Il delfino
da "Il messia meccanico"
Questa è una mappa dell'isola d'Ischia, un'isola molto bella nel mar Mediterraneo.
Se la ingrandissimo, vedremmo segni che rappresentano case, altri strade e noteremmo tante lineette che delimitano piccole zone.
Chi sa leggere le carte geografiche riconoscerebbe le strade e le case, ma direbbe a se stesso: “Cosa sono quelle lineette?”
Questo perché non ci sono carte odorose. Annusandole, chiunque capirebbe che quelle lineette rappresentano della pipì.
Pipì di gatto, per la precisione.
Per capire cosa sia questa storia della pipì, bisogna andare molto indietro nel tempo. Agli anni nei quali l'isola d'Ischia venne abitata dai gatti.
Del primo felino in assoluto si è perso il nome. Con il dovuto rispetto, esso è, però, ancora oggi ricordato come il Grande Vecchio dell'Isola. Egli esortò i gatti a vivere liberi e pacifici all'interno di regole condivise. Detestava i guai e non li augurava neanche ai discendenti. La sua famiglia cresceva a vista d'occhio. I figli ed i nipoti non facevano altro che litigare. Cosa sarebbe successo quando i figli dei figli si sarebbero moltiplicati?
Bisognava mettere ordine da subito. Ci sarebbero state delle regole. La prima: moltiplicarsi con giudizio, non bisognava sovrappopolare il territorio, al di là di quanto la natura consentisse. Secondo: ogni gatto avrebbe avuto il suo territorio. Ogni territorio avrebbe avuto un confine invisibile, ma odoroso, di pipì di gatto, scelto liberamente nel rispetto delle altre pipì e in accordo con esse. La pipì di gatto è come le impronte digitali. Non ci sono due pipì di uguale odore. Ognuno la fa in modo diverso.
Il Grande Vecchio pensò proprio a tutto, anche alle strade ed alle zone di riunione.
La pipì di gatto, oltre ad essere unica come odore, può anche contenere dei messaggi. Se un gatto è arrabbiato, se è allegro, ciò si riconosce dalla sua pipì, a patto che ci sia un altro gatto a leggerla.
Basandosi su questo, il Grande Vecchio istituì un corpo di gatti postini. Essi andavano in giro a raccogliere quello che i gatti avevano lasciato detto, qua e là.
Non è che il Grande Vecchio fosse un impiccione o, peggio, uno spione. Se aveva creato un corpo di postini annusatori, ciò era dovuto ad una necessità pratica.
L'isola d'Ischia è colpita spesso da terremoti. I gatti riescono a prevederli. La maggior parte poco prima, ma qualcuno, più bravo, anche con uno o due giorni di anticipo.
I postini annusatori se ne andavano in giro a cercare messaggi di questo tipo:
“Mondo boia, me la sono fatta addosso. Odorate la paura. Domani ci sarà un terremoto.”
Centinaia e centinaia di anni dopo la morte del Grande Vecchio, il ricordo di chi aveva dato regole ai fratelli dell'Isola non si era perso. Prima di morire, infatti, aveva scritto le "Regole per i gatti" sulla sommità di uno strano scoglio, a forma di fungo, nel mare di Lacco Ameno Terme, cittadina dell'Isola.
Ogni tanto i gatti sfidavano il mare, ma con terrore, perché quelli di Ischia odiavano l'acqua non meno dei fratelli della terraferma. Arrivavano in cima al Fungo ed annusavano le regole.
“Rispettate liberamente queste regole se volete essere liberi.”
Pur se scritte con la pipì, quei metodi di comportamento avevano funzionato per tanto tempo. E tutto questo senza che ci fosse mai stato un gatto che avesse comandato sugli altri.
Naturalmente, c'era sempre qualcuno che si dava arie ed assumeva atteggiamenti da capo. Stiamo parlando di Giove. Era un bel gatto, grande e muscoloso, con una certa tendenza ad ingrassare.
“Se fossi nato uomo, sarei stato vescovo, ministro, o, che so, presidente di una repubblica. Ma, per sfortuna, mi è toccato nascere gatto e, poi, in quest'isola...”
Giove diceva spesso questa frase a tutte le gatte che lo accompagnavano nei suoi giri.
Ce ne era una, Luna, un affascinante esemplare paffuto, di uno splendido colore grigio che sfumava nell'argenteo, che lo seguiva con particolare rispetto, per non parlare di altri sentimenti.
