Colomba

da "Asporti non autorizzati"


Non ninna nanna ma tango


Non so se Carlos Gardel fu mai da vivo a Napoli. So per certo, però, che il grande cantante argentino ci fu da morto. C'è una leggenda che lo dice. Credo che le leggende abbiano sempre una solida base di verità. Il fatto che la leggenda sia nata nei bordelli napoletani non toglie nulla alla mia convinzione. Non sono un benpensante.

La storia diceva che quando, a notte fonda, l'ultimo cliente si allontanava sfuggente, la puttana tornava a letto. Tornava, perché già c'era stata tutto il giorno. Il letto non era un amico, non era un luogo di un giusto riposo. La puttana chiudeva gli occhi. Ma il primo sonno era subito tormentato. La poverina era agitata. Un incubo maligno. Sentiva il peso di un macigno sul petto, poi di un altro e di un altro ancora. Le mancava il respiro e si risvegliava piangente e quasi soffocata.

A questo punto della notte, appariva un fantasma gentiluomo, elegante, bello, in abito da sera.

Aveva i capelli impomatati e un guanto tra le dita. Con fare da gran signore, si sedeva presso il letto. Con un gesto gentile faceva cenno di tacere. Accarezzava i capelli della donna. Prendeva la mano nella sua e intonava un canto. Sempre lo stesso. Parlava del tango che riscatta. La ragazza si addormentava. Pareva serena. Il buon fantasma dava un bacio sulla fronte e si allontanava non sfuggente, verso l'alto.

La cravatta e la rosa


Il fantasma che consolava saliva e scendeva, per la sua missione, le scale dei bordelli. Ignorava gli uomini bestialmente eccitati. Salutava solo uno sfregiato, che aveva occhi buoni e disperati.

Può accadere in quei luoghi che ci sia anche un cliente gentile. Lo sfregiato lo era. Scacciato per la sua bruttezza da ogni donna rispettabile, soffriva. Cercava amore a buon mercato. Non quell'amore che era solo una carnale allegoria, ma un amore, un affetto che sembrasse vero.

Recitava ogni sera una commedia. Portava sempre rose di stoffa e una cravatta di seta rossa. Chiedeva ad ogni ragazza: "Giochiamo a San Valentino. Io dirò: 'Auguri, mia cara, ti amo'. E ti darò il mazzo di rose. Tu mi bacerai. Poi tu mi dirai: 'Anch'io ti ho pensato'. E mi darai questa cravatta con un cuore sgargiante".

Per molto tempo fu San Valentino, ogni sera. Fin quando l'uomo sfregiato incontrò un pappone ubriaco.

Il pappone non pensava che avrebbe perso un ottimo ed innocuo cliente. Lo strangolò con la cravatta sgargiante, così, solo per un bestiale piacere. Poi gli infilò una rosa in bocca. Disse: "Finalmente sei più bello."

Il Fantasma Cantante


Il fantasma elegante che cantava, per pietà, nei bordelli, veniva da molto lontano. Dal cimitero di una città nella quale le voci ed i canti non si spengono mai, neanche di notte. Era morto nel fiore degli anni. Il suo ricordo era rimasto immutato nel tempo. Portavano ancora fiori alla sua statua, venerata come quella di un santo.

Un giorno una madre piangente gli mise tra le dita di pietra la fotografia della figlia scomparsa.
"Ti prego, signore del tango, fammi trovare mia figlia."

Dietro quel ritratto c'era il dramma di tante ragazze. Erano lusingate con false promesse di una vita facile, come modelle, attrici del cinema. Venivano strappate alle loro case e portate in paesi lontani. Qui venivano percosse, violentate, costrette con la forza a fare le puttane.
Il famoso cantante aveva dita di pietra, ma ancora un cuore palpitante. Conservò con cura la foto nell'abito da sera e partì per altri continenti, paesi, città. 

La madre gli aveva portato sulla tomba un dono gradito, molte sigarette della sua marca preferita. Quelle sigarette non avevano l'aroma abituale, ma sapevano di amaro.

Fu in molte città, il fantasma. Il suo era un compito ingrato. In un mercato globale le povere ragazze venivano spostate come merci, laddove erano richieste e davano maggior profitto. Infine arrivò a Napoli. 

Il Collezionista


Il fantasma galante aveva conosciuto un vecchio, appassionato di tango, chiamato "il collezionista". Al vecchio non piaceva quel nome. Diceva: "Se proprio volete, chiamatemi l'umanista".

Non usava mai il nome "puttana", ma, con il rispetto che avrebbe portato anche ad una suora, le chiamava "signora" nella loro lingua.

Lo conoscevano bene nei bordelli e nelle vie oscure. Ridevano un po' di lui e delle sue strane richieste. Ma non rifiutavano quando chiedeva alle ragazze, specie a quelle nuove, che, in ossequio allo spietato mercato globale, venivano dai posti più lontani:

"Accosta alle labbra il mio fazzoletto. È immacolato come la mia anima"

Il vecchio guardava, poi, i quadrati di stoffa. Solo l'inoffensivo e strano feticista era in grado di scoprire qualcosa. Tra i rossetti stampati, vedeva delle note. Portava, poi, i fazzoletti alle orecchie. Sosteneva che dai teli sgorgassero musica e canti.

Il collezionista – umanista spiegava: "Ogni donna porta nel cuore l'idea della sua terra. L'idea, arriva sulla bocca con i sospiri e si trasforma in note e in canti."

Il vecchio conservava un fazzoletto con più amore. La stoffa portava impresse le labbra di una donna di un altro emisfero. A chi aveva cuore, quelle labbra cantavano un tango triste, sentimentale.

