L'ultimo volo
da "Il messia meccanico"
L'aquila, già simbolo possente di imperi, di regni, di regimi sanguinari, di governi criminali travestiti da repubbliche democratiche, volava solitaria come sempre, ma, ormai, unica. Con la sua vista acutissima, individuò, finalmente, dopo giorni e giorni di disperata e inutile caccia, qualcosa che si muoveva al di sotto di lei. Si lanciò come un fulmine, ma le fu fatale il passaggio attraverso una nuvola. A prima vista, innocenti sbuffi di bambagia, in realtà, insidioso ammassarsi di miasmi e vapori velenosi.
Fu un attimo e il re degli uccelli, soffocato, avvelenato, con le ali ripiegate, precipitò in mare, in un tratto sul quale galleggiavano densi strati oleosi e rifiuti di ogni genere.
Chi doveva essere la preda, l'ultimo uccello marino, continuò il suo volo. Era al sicuro, non vi erano più predatori.
Il paesaggio, visto da lassù, dove si muoveva l'ex preda, era desolante. Enormi blocchi di ghiaccio si elevavano sul mare. Le gelide montagne collidevano e si frantumavano, e, poi, si scioglievano, nell'incontrare temperature più calde.
Per un estremo gioco del destino, gli elementi naturali assumevano il ruolo di un beffardo scultore che, nelle sue opere, si divertiva a far emergere tracce di un'effimera e colpevole presenza sul pianeta. Il vento, il moto dell'acqua, la temperatura fungevano da enormi scalpelli e modellavano ironicamente gelide materie.
Al di sotto dell'uccello si profilò un volto enorme di un bianco abbagliante, disegnato in un'espressione attonita, con gli occhi sbigottiti e vergognosi, fissi sull'universo. Gelide lacrime scendevano dagli occhi e solcavano e scarnivano la tragica maschera.
Poi si presentò un altro freddo blocco, modellato in forma di zattera enorme. Era l'arca delle ricchezze. Disposte sul ripiano erano, scavate nel ghiaccio, rappresentazioni di beni di ogni tipo, che mai avevano sostentato o mostrato la minima utilità, ma solo stupito e impressionato.
Un vento impetuoso soffiò sulla zattera e fece scivolare in mare quelle antiche ostentazioni di vanità. Tutto si dissolveva in un attimo, finanche ciò che aveva costituito i valori affidabili e indistruttibili, lì raffigurati da freddi forzieri, certo colmi da rappresentazioni di oro, argento, diamanti. Il mare fingeva di essere avido e raccoglieva insaziabile tesori sempre più liquidi.
Costruita dal sapiente gioco delle correnti, dai turbini d'aria e dagli sbalzi di temperatura, apparve all'orizzonte una nave da guerra. Mille cannoni puntavano verso il cielo. Il volatile aveva ben imparato a riconoscere tutto quello, quale fosse la sua dimensione, che era atto a fare fuoco e a produrre morte. Ma l'uccello si sentì presto al sicuro, perché gli elementi naturali vollero subito cancellare quell'onta del mare, quello sconcio galleggiante, levando un fortissimo vento e suscitando una grande tempesta. Formidabili marosi costrinsero il mostro di ghiaccio a infrangersi e a perire su mille e mille aguzzi scogli.
L'uccello era sì al sicuro, ma la fame non gli dava tregua, e il mare era ormai un deserto senza vita.
Esausto, intravvide una piccola isoletta, sulla quale svettava una strana forma d'albero. Non si trattava di un'essenza vegetale, ma di una colonna di roccia su cui era posata una specie di nuvola grigiastra, che somigliava a una chioma. L'uccello sfiorò apparenti rami e foglie e fu risucchiato da acidi vapori che lo dissolsero.