Vico S. Domenico nei pressi di Piazza S. Domenico Maggiore
Bottega detta Dell'Alchimista
da "Il Contastorie"
Nel corso degli anni trenta, ahimè, anche il fascismo fece un deciso passo in avanti. Da dottrina ottusa diventò ottusamente razzista. Venne inventata un'inesistente pura stirpe italiana e si propagandò la necessità di una difesa della razza.
Sarebbe stata una cosa da ridere, se non avesse avuto esiti tanto disperati e tragici.
In quegli anni rifece la sua apparizione a Napoli uno strano personaggio, Giovanni Echia.
L'Echia, uomo affascinante e carismatico, negli anni trascorsi, prima che facesse perdere le tracce, aveva preteso di essere un figlio spirituale di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, nota e tenebrosa figura di alchimista del 1700.
L'Echia aprì una bottega in vico S. Domenico, proprio vicino alla cappella dove il principe Raimondo aveva sbizzarrito la sua fantasia, donando al mondo riproduzioni in cera del sistema venoso ed arterioso, statue misteriose ricoperte di veli di marmo ed altri simili meraviglie.
Nella bottega, che recava l'insegna "Bottega detta dell'alchimista", Giovanni, avvolto in tuniche dai colori sgargianti, passava la giornata a pestare sostanze nei mortai, a distillare, a produrre nuvole di vapore.
La fantasia popolare si sbizzarrì. I ricordi delle magie del principe Raimondo non si erano mai spente, ed ora quel suo discendente tornava a rinfocolare paure e terrori.
Notizie sull'attività dell'alchimista arrivarono presto in questura. La polizia ripescò un voluminoso fascicolo intestato a Giovanni Echia. Le attività del misterioso personaggio avevano formato oggetto di numerose indagini in passato. Si sospettava che l'individuo fosse un antifascista, autore di scritti satirici sul regime, rifugiato in Francia e frequentatore, nel paese transalpino, di circoli antimussoliniani. Ma non era stato mai possibile incastrarlo. Di sicuro si sapeva che era un astrologo e appassionato di scienze occulte. Era laureato in medicina e specializzato in ginecologia, ma non risultava che avesse mai esercitato.
Il questore stesso decise che l'Echia andasse attentamente controllato.
Le indagini rivelarono che la bottega detta dell'alchimista riceveva la visita di giovani coppie. Si trattava di persone se non dichiaratamente antifasciste, quanto meno molto tiepide verso il regime. Ma non fu dimostrato che Echia svolgesse attività sovversiva. La polizia era sicura che quello che spingeva le giovani coppie a frequentare la bottega fosse la difesa della razza.
Echia, rispolverando certi antichi studi del principe Raimondo di Sangro, aveva ideato una cura per il miglioramento della stirpe italiana. Sosteneva il medico occultista che nella razza italica vi erano degli apporti spuri. Eliminate le impurità, il genio italico si sarebbe manifestato nella sua imperiosa ed imperiale grandezza.
Dopo aver letto il rapporto, il questore saltò dalla sedia. "Eccezionale, bisogna informare Roma!" Ma, dopo qualche attimo di riflessione, decise di andare con i piedi di piombo. Sembrava che Echia si fosse messo sulla strada giusta, ma il suo passato era pur sempre discutibile. Ordinò un supplemento di indagini.
Vennero fuori le prove. Erano già nati dei bambini depurati con il sistema Echia. Uno di essi, a tre mesi, già recitava la Divina Commedia. Un altro, a sei, schizzava la pappa sul camice della balia, riuscendo a comporre la parte centrale dell'Ultima Cena di Leonardo.
"Ecco la conferma che ci voleva" pensò il questore. "Ma mica sono così fesso da informare subito Roma. Bisogna agire localmente. Creare il grosso avvenimento e, poi, solo allora, andare a Roma. Ma, a quel punto, Roma verrà qui."
Detto fatto, convocò prefetto, podestà, ufficiali della milizia e un altro nutrito gruppo di gerarchi.
Elaborarono una strategia comune. Tutti i presenti avrebbero generato, con l'aiuto di Echia, dei figli depurati. Il Duce si sarebbe precipitato a Napoli, non appena avesse saputo di una tale concentrazione di genio italico. I genitori di simili mostri, in senso buono, avrebbero sicuramente avuto futuro e carriere assicurati.
Corsero in massa alla "Bottega detta dell'alchimista". Echia li accolse con molta bonomia, facendo mostra di sincera adesione agli ideali fascisti.
Sì, era in grado di soddisfare le legittime aspettative di tanti illustri personaggi ad una progenie purissima ed intelligentissima. C'era, però, da depurare. Li avrebbe accontentati seduta stante.
L'alchimista versò un denso liquido rosso in strane bacinelle che porse ai suoi ospiti. Spiegò che avrebbero dovuto inserire la parte deputata alla nobile riproduzione nella bacinella e nel liquido. Dovevano, poi, massaggiare la "parte" con movimento ascendente e discendente.
E, mentre i gerarchi alquanto imbarazzati si masturbavano, Giovanni Echia faceva fagotto per ritornare a Parigi.
I gerarchi, beffati, non osarono farsi vedere dalle mogli per più di due mesi. Per quel tempo, infatti, le nobili parti deputate alla riproduzione del genio italico, continuarono ad essere di un bel rosso lampone come il liquido delle famose bacinelle depurative.