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Banco di Napoli
da "Il Contastorie"
Beniamino Lappese aspettava con calma olimpica che venisse il suo turno. L'impiegato addetto alle cassette di sicurezza era meravigliato. Nelle stesse situazioni, gli interessati mostravano, infatti, ansia, angoscia.
Si trattava dell'apertura forzata di una cassetta di sicurezza, per la precisione quella già appartenente al defunto Giacinto Lappese. Beniamino ne era l'erede universale. All'apertura doveva assistere anche un funzionario degli uffici finanziari, assistito da un estimatore di oggetti preziosi, dotato di bilancia. Là era l'inghippo. Gli incaricati avrebbero diligentemente preso nota di tutti i valori contenuti nella cassetta, per poi procedere alle randellate fiscali.
Ma Beniamino, pur sapendo che lo zio era ricco sfondato, con una certa predilezione per i beni rifugio, continuava ad essere sereno ed imperturbabile.
Si procedette finalmente all'apertura. Fu questione di un attimo. Nella cassetta si mise in funzione un piccolo registratore. Beniamino riconobbe la voce gracchiante di zio Giacinto.
"Buongiorno a tutti. In particolare a quello stronzo di mio nipote e ai due ladri avvoltoi degli uffici finanziari.
Caro Beniamino, so che non hai trovato nessuna somma liquida, né in casa né in banca. A questo punto hai pensato: lo zio ha investito in beni immobili. Sei andato a controllare. Immagino la tua sorpresa quando hai potuto constatare che avevo venduto tutte le mie proprietà, fino all'ultima casa. Ti è rimasta un'ultima speranza. Hai pensato: 'Zio Beniamino non poteva far sparire di botto il suo ragguardevole patrimonio.' Conoscevi la mia passione per gli oggetti preziosi. Quindi, speri di trovare nella cassetta un cinque, sei miliardi di valori.
Nulla di più falso. Mi sono mangiato tutto. Ma non potevo lasciare a bocca asciutta il mio unico parente superstite. Perciò nella cassetta troverai il prodotto delle mie digestioni.
Mi immagino che i signori del fisco vogliano controllare. Quelli non si fidano mai di niente. Nella cassetta troveranno un centinaio di pacchettini avvolti in fogli di alluminio. Certifico che in essi è depositata autentica merda da me prodotta."
Beniamino continuava a non fare una piega, ma una smorfia di disgusto si dipinse sui volti del funzionario delle finanze e dell'estimatore. Per ragioni del loro ufficio, essi dovettero aprire qualche pacchettino. Constatarono, bestemmiando, che le parole del morto corrispondevano a verità.
"Volete pesare?" fece premuroso Beniamino. Per tutta risposta i due girarono i tacchi e se ne andarono.
Il nipote capì che la sua eredità era ormai priva di gravami fiscali, e cominciò a mettere tutti i pacchetti in una capace borsa.
L'addetto alle cassette di sicurezza, con il naso tappato tra due dita, fece: "Ma come, vi portate via la merda?"
"E' pur sempre un ricordo dello zio."
Beniamino, non appena ritornò a casa, indossò un camice bianco, dei guanti usa e getta e una mascherina per coprire la bocca ed il naso. Cominciò ad aprire tutti i pacchetti. Li rovistava coscienziosamente. Non voleva, infatti, che nessun diamante che l'ottimo zio Giacinto gli aveva lasciato, andasse perso.