Il brigante
da "Il messia meccanico"
Dopo il 1860, scacciata la famiglia reale dei “Borboni”, non ci fu più nelle terre dell'estinto Regno delle due Sicilie un'era di prosperità e di pace. I piemontesi invasori, con i loro soldati “bersaglieri” e “carabinieri”, fecero una spietata guerra di conquista coloniale, imposero leggi contro tradizioni, interessi e bisogni della gente che affamavano con una feroce tassazione mai vista prima. Molti uomini si ribellarono e ebbero anche l'affronto di essere chiamati briganti
Gli insorti presero la via delle montagne. Essi scendevano nei villaggi per cercare di che nutrirsi. Se gli insorti trovavano pane là, i bersaglieri distruggevano interi centri abitati.
Nel diario del bersagliere Carlo Margolfo sono documentate le brutalità commesse nel villaggio di Pontelandolfo: “Al mattino del mercoledì, giorno 14 [agosto 1861], riceviamo l'ordine superiore di entrare nel comune di Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne e gli infermi, ed incendiarlo.
Di fatti un po' prima di arrivare al paese incontrammo i briganti attaccandoli, e in breve i briganti correvano davanti a noi. Entrammo nel paese: subito abbiamo incominciato a fucilare i preti ed uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, e infine abbiamo dato l'incendio al paese, abitato da circa 4500 abitanti. Quale desolazione, non si poteva stare d'intorno per il grande calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case.
Noi invece durante l'incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava...”
In queste pagine, l'invenzione (ma verosimile) è solo nelle righe che seguono:
Il piccolo Nicola non sapeva niente di quelle cose. A dodici anni, benché ne dimostrasse, ma soltanto per la sua altezza, molto di più, vedeva unicamente l'aspetto avventuroso delle cose. Tra brigante e soldato gli piaceva giocar il ruolo del primo. Nicola trascinava i suoi amici in battaglie furiose nei campi intorno il villaggio. C'erano ragazzi che impersonavano i suoi compagni di brigantaggio, altri che, per gioco, erano bersaglieri. I ragazzi “bersaglieri” si mettevano piume di gallina sulla testa e correvano e combattevano, facendo i rumori degli spari con la bocca. Essi avevano armi, ovviamente: pezzi di legno dipinti di nero, modellati per rappresentare fucili. Nicola, con il suo gusto teatrale, aveva una lunghissima e falsissima barba nera che nascondeva il suo viso di ragazzo e ispirava rispetto ai suoi amici - nemici.
Nicola faceva le guarda su un albero. Gli altri amici erano lontani, perché così era il gioco di quel giorno. Il ragazzo era fiero del suo ruolo. Un lieve e inaspettato rumore provocò il disappunto di Nicola. I suoi amici, che facevano la parte dei bersaglieri, non dovevano ancora entrare in azione. Strinse a sé la sua arma di legno. Il suo gesto non rimase inosservato. L'albero era circondato da bersaglieri, disgraziatamente autentici. Alcune spie li avevano informati che nella zona c'erano briganti molto pericolosi.
Nicola fu colpito da molte vere armi da fuoco. Ebbe solo il tempo di sussurrare un debolissimo “bum” con la bocca, prima di cadere morto a terra.
I bersaglieri lo sollevarono da terra e lo posero con il dorso contro il tronco dell'albero. Dopo si disposero intorno a lui e chiamarono il fotografo. Come altre volte, anche quella eliminazione di un pericoloso brigante doveva essere documentata. I preparativi per la foto furono interrotti da una donna vestita di nero, che gridava. Benché si cercasse, anche con la violenza, di scacciarla, non le si potette impedire, infine, che si facesse vicina al brigante. Essa riuscì a strappare la barba e a mostrare il viso di un ragazzo, di suo figlio.