Il pranzo per il popolo
da "Asporti non autorizzati"
Al tempo della dominazione spagnola, agli inizi del 600, l’ultimazione del palazzo reale veniva perennemente ritardata.
Il viceré don Antonio B., ai fastidi della sua residenza in continua costruzione, ne dovette aggiungere altri. Sua figlia maggiore stava per sposarsi. Erano spese su spese. Don Antonio era un avaro della peggiore specie.
Lo avvisarono che, in occasione delle nozze, doveva offrire, con i suoi soldi, un pranzo per la popolazione più povera.
Il viceré ebbe una mazzata in testa.
“E quanti sono?” chiese.
“Tanti. E, secondo la tradizione, non bisogna sfigurare, eccellenza.”
“Si può preparare un pranzo leggero? Non vorrei che, quella buona gente, disabituata a mangiare, avesse dei problemi con la pancia.”
“Leggero? Potrebbe anche andare. Ma che sia fastoso, eccellenza.”
Lo sposalizio andò benissimo. La cerimonia era costata un occhio della testa a don Antonio.
La povera gente era desiderosa di mangiare decentemente, almeno per un giorno. Molti fecero a botte pur di sedersi a lunghissimi tavoli di legno, disposti nella piazza antistante il palazzo reale.
Don Antonio aveva fatto le cose in grande. Decine di servitori portarono selvaggina, interi quarti di bue, maiali arrosto.
E la leggerezza?
Ebbene, questa consisteva nel fatto che tutto quel ben di Dio era finto, scolpito nel ghiaccio fatto venire dalle montagne.
Ci furono momenti di tensione. Stava per scoppiare una rivolta. Il capopopolo Junno mise a tacere anche i più scalmanati e impose:
“Mangiate!”
Il giorno seguente Junno fece trovare una botte davanti al palazzo reale. Era un regalo del popolo non per gli sposi, ma per don Antonio.
Un cartello spiegava: “Eccellenza, il popolo ha pisciato alla vostra salute. Perdonate la qualità. Ma anche la selvaggina, i quarti di bue e i maiali che ci avete fatto mangiare facevano schifo.”