Quartiere Venezia
da "Asporti non autorizzati"
Le pizzerie di Napoli sono di diversi tipi. Ci sono quelle adatte a un pubblico popolare, per lo più di appassionati di gioco del cricket. Qui vi sono, in bella mostra, sciarpe delle squadre e campeggiano i ritratti dei campioni di quello sport. Poi vi sono le pizzerie frequentati dagli intellettuali. Qui è possibile ammirare, su austere pareti di legno di quercia, le rappresentazioni di uomini di ingegno che hanno lustrato la città e il Regno, come Giambattista Vico, l'abate Galiani, Giambattista Basile ed altri maggiori. Ma la pizzeria più scanzonata è senz'altro "Lo cunto de li cunti" dove servono pizze intitolate agli eroi dell'opera del Basile: Zezolla, Petrusenella, Cenerella… effigiate anche su stampe antiche che adornano le pareti.
Il gioco del cricket fu portato a Napoli dal capo della legazione britannica McNamara. Dopo la fallita invasione del Garibaldi, foraggiata proprio dagli inglesi, i rapporti tra Gran Bretagna e Regno delle Due Sicilie arrivarono quasi al punto della rottura diplomatica. Fu l'attivismo dell'ambasciatore McNamara, che vivificò i rapporti culturali e anche sportivi, a riportare le relazioni nell'ambito dell'ordinarietà. Giocò ovviamente anche qui l'intelligenza politica della nostra amata sovrana, Maria Sofia.
L'oste Peccariello inventò un nuovo tipo di pizza, davvero molto gustosa. Gli ingredienti erano semplici: mozzarella, pomodoro, foglie di basilico. L'uomo si recò a corte e tanto insistette che riuscì a farsi ricevere dalla Regina per farle assaggiare il nuovo manicaretto. La sovrana apprezzò.
"Maestà, consentitemi di dare il vostro augusto nome alla mia preparazione. Pizza Maria Sofia" chiese il Peccariello, inchinandosi.
Vi fu un imbarazzato silenzio, superato dall'intervento della dama di compagnia di Sua Maestà.
"Non mi sembra opportuno conferire il nome di una regina a una preparazione culinaria… forse in altre corti, più alla buona..."
La situazione fu risolta dalla Regina che intravvide una camerierina che era entrata, senza che le fosse consentito, nello studio reale e che, goffamente, tra mille inchini, cercava di battere in ritirata: "Vieni avanti, carina. Non ti preoccupare. Desideriamo semplicemente sapere come ti chiami."
"Margherita, Maestà."
"Ecco risolto, la pizza si chiamerà Margherita, proprio come questa nostra fedele collaboratrice."
Le relazioni tra il Regno delle Due Sicilie e la neocostituita entità territoriale cispadana al nord, ebbero un lungo periodo di raffreddamento, se non di vera e propria ostilità. Era innegabile che dietro la fallita invasione del primo vi era lo zampino, oltre che dell'Inghilterra, anche e soprattutto, del Piemonte. Ma si sa come vanno le cose della diplomazia, e dodici anni dopo quegli eventi, disastrosi per il nord, si tentò una riappacificazione, quantomeno di facciata.
Vittorio Emanuele, come a Canossa, organizzò una visita di stato a Napoli. Maria Sofia lo accolse con freddezza, ma senza venir meno ai doveri di ospitalità.
I problemi sorsero con il capo del cerimoniale della corte napoletana, che doveva curare ogni dettaglio della visita. Si sapeva che il sovrano cispadano soffriva del mal priapesco. Si svegliava a notte fonda, necessitando di una donna come medicina per la sua infermità. L'altro problema era che la strumentazione a disposizione di Vittorio Emanuele era veramente spropositata, per cui non era facile trovare una dama disponibile ad accoglierlo. La scelta cadde su Fragolina, emigrata dalle depresse aree del novarese, nota baldracca, che celava in sé una lunga cavità, per la quale la donna era anche soprannominata “Canal Grande”.
Ripetuti incontri notturni ebbero luogo tra Vittorio e Fragolina durante la visita di Stato. La cosa si riseppe e un patriota fotografo duosiciliano, Giuseppe Majello, si celò nella casa di malaffare e riuscì a scattare numerose foto del sovrano cispadano, nudo come la sua augusta madre lo aveva fatto. Il Majello, con la riprovazione della regina Maria Sofia, fece circolare quelle foto in tutte le corti europee, dove si commentò, che con le armi da guerra a sua disposizione, il Savoia avrebbe potuto conquistare l'intero continente.
