Almasìa

da "Il messia meccanico"


Giuliano Traudizzo, impiegato di banca, fu praticamente cacciato dal suo posto di lavoro. Personalmente non aveva fatto niente di male. Era stata la sua banca ad andare a rotoli. Della banca di Napoli, un tempo gloriosa, era rimasto solo un guscio vuoto e un pugno di lavoratori.
Traudizzo lavorava in banca per vivere. In realtà era un poeta, raffinato ma del tutto sconosciuto. Cantava l'amore. Il suo aspetto rotondo e gioviale non lo avrebbe fatto sospettare. Veniva da lontano. Dai dintorni di Lecce, da un paese dove si parlava ancora greco.


Il gatto Musciò lo aspettava. In qualche modo aveva intuito un rientro anticipato. Come al solito, Musciò non diede soddisfazione al poeta. Non gli andò incontro per fargli capire che lo aveva aspettato.

Musciò finse di giocare con un pezzo di carta. Lì erano appunti di Giuliano per una poesia da scrivere.

Il poeta pensò che era tempo di tornare al suo paese natale. Andò, quindi, in cantina a cercare le valigie. Il poeta abitava in un antico edificio di via dei Vergini. In quella parte della città era l'antica zona cimiteriale dei greci, i fondatori di Napoli.

Un miagolio insistente di Musciò condusse Traudizzo verso vecchie assi di legno. L'uomo le spostò. Una vasta cavità si aprì davanti a lui. Vecchi sarcofaghi e, poi, un'antica porta. Un fascio di luce si insinuava da un inaspettato squarcio nel terreno, per illuminare una lapide. Un'iscrizione in greco portava la firma di Ippodamo da Mileto, il costruttore della Neapolis greca.

"Se vivere il tuo tempo ti dà grande pena, varca questa porta. Ti troverai in un'altra epoca. Potrai essere felice o potrai provare più grande dolore. Rispetto alle certe sofferenze dell'oggi avrai, comunque, una possibilità di felicità in più. A te la scelta."

Traudizzo non ebbe un solo attimo di esitazione. Passò attraverso la porta del tempo, seguito dal suo fedele amico.

Si trovò in un'altra era. Apparentemente, Traudizzo non fu fortunato. Lasciava una città che aveva smarrito se stessa e si ritrovava in un'epoca in cui Napoli era travagliata dalla fine della sua cultura . Si parlò a Napoli il greco, lingua della città, fino all'anno mille. 

Traudizzo si era ritrovato in un tempo, che non era riuscito a definire bene. Poteva essere dal quattrocento al seicento. C'era ancora un piccolo gruppo che si esprimeva nella lingua dei fondatori di Napoli. Giuliano si trovò nella nobile casa di una di quelle famiglie.

Fu nella villa del giovane Teleo, che non aveva voluto abbandonare la lingua, la tradizione, la religione dei padri. Pochissimi erano rimasti a professare la fede negli antichi Dei. Essi erano messi al bando, ferocemente perseguitati.

In quella casa si vivevano momenti di dolore e sofferenza. Una giovane e bellissima donna giaceva su un catafalco. Teleo si accostò, piangendo al corpo senza vita della giovanissima moglie, Almasìa. Le pose una moneta in bocca, perché la defunta potesse dare l’obolo a Caronte.

Poco lontano, Matrìa, la matrigna di Teleo trasalì. Entrarono tre vecchie donne. Avevano le vesti lacere, i capelli scarmigliati. 

Urlando, le anziane donne cominciarono a cantare le lodi della giovane sposa  improvvisamente morta.

Traudizzo cominciò finalmente a sentirsi a suo agio in abiti ai quali non era abituato. Il greco che si parlava in quella casa non era lontano da quella forma particolare, il grico, che è usato, ancora ai tempi nostri, nel Salento. 

Aveva capito perfettamente la situazione nella quale si trovava. Non gli sfuggivano le usanze del tempo. Le aveva attentamente studiate. Non gli era sfuggito il dolore sincero del giovane ed il suo puntiglioso rispetto di una religione al tramonto. Aveva anche capito al volo lo stato d'animo di Matrìa. Non ci voleva molto ad afferrare il sollievo, appena appena dissimulato, della perfida donna, per la morte della giovane sposa, sua unica rivale nel governo della casa.