Il fantasma cantante vide quel fazzoletto. Anche lui sentì le note angoscianti. Capì di essere sulle tracce di chi doveva trovare per la preghiera di una madre.

Il cavaliere d’argento


In una stanza buia e fetida, la ragazza non riusciva a farsi una ragione di quello che le era capitato. 

"Sono colpe la bellezza, la giovinezza? Eppure, per queste colpe, mi trovo reclusa qui. Sono stata ingannata e strappata alla mia casa, alla mia famiglia, a mia madre. 

Mi hanno costretto a quello che chiamano amore, ma non è quell'amore che avevo sognato. Sono disperata. Ballo impazzita. Non c'è musica. La pista è tra il letto e l'armadio. Ho un solo compagno innocente. È un insetto d'argento. Va senza una meta, tra la carta del muro scrostato. 

Cavaliere d'argento, muoviti, ti seguo. Ma non sai dove andare, forse, non sai neanche ballare.
Cerco di seguire il tuo cammino. Ma tu balli una danza senza regole, come la vita. Eppure, per un momento, dimentico il dolore.

Poi, all'improvviso, s'abbassa la maniglia della porta. Ritorna il terrore. Guardo la maniglia come scende. Lentamente, o con uno strappo deciso, violento. Capisco chi mi troverò di fronte. Un timido vizioso o un violento, un prepotente.

Ti prego, Cavaliere d'argento, sparisci, per qualche momento, sotto la carta del muro scrostato. Ho vergogna per quel che farò. Ho vergogna per te, mio Cavaliere innocente.”

Colomba


La ragazza capì, alla fine, che nessun cavaliere, neanche quello danzante, d'argento, la poteva salvare. Non aveva le ali, ma volle provare che senso avesse librarsi, finalmente libera.

E si liberò, lanciandosi dal decimo piano. Per un momento, uno solo, fu verso il sesto piano, si sentì Colomba. Poi cadde al suolo, nel sangue.

Il fantasma gentile arrivò troppo tardi. Guardò la foto. Era lei. Spezzò la sigaretta tra le mani. Si inginocchiò vicino alla ragazza. Le accarezzò i capelli e intonò una dolce canzone.

Colomba morì così, tra note belle e tristi.

Variazioni sul tango


Il cantante si rialzò affranto. Quella che era stata Colomba, con un impercettibile fruscìo, gli fu vicina. Non era più viva, era un'ombra. Vennero altre straniere, anch'esse scolpite in qualcosa di impalpabile, anch'esse morte dopo essere state forzate a una lurida vita.

Erano mute, intorno al cantante. Le aspettavano in cielo, ma erano piene di dolore. Un dolore pesante come un piombo maligno che le teneva strette al suolo. Non potevano volare.

"Ballerete con me - disse il cantante sublime - nel tango c'è redenzione. Il tango, poi, non è imperialista. Si sposa con ogni cultura. Non pretende di fare conquiste.”

Partirono dalla Ferrovia. Dopo un lungo cammino arrivarono al Largo di Palazzo. La piazza era deserta. Ci doveva essere da qualche parte un'orchestra. Ma era nascosta.

L'orchestra attaccò presto, subito dopo il loro arrivo.

Il cantante si inchinò alle donne.

Baciò, per prima, una mano scura, e iniziò a ballare. Era un tango strano, con echi di tamburi, e rumori di foreste e di savane.

Cambiò, poi, il motivo, e a ballare fu chiamata un'ucraina. Si sentirono suoni di strumenti a corda e si avvertì il frusciare delle spighe di grano al vento.

Il fantasma danzò, quindi, con chi era stata ungherese. Un violino solista quasi sommerse l'orchestra.

Toccò, infine, a Colomba. Qui il tango, naturalmente, si levò sempre più puro. L'eco arrivò a una madre lontana, che piangeva disperata.

Variazioni su una vita


Il cantante si rivolse alle donne: "Siete tornate di nuovo serene. Non è ancora tutto. Non è giusto che sulle vostre tombe, sotto il nome e due date, sia scritto: 'puttana'."

Come per incanto apparve un'ombra non lunga. Si trattava di uno che era stato scrittore di favole. Ora era un correttore. Correggeva la vita della povera gente. Riscriveva in bella copia anche la storia più brutta. Come doveva essere, ma non era stata. Lavorava sui sogni giovanili e sui castelli in aria.

Lo scrittore guardò la ragazza nera. Lesse nel cuore e gli venne subito l'ispirazione: "Modista. Sei stata una modista di grande successo. Hai creato cappellini eleganti per gente dello spettacolo ed anche per una regina."

Un'ucraina fu una diva del cinema. Era stata un'attrice importante ed aveva lavorato con registi affermati.

L'ungherese, che aveva una voce bene impostata, diventò una cantante acclamata in tutti i teatri d'opera.

Il correttore voleva occuparsi di Colomba. Un gesto gentile del cantante lo fermò.

Il fantasma disse a Colomba: "Appari in sogno a tua madre. Dille che sei stata la mia amata sposa. Te ne andasti per un grave male, lasciandomi nel dolore."

Ballarono di nuovo. Poi le donne, redente dal tango, non più vinte, partirono. Furono spinte da un dolce vento.

In mano avevano una pergamena con le parole più giuste per le loro lapidi, in cimiteri lontani.
Alla fine il cantante volò insieme a Colomba.

La donna era felice di essere stata sposa anche se solo in una canzone. Sarebbe stata riportata a sua madre, in un sogno, insieme ad un'ultima sigaretta, mai accesa.