Un gruppo di studenti della Reale Università, in occasione della visita del Savoia, organizzò una manifestazione tesa “A voltare definitivamente pagina, dopo i guasti della guerra per affermare i valori della pace e della coesistenza pacifica.” L'ambasciata cispadana, però, protestò vivacemente, non cogliendo lo spirito profondo dell'ansia di riconciliazione propugnata dai giovani studiosi.
Comunque, per dare visibile dimostrazione dei principi che li animavano, gli studenti portarono in corteo, tra cori e canti adatti alla circostanza, come “viva Vittorio Emanuele, re cispadone”, il "Monumento semovente e in parte equestre del padre della patria cispadana Vittorio Emanuele".
La memoria tridimensionale riproduceva, a grandezza naturale, il terribile e spaventoso spadone del sovrano cispadano, dal quale si dipartiva un gioioso zampillo. A giudicarlo con gli occhi del contemporaneo, l'opera potrebbe essere classificata come un mirabile e sublime esempio di arte protofuturista, per via, principalmente, della dinamicità dello schizzo.
È stato arrestato ieri Ezechia Amoroso, noto medico ed antropologo criminale, professore della Reale Università. L'accademico, che ha condiviso con studiosi di altre nazioni la teoria del delinquente nato, è stato sorpreso nel cimitero di Pontelandolfo. Il professore aveva profanato la sepoltura del famigerato bandito Giuseppe Garibaldi.
La forza pubblica ha trovato l'Amoroso in stato di grande eccitazione. Egli aveva in mano il cranio del nemico della nazione duosiciliana e gridava. "L'ho trovata, l'ho trovata. La mia teoria è confermata. Come sospettavo il criminale Garibaldi era un delinquente nato."
Trasferito nelle prigioni di Benevento, l'Amoroso è stato interrogato dal Procuratore Reale. Ha spiegato che il cranio del Garibaldi presentava in tutta evidenza la fossetta occipitale mediana.
Chi possiede una tale particolarità anatomica è uomo tristissimo, ipocrita, astuto ma non intelligente, in una parola è un delinquente nato.
L'accademico ha poi spiegato che intendeva esporre il cranio del noto bandito nel Museo Criminale.
In via sperimentale gli atti di governo cominciano ad essere redatti nella lingua franca duosiciliana. Il noto guitto e teatrante Eduardo Scarpetta, volendosi adeguare per pura piaggeria al nuovo orientamento linguistico, ha rappresentato la farsa "Le corage de un pumpero neapolitan".
Dalla Corte gli è stato fatto presente di astenersi da simili iniziative. Quando una lingua, come è accaduto per il nobile parlare napoletano, diviene strumento ad uso dei lazzi dei filodrammatici, essa è perduta, divenendo solo puro gergo per far ridere, a discredito, poi, dei suoi parlanti. Non si desidera che la nascente lingua franca abbia lo stesso destino.
D'altronde, proprio a proposito dello Scarpetta un severo critico teatrale del quotidiano "L'Unione napolitana" ebbe a scrivere: "Cosa ci dobbiamo aspettare più da Eduardo Scarpetta? Non mi meraviglierei se in una sua farsa introdurrà un nuovo personaggio, un esploratore britannico, abbigliato con un chepì coloniale, che porti specchietti e perline colorate al buon selvaggio napoletano."
Sua Maestà Francesco II prega. Quasi tutto l'anno visita i monasteri del Regno, anche i più piccoli e remoti. È segno di grande religiosità e di una ricerca continua, volta alla scoperta del santo luogo dove, per longitudine, latitudine, altezza sul livello del mare, microclima, ventosità, le orazioni possano più facilmente raggiungere il Cielo. Nel luogo ideale si fermerà, per la definitiva salvezza della sua anima.
Il generale Paolo Avitabile, conosciuto come il terribile Abu Tabela nelle lontane plaghe d'Oriente persiane ed afgane, ritornato in patria come un eroe, aveva rifiutato le profferte dei suoi avidi congiunti, che intendevano dargli in sposa una nipote, per mettere le mani sulle ricchezze accumulate. Presi a calci nel deretano i parenti, che giungevano a frotte dal natio paese di Agerola, aveva acquistato un palazzo nobiliare in via dei Tribunali e lì aveva installato la sua piccola corte, fatta di fidati domestici e di servizievoli odalische, che aveva portato con sé da lontane ed esotiche terre. Ed il nostro viveva tra ozi e piaceri, agevolati dall'uso sapiente ed accorto di un preparato a base di lytta vesicatoria. Il generale, impegnato a trattare certi suoi piacevoli affari, aveva seguito molto distrattamente la risalita dei garibaldeschi e poi il proditorio intervento delle truppe piemontesi. Ciò fino al giorno in cui un fetente di un garibaldino, attratto da certe esotiche ed erotiche storie, che circolavano nei vicoli di Napoli, era penetrato nel suo palazzo e gli aveva stuprato una delle più care odalische.