Non era sfuggito al poeta neanche un gesto di disapprovazione della cattiva donna, quando Teleo, ponendo la moneta sulla bocca di Almasìa, aveva rispettato un'antica tradizione.

Musciò non aveva perso tempo. Aveva attaccato bottone con una gatta della villa, Ornissa. Aveva appreso cose molto interessanti. Matrìa, la matrigna di Teleo, era una donna malvagia e senza scrupoli. Anche quando era in vita il marito, aveva spadroneggiato nella casa. Allorché Teleo si era sposato, aveva visto nella moglie del figliastro una rivale molto pericolosa nella villa. Eppure la buona e dolce Almasìa si era docilmente sottomessa a lei. Non avrebbe mai fatto nulla per rubarle la sua posizione. 

C'era di più. Sia Almasìa che Teleo erano affettuosamente fedeli alla religione dei padri. Matrìa, per opportunismo, si era convertita alla nuova, trionfante fede. Il fatto, però, che i due giovani parenti si ostinassero ad essere seguaci dell'antico, costituiva un grosso disturbo per Matrìa. A causa di ciò, era esclusa dalla vita sociale. I vecchi credenti o i loro parenti, pur se convertiti, erano messi ai margini. Esclusa dalla casa e dalla società? Per Matrìa ciò era veramente troppo!

C'era un modo sottile di comunicazione tra Traudizzo e Musciò. Già dalle prime luci del mattino, il gatto cominciava ad accarezzare il suo amico con la zampetta, tenendo ben serrate all'interno le unghie. Provocava al poeta un dormiveglia. A quel punto, cominciava un dolce miagolare. Diceva qualcosa che Traudizzo mostrava di capire, rigirandosi nel letto e facendo segni di assenso. Tutto quel parlare subliminale doveva essere fissato. Perché se Traudizzo avesse ancora dormito, sicuramente avrebbe dimenticato tutto. Così, quando Musciò aveva finito il suo discorso, zac, piantava un’unghia nel corpo del poeta. Il poeta imprecava ma ricordava tutto. Così, aveva appreso della storia di Matrìa. 

Quel mattino Traudizzo tenne sotto sorveglianza Matrìa. Sorprese l'arrivo di un vescovo cristiano. L’uomo di chiesa si chiuse in una stanza appartata della villa, per non essere sorpreso a parlare con la malvagia donna. Traudizzo riuscì a origliare. I due avevano ordito un complotto. Era interesse del vescovo veder convertita al cristianesimo l'ultima famiglia importante di Napoli. Era interesse di Matrìa non vedere più minacciata, sia pure potenzialmente, il suo predominio nella casa e il suo posto nella società. 

Matrìa aveva fatto bere ad Almasìa uno strano liquido che provocava una morte apparente. Il vescovo avrebbe portato una finta reliquia di un finto martire cristiano. Un miracolo sarebbe stato annunciato a Teleo. La rinascita di Almasìa. In cambio, Teleo doveva promettere la conversione sua e della sposa, e la chiusura di Almasìa in un convento molto lontano. Questo per la giusta punizione dei peccati dei due giovani. Se, vinto dall'amore, Teleo avesse dato il suo consenso, Matrìa avrebbe accostato alle labbra di Almasìa la finta reliquia. In realtà avrebbe propinato alla giovane un antidoto, che l'avrebbe risvegliata dalla morte apparente.

Senza pensare un attimo a quello che faceva, Traudizzo corse a cercare Teleo. Gli rivelò il terribile inganno. Il giovane fu preso da una furia incontenibile. Si lanciò alla ricerca della matrigna. Colpì il vescovo con un pugno in pieno volto. Afferrò il braccio di Matrìa e la portò al cospetto di Almasìa. La donna cercava di divincolarsi.

"Donna malvagia, svegliala dal suo sonno!" 

Un lampo cattivo apparve negli occhi di Matrìa. Si finse remissiva ed ottenne di essere liberata dalla stretta. Fece per versare tra le labbra l'antidoto. In realtà fu velocissima ad estrarre un acuminato spillone. Con esso trafisse il cuore della giovane, uccidendola veramente.

"Ed ora che sono stata scoperta e svergognata per sempre, che tu muoia ed che ogni cosa venga distrutta!"

