Gli orfani

da "Il messia meccanico"


Letitia, sacerdotessa di Iside, assistette impotente al crollo del suo mondo. Le persecuzioni dei cristiani trionfanti contro i fedeli all'antica religione non le dettero scampo. I templi vennero saccheggiati e abbattuti. Le statue degli Dei dell'Olimpo trasformate in oggetti di culto del nuovo credo. 

Chi non si volle sottomettere fu condannato alla morte civile. I più ostinati vennero uccisi.

In una notte tremenda, tra le fiamme che avvolgevano ciò che le era più caro, Letitia fu costretta ad abbandonare il tempio. Dette un ultimo sguardo alla dea, prima che una folla urlante la trascinasse fuori delle non più sacre mura. Sarebbe stata messa a morte. Ma un soldato, fattosi cristiano per convenienza, che l'aveva conosciuta ed apprezzato le sue doti, la salvò.

Letitia vagò a lungo, con le vesti lacere, per le vie di Neapolis. Come attratta da una forza superiore, si fermò sul limitare di un nuovo edificio di culto. Guardò all'interno. Nella penombra, in una nicchia, vide qualcosa che le era familiare. 

Si fece più vicina all'oggetto dei suoi interessi. Fu un attimo. Riconobbe... Sì, si trattava della statua di Iside. Pur se trasfigurata, la statua non poteva non essere riconosciuta da chi, per una vita, l'aveva fatta oggetto della sua venerazione. Trafugata dal suo tempio, era stata adattata, resa quasi irriconoscibile per farne un’immagine del nuovo culto. 

Letitia si buttò in terra, per baciare i piedi di marmo. Singhiozzò a lungo.

La scena non passò inosservata al sacerdote cristiano. 

Letitia fu fatta alzare. Di certo, si ritenne, era una donna pia, animata da sacra passione per le nuove immagini e per quello che rappresentavano.

“Ma tu hai un aspetto molto patito. Di certo sei reduce da un lungo digiuno e dalla mortificazione della tua carne. Sei una buona penitente.”

Letitia, sconvolta, sofferente, addolorata non ebbe la forza di correggere l'equivoco. Non disse niente. Fu rifocillata e le fu offerto un posto per riposarsi. Cercavano qualcuno che pulisse la chiesa. Letitia non aveva più nessuno al mondo, non sapeva dove andare. Accettò. Puliva con particolare foga il pavimento, specie nello spazio davanti alla statua dell'antica e decaduta dea.
“Mia signora - diceva prostrandosi - sono stata tua sacerdotessa, ed ora continuo ad essere la tua serva fedele. Lo sarò fino alla fine.”

Il tempo passò. Le generazioni si succedettero alle generazioni. Nella chiesa cristiana, vi fu sempre una sguattera di nome Letitia, che faceva i lavori più umili. Puliva il pavimento e metteva particolare attenzione nel rendere brillante il marmo davanti alla statua.

I preti, che si avvicendarono nei secoli in quella chiesa, dicevano: “Abbiamo una tradizione miracolosa che si perde nei tempi. Qui vi è sempre stata una buona serva dallo stesso nome, Letitia. Tutte queste Letitia hanno mostrato particolare devozione per quella statua laggiù.”
In realtà, sarebbe stato opportuno porsi degli interrogativi. Si era trattato, infatti, di persone diverse o era sempre la stessa Letitia? Anche gli antichi Dei erano capaci di prodigi. Forse Iside non si era mai voluta separare dalla sua devota sacerdotessa. O, forse, la prima Letitia aveva lasciato il testimone ad un'altra donna con il suo nome, educata segretamente alla devozione per la Dea.

Con l'andare del tempo, Letitia, ottenne di poter abitare in una grande casa nelle vicinanze della chiesa. Cosa doveva fare di tutto quello spazio una persona sola? Letitia raccolse orfani, tanti quanti ne poteva ospitare. Sola e senza mezzi, come poteva assolvere quell’incarico gravoso? Ce la faceva - diceva a se stessa - con l’aiuto di colei che un tempo era effigiata nella statua. Una divinità dispensa favori e prodigi perché viene animata dal soffio delle preghiere, anche di una sola persona. Così la casa di Letitia non mancava mai di pane caldo e profumato e di buon latte.

Nulla cambiò mai nella chiesa e nel vicino orfanotrofio.

Per secoli, Letitia, o una o tante, crebbe migliaia di bambini senza famiglia.

La domanda più spinosa di quelle creature era: “chi è mio padre, chi è mia madre?”. 

L’istituzione della sacerdotessa non era una struttura oppressiva. I bambini venivano trattati con dolcezza. Essi erano il più possibile liberi, come lo erano quelli cresciuti in famiglia. Potevano confrontarsi e giocare con gli altri. I trovatelli erano a volte oggetto di violenze verbali. I ragazzi normali ostentavano la loro superiorità, in quanto potevano esibire un padre e una madre in carne ed ossa.

Letitia soccorreva le piccole vittime di scherzi crudeli, dovuti alla mancanza di genitori. Anche quelli che erano con lei avevano avuto un padre e una madre. 

Comunicava ai piccoli amici una notizia sorprendente. I piccoli erano ora in grado di sapere da chi erano nati.

“Tu sei figlio di un Dio, o di una Dea, e di una donna, o di un uomo” diceva Letitia, a seconda dei casi. Poi pronunciava il nome della divinità. Chiedeva, infine, di non rivelare a nessuno quell’informazione. Gli altri non avrebbero sicuramente capito.

Che meravigliose notizie erano quelle. Gli amici di Letitia colmavano un vuoto in maniera eccezionale.

La sera, nella piccola camerata, la donna raccontava le storie, i miti degli Dei dell’Olimpo. Le loro scorribande sulla Terra erano seguite con particolare attenzione. Lì c’era la chiave per capire il modo con cui il Dio aveva conosciuto il padre o la madre di ciascuno. 

E di quell’altro, di quel mortale che era l’altro genitore? Dopo il contatto con la divinità, era stato trasformato in un cigno, nell’arcobaleno, nella rugiada. Era confortante passare la mano sull’erba per accarezzare la madre. O guardare l’arcobaleno pensando al padre.

Di certo, tutti quei bambini riuscivano nella vita meravigliosamente. Il figlio di Giove, non poteva che essere un giudice, o un alto funzionario dello Stato. Il figlio di Saturno, un ingegnere minerario. Il discendente di Mercurio, un abile commerciante. Le figlie delle Muse eccellevano nelle arti, poetesse, cantanti, danzatrici...