Era una di quelle azioni intollerabili che risvegliavano l'antico e spietato spirito di Abu Tabela, colui che aveva domato curdi e afgani con impiccagioni, impalamenti e squartamenti. Non ci volle molto all'eroe d'Oriente per radunare un esercito, collegato anche ai gruppi messi insieme dai generali Crocco e Borges.
Maestro nell'uso sapiente dell'artiglieria, Avitabile, sgominò i piemontesi. Ruppe l'assedio alla fortezza di Gaeta, arrestò gli ufficiali savoiardi, e costrinse la massa degli invasori alla ritirata. Garibaldi, vero tontolone testardo, radunò i suoi per affrontare l'esercito messo in piedi da colui che era stato il terrore di Peshawar. Mal gliene incolse. Avitabile, a cui bruciava ancora l'offesa recata al suo onore di proprietario di odalische, non ebbe pietà e fece fucilare il delinquente nizzardo e i suoi tristi accoliti. E a quella marmaglia andò anche bene perché ad alcuni "privilegiati" Avitabile riservò il trattamento da lui riservato ai più “meritevoli” afgani, e fece impalare Nino Bixio a Bronte e lo spietato generale Cialdini nella fortezza di Gaeta.
La legittima corte non riprese subito possesso del suo potere. Abu Tabela ebbe il tempo di compiere l'ultimo atto del suo lavoro di pulizia.
La criminalità organizzata aveva subito fraternizzato con gli invasori, ed essa di certo si sarebbe ingigantita e avrebbe prosperato se i piemontesi avessero vinto. Era un cancro che andava estirpato subito, prima che potesse contaminare i gangli vitali del Regno. Avitabile fece radunare i caporioni, e la manovalanza intermedia, sia napoletana che siciliana. Quella gente, in file ordinate, venne fatta salire sul campanile della chiesa di Santa Chiara e, dalla sommità, fatta precipitare in giù. Lo spiccio metodo era già stato usato da Avitabile con grande efficacia a Peshawar, dove la pratica comportava l'uso di minareti, che all'epoca mancavano a Napoli.
Estirpato l'ultimo male, il generale Paolo Avitabile rifiutò incarichi ed onori e si ritirò nel suo palazzo per riposarsi ed attendere ai suoi sollazzi preferiti.
Le cancellerie europee rimasero inorridite, non per la violazione del diritto internazionale che si era attuata quando Garibaldi prima e i piemontesi poi avevano invaso uno Stato sovrano, ma per i metodi spicci e decisamente poco umanitari del generale Avitabile. Gli ambasciatori del Regno delle Due Sicilie ebbero il loro da fare per cercare di rimediare e imputarono tutto allo stato di marasma seguito alle azioni illegittime compiute da altri.
Per parte sua, l'Avitabile, richiestogli se aveva agito per la Patria, dichiarò che più per questo si era mosso perché era stata recata offesa alla cosa che aveva più sacra, e che era in relazione a quello che aveva ben celato nei pantaloni.
Vi è una linea di costa nel mare di Posillipo, uguale a quella antica, e formata dalla costellazione di isolette, elevate nell'acqua dalla mano dell'uomo. È il Quartiere Venezia.
Al centro dei larghi frammenti di terra scorre maestoso il Canal Grande.
Una lunga teorie di eleganti lance a motore procedeva nel Canal Grande. Si trattava di un nuovo tipo di imbarcazione, le Sirene, come si poteva capire dalle polene che le impreziosivano. Mentre al largo la flotta duosiciliana salutava con salve di cannone l'evento, il natante con a bordo Sua Maestà Maria Sofia procedeva spedita. Sugli austeri palazzi di stile rinascimentale e veneziano che si elevavano dalle isole, era un tripudio di bandiere e di cittadini festanti.
Sul viale che costeggiava il Canal Grande fece apparizione, a galoppo sfrenato, un gruppo di cavalleggeri. Si trattava dell'Undicesimo "Briganti di Pontelandolfo". Alla testa il generale Carmine Crocco. Erano truppe sceltissime, devote fino alla morte alla corona, abbigliate con grandi tabarri e con cappelli neri e flosci, dalle larghe falde. Seguivano i reali zampognari, truppe rustiche, ma anch'esse fedelissime, che coperte di giacchetti di pelle di pecora, intonavano non canti natalizi, ma austere marce militari.