Detto questo fuggì. La villa confinava con un alto burrone. La donna, alla disperata ricerca di una via di fuga, corse su un pericoloso sentiero, cadde nel vuoto e morì.

Teleo giaceva, piangendo, ai piedi di Almasìa, questa volta veramente morta.

Una religione volgeva al tramonto. I fedeli erano pochissimi, ancor meno i sacerdoti. 

Traudizzo, nel suo sconfinato amore per l'antico, pensò che qualcosa poteva essere ancora fatto. Non potevano gli Dei, sia pure al crepuscolo, compiere un ultimo miracolo? 

Il poeta ricordò che la Palude Acherusia, il lago di Torregaveta, era il luogo, prossimo agli inferi, dove era possibile far ritornare al mondo dei viventi una persona passata all’altra vita.
Bisognava richiedere l'intervento di un sacerdote degli Dei antichi.

Era rimasto solo il vecchissimo sacerdote di Apollo, nascosto alla furia dei fanatici convertiti alla nuova religione da un manipolo di buoni e fedeli.

"Ti prego, intercedi presso gli Dei, perché due giovani possano ricongiungersi. Ti supplica un poeta, in nome dell'amore che ha cantato.”

Il sacerdote era a un passo dal termine dei suoi giorni. Non poteva celebrare riti, sacrificare agli Dei. Approfittò degli ultimi momenti per consacrare Giuliano sacerdote di Apollo.

“Celebra i riti, sacrifica e chiedi. Ma sono gli ultimi istanti non solo per me. Chiedi il prodigio. Ma, per ottenerlo, dovrai sacrificare la tua vita. Anche gli Dei sono deboli e poco possono. Non sono più irrobustiti dalle preghiere dei fedeli.”

Sul limitare della palude Acherusia, Traudizzo, celebrò il rito e sacrificò agli Dei. Udì deboli lamenti provenire dalla palude. Ombre esilissime si alzarono dall’acqua limacciosa. C'erano Teleo, le prefiche e solo due vecchi fedeli. Pochi, troppo pochi per irrobustire gli Dei che stavano per sprofondare nel buio.

Musciò si allontanò di gran carriera. Ritornò presto. Capeggiava Ornissa e decine e decine, centinaia di gatti di Napoli. Essi iniziarono a miagolare insistentemente. Non erano lamenti ma preghiere. Essi chiedevano l'intervento, l'intercessione della Dea Bastet, della dea gatto perché si compisse un evento prodigioso. 

Apparve finalmente un'ombra, che un tempo si sarebbe detta una figura regale. Poca era la sua forza, ma riuscì con uno sforzo supremo, che era sottolineato dall'intensificarsi delle preghiere dei gatti, a strappare alla palude un'anima bellissima. Lo spirito volò verso la villa di Teleo per ricongiungersi al corpo di Almasìa e darle nuova vita. 

L'ombra regale, nello sforzo supremo si annullò completamente. Traudizzo, ultimo sacerdote di Apollo si incamminò verso la villa di Teleo. Sentiva che le forze e la vita lo stavano abbandonando. Se muoiono gli Dei è giusto che muoiano anche i loro sacerdoti.

Il sacerdote Giuliano chiese con esile filo di voce ai due giovani, finalmente ricongiunti nella vita e nell'amore: "Vi prego fatemi una grazia voi, ora. È dolce per un poeta morire per ridare l'amore a chi l'aveva perso. Fatemi, però, ritornare nel mio tempo, è giusto che io muoia lì. Dopo che tutto si sarà compiuto fate ridurre in cenere il mio corpo. Disperdete la polvere nel mare davanti ad Ischia. Là i padri greci portarono la loro cultura nella mia terra.”

Il poeta morente fu portato a braccia da Teleo ed Almasìa attraverso la porta del tempo. Li precedeva impettito il gatto Musciò. Traudizzo volle morire nel museo nazionale di Napoli sotto la statua di Venere, al cospetto del simulacro di Giove e delle immagini degli altri Dei. Una lacrima sembrò sgorgare dagli occhi di Apollo. 

Come Traudizzo aveva voluto, le sue ceneri vennero dispersero nel mare. Provvidero Almasìa e Teleo, piangenti. Un coro di fanciulli intonava un ultimo canto in grico per il poeta. I giovani parlavano di un uomo e di una donna che si amavano e di un poeta che li aveva salvati.