prevalgono ed al termine un elemento trionfa sugli altri, per dare origine al destino.
Così le carte animate si prendevano a botte per emergere tra le altre, e permettere a Madame di capire. Paoletta aveva bisogno di leggere solo sette carte. Esse si dovevano andare a disporre a mo' di triangolo. La carta che si trovava al vertice costituiva il responso definitivo. Ma le altre sei, studiate nella posizione che avevano raggiunto, non erano inutili. Ciascuna di esse illuminava sul presente del consultante, sugli ostacoli che incontrava, sui suoi affetti, sulle sue possibilità e così via.
Madame praticò per molti anni, disinteressatamente ed efficacemente, la sua opera di cartomante. Fu sempre felice e serena, fino a che la morte non la colse nel sonno, dolcemente, senza farla soffrire.
Andò anche a quel servizio ai suoi parenti, ma non lo fece deliberatamente. I familiari, attratti dalle sue notevoli sostanze, si erano negli ultimi tempi riaccostati a lei. Paoletta, generosa come sempre, non li aveva respinti. Ma quell'opera si era rivelata ugualmente inutile per i parenti, che non avevano trovato nessuna eredità da spartire.
Tutto il patrimonio era stato consumato. Come avrebbe altrimenti Paoletta potuto mantenere più di ventidue figuranti a paga sindacale, con contributi regolarmente versati per la qualifica di arcani maggiori?