Il geniale architetto Lamont Young non aveva atteso molto per la convocazione a palazzo. La Regina Maria Sofia, con la sua naturale sagacia, aveva capito subito che c'era qualcosa di molto interessante, che andava approfondito, nelle proposte abbozzate in una scarna lettera dal giovane professionista.
Lamont Young, pieno di carte, disegni, prospetti, si presentò, intimidito, davanti alla Sovrana, ma ella lo mise a suo agio ed il giovane prese coraggio e cominciò a presentare con enfasi il suo progetto.
"Maestà, Napoli ha problemi secolari, che attendono una soluzione. Soluzione che ho trovato: trattasi di una soluzione idraulica.
Maestà, Napoli è città di mare, ma è un mare che ristagna, portatore di acqua che imputridisce. Bisogna trovare un nuovo modo di rapportarsi con le acque. La mia soluzione è proiettare Napoli più profondamente nel mare, fare percorrere la città più intimamente nell'acqua, fare arrivare il mare nelle sue viscere. Solo così avremo una città nuova. Questo è il senso del mio progetto del Quartiere Venezia.
Un nome che è un auspicio, per una realizzazione materiale e una ideale, di città che non vuole più essere chiusa in se stessa, ma che freme per stabilire contatti con il Mondo intero.
Quello che si chiede alla Maestà Vostra è che consenta l'edificazione del nuovo quartiere, fatto di isole e canali e che si apra, così, una nuova era per la capitale.
Ove la mia proposta verrà accolta, la città sarà idealmente inondata da acqua benefica che scioglierà i grumi del male e li dissolverà. Contemporaneamente l'acqua feconderà l'intero territorio, fino all'angolo più riposto con le particelle del bene, dell'operosità, della competenza e dell'onestà, pure in grande misura presenti a Napoli, ma ora limitate, insultate e represse dai grumi del male."
"Circola nel parlamento del regno cispadano un libello che è letto avidamente ed è fonte di costante ispirazione quotidiana per i membri di quel consesso. L’opera, “Lo Buon Podestà”, è di un tale Guccione del Fagiolaio nato a Chiavichina sull’Arno, nella ubertosa terra di Toscana. Il del Fagiolaio fu coevo di Niccolò Machiavelli, ma mentre questi si occupò dei maggiori, il primo si dedicò appassionatamente alle figure di minor spicco, o, come il del Fagiolaio scrive “al medie calzette”. Il buon podestà, per Guccione, “ha da essere filio de manigoldo et farabutto et de puta maxima, assì che elli sugga l’arte sua de bon governamento fin da que es poppante”. “Elli debe promittere, promittere, ma nunquam mantinere, proque lo populo es bove, ello rumina, ma non recorda. A lo populo place maximente recepir serviziali de grande, grandissima possantia et profunditate.” La parte del testo guccioniano che è più letta e, anzi, mandata a memoria dai parlamentari cispadani, si intitola “Lo eterno ponte” e così recita: “lo buon podestà debe facere multe opre, sommamente con la moneta dei citatani. L’opra maxima es lo ponte que non ha fine, ma bon principio. Isto ponte debe menar a un strata que debe conducer a niuna utile destinatione, como, pro exemplo, a un sito paludesco et multo malarico. Lo ponte debe esser facito con petra bellissima a vider ma sin niuna consistentia, assì que lo ponte presto ruini, e que il necessita subito por mano a sua recostrutione, con lo mesmo resultato. E assi andando, de ponte a ponte ruinando, in lo ciclo sin fine, como eveni massimemente al stagioni. La cosa essential es que qui fabbrica lo ponte sin fine sia famiglio, parente o intimo sodale de lo buon podestà o anque malitioso criminal de bon relatione con isso, assì che lo homine del bon governamento pote recavar a ogne fiata sua juxta lauta provvision e lo consenso que es necessario a sua reelection."
Quando si ristabilì la legittima dinastia sul trono di Napoli, si pose il problema della costituzione e di come far partecipare i cittadini alla vita del paese. Maria Sofia era perplessa sul nodo delle assemblee elettive, ma non perché si rifiutasse di introdurre elementi di democrazia. Ella prevedeva: “Un ruolo di guida la Corona deve continuare ad averlo. Ma risolvere tutto con il voto mi sembra riduttivo. Quando i Savoia, prima di essere sconfitti e cacciati, hanno proclamato i plebisciti, si è visto quale colossale truffa è stato quel voto. Il voto alla fine permette di sostituire a un’aristocrazia ereditaria una nuova aristocrazia elettiva. E questa aristocrazia elettiva, composta da professionisti della politica è destinata inesorabilmente a cooptare elementi espressi dalla criminalità o da persone che esprimono i loro interessi o quelli dei gruppi ai quali appartengono. Le suggestioni provocate ad arte poi influenzano negativamente qualsiasi espressione di volontà. Io non vedo altra soluzione se non il sorteggio. Sorteggiamo i membri delle assemblee elettive da elenchi di cittadini probi da elevare alle cariche pubbliche una sola volta e per un tempo limitato".
Il buon Re Ferdinando, per rendere sempre più efficienti le seterie della Real Colonia di San Leucio, aveva sottratto alle primarie tessiture europee i migliori lavoranti, perché essi portassero nella fabbrica le tecniche, i macchinari e metodi di lavorazione più avanzati esistenti. Lo stesso fece la Regina Maria Sofia, ma in un altro campo. La sovrana, sin da giovanissima, era stata attratta dai congegni meccanici che animavano bambole e riproduzioni di animali.
Allettati da stipendi favolosi, i migliori orologiai ed esperti di micromeccanica svizzeri, vennero convinti a lavorare in una Real Fabbrica, installata nel sito di Capodimonte, nei pressi della reggia. Quell'opificio non venne, però, destinato alla fabbricazione di orologi, bensì di automi, in fattezze di uomini e di animali, destinati, si disse, ad adornare mirabilmente i presepi animati. In realtà si studiava se essi potevano essere utilizzati per sostituire gli uomini nei lavori più gravosi..
Il professor Thomas Aschenbach apparteneva alla folta schiera di accademici, intellettuali e imprenditori che da ogni parte d'Europa si erano riversati a Napoli per ammirare e godere delle nuove delizie urbanistiche e del bel clima civile che esse avevano portato.
Come ogni giorno, Aschenbach lasciò l'albergo “Il Golfo”, sito in una delle isolette del Quartiere Venezia, e dove risiedeva. Compiendo un breve cammino, ammirò i due cosiddetti edifici dei regni perduti, il palazzo del Re d'Armenia e quello dell'Imperatore di Bisanzio, nell'eclettico stile orientale, che la Regina aveva fortemente voluto che si edificassero. L'accademico arrivò infine all'imbarcadero, dove una Sirena l'attendeva.
L'imbarcazione percorse il canale artificiale che conduceva ad un altro stupefacente nucleo urbanistico, progettato e realizzato da Lamont Young nel sito di Bagnoli.
Aschenbach chiese di essere lasciato nell'immenso stabilimento balneare. Si fermò a un tavolino e chiese un caffè. Allegre voci nelle lingue più disparate, tra i suoni degli schizzi d'acqua, si levavano dai bagnanti.
L'attenzione del professore si riversò su un giovanetto biondo, dalle forme perfette sottolineate dall'aderente costume da bagno. L'uomo, spinto da oscuri desideri, cadde in una specie di deliquio, ma, poiché si era imposto una dura disciplina, seppe rianimarsi ed allontanarsi, infine, dai suoi demoni.
Proseguì il suo cammino, ammirò i grandi alberghi, le terme, i bellissimi edifici e il Palazzo di Cristallo, sede di esposizioni e dove i sapienti artigiani e industriali del Regno mostravano i loro prodotti. Arrivò, infine, alla sua meta, alla Reale Accademia delle Scienze. Prima di entrare, alzò gli occhi verso il cielo e ammirò il volo di grandi dirigibili.
Un nuovo secolo era alle porte. Fu deciso di festeggiarlo degnamente, con grandi luminarie, feste di piazza, avvenimenti sportivi.
Sua Maestà Maria Sofia, in occasione dell’importante momento storico, pronunciò un discorso alla Nazione.
"Le ore difficili sono un pallido ricordo. La Nazione si avvia prospera e civilissima, all'alba del nuovo secolo, verso un ulteriore cammino di progresso. Siamo forti nella nostra neutralità e nel nostro ripudio della guerra. Noi siamo ormai una potenza, ma dispieghiamo la nostra forza non per offendere altri, ma solo per conservare la nostra libertà e difendere i nostri sacri confini".
Poi, a mezzanotte precisa del 31 dicembre 1899, il cielo si affollò di dirigibili, ciascuno diretto verso una diversa capitale europea. Erano state istituite, proprio in occasione dell’inizio nuovo secolo, linee dirette bisettimanali di collegamento tra Napoli ed altre località del Regno con Parigi, Londra, Vienna, Berlino, Copenaghen, Stoccolma, Zurigo, Mosca.
Come dice la famosissima canzone (traduco alla buona dalla lingua napoletano):
Partono i dirigibili
per terre assai lontane
Ridono a bordo
sono... turisti napoletani.