Era una gatta affettuosa e materna, eppure sognava lo scoppio di una rivolta tra i gatti ischitani.
“Basta con le puzzolenti regole del Grande Vecchio. Quella pipì in cima al Fungo ha fatto il suo tempo. Gli uomini si moltiplicano e moltiplicano i loro beni materiali. Costruiscono case come funghi e conquistano i nostri territori. Dobbiamo reagire alle sfide dei tempi nuovi. Dobbiamo rinnovarci. Largo alle pipì giovani e fresche. È ora che Giove diventi presidente dei gatti d'Ischia ed io la loro presidentessa.”
Questi pensieri, pur segreti, venivano rivelati da dichiarazioni in pipì, non strettamente controllate nei contenuti, da Luna.
Saturno il nero, lo spelacchiato, l'ossuto, il triste, il solitario, il saggio non poteva che disapprovare. Era, infatti, il guardiano delle regole, con nessun altro potere se non quello morale.
Nettuno, amico del mare, non si curava per niente di queste cose politiche. Era troppo impegnato dal suo incarico di osservatore dei terremoti, e dal suo lavoro a stretto contatto con i gatti postini.
C'è un problema, però. Nettuno molto spesso scompariva. Se ne andava in giro, sulle barche dei pescatori. Gli piaceva molto osservare quel lavoro degli uomini, e, ancor di più, ricevere da essi qualche pesciolino.
Una lunga assenza di Nettuno favorì uno dei soliti scherzi di Mercurio, il più giovane dei postini annusatori.
Mercurio era riconoscibile, a prima vista, per via delle sue lunghissime zampe. Mercurio si annoiava spesso. Pensava che tutti i fratelli erano vecchiacci noiosi. Non sapevano divertirsi.
Quel giorno gli era andata di confondere le idee generali. Aveva girato in lungo ed in largo l'isola a falsificare pipì e a seminare false tracce di avvisi di terremoto.
La consueta assenza di Nettuno, lontano nel mare su una barca da pesca, favorì l'imbroglio.
Nettuno era quello che doveva dire l'ultima parola. Non sbagliava mai. Se per lui non ci fosse stato un terremoto, questo non si sarebbe verificato, anche se molti gatti lo avevano erroneamente previsto.
L'allarme generale, quindi, scattò. Tutti si rifugiarono, come era consigliato nelle "Regole dei gatti d'Ischia per sfuggire ai terremoti", sul monte Epomeo, il monte che sovrasta l'isola.
Fortunatamente, Saturno lasciò un messaggio per Nettuno, in un angolino destinato a questo scopo.
Nettuno, al ritorno dalla pesca, ricevuto il messaggio, si precipitò dai fratelli.
Qualcosa non lo convinceva. Appoggiava l'orecchio a terra. Annusava il terreno, scuoteva la testa. Improvvisamente, ebbe un'idea. Guardò fisso Mercurio, che arretrò e poi si lanciò nella corsa.
In un lampo tutti i gatti si precipitarono al suo inseguimento. Ma, anche quella volta, il burlone riuscì a fuggire.
Sarebbe rimasto nascosto per qualche giorno, fin quando l'ira degli altri non si fosse sbollita.
L'inseguimento precipitoso di Mercurio provocò, comunque, molti guai. Per la furia, dei gatti scivolarono malamente lungo un pendio scosceso. Alcuni di essi si fecero davvero male.
Giove era tra questi. Era inferocito. Diceva a chiare lettere che se lui fosse stato il presidente dei gatti non avrebbe esitato a buttare Mercurio dal punto più alto dell'Epomeo.
Tra i colpiti anche Urano e Plutone. Urano, l'originale, l'amante delle novità, dell'imprevisto, pretendeva di leggere il futuro nelle pozze d'acqua. Si affrettò a predire una carretta di sventure a Mercurio. Plutone, il gatto stregone, che viveva in una caverna nelle profondità dell'Epomeo, lo maledisse con le formule più potenti che conosceva.
Saturno sorrise malinconicamente e si allontanò preoccupato. Non ci volevano proprio quelle tensioni, che si aggiungevano ai problemi causati dagli uomini che distruggevano l'ambiente.
Come tutti i veri solitari, prediligeva, a volte, stare insieme ad altri che anche loro erano autentici solitari. Si recò, quindi, da un suo anziano conoscente umano, il professor Ignazio.
Il professore amava usare un vecchio sidecar e se ne andava a zonzo con Saturno nella carrozzella.
C'erano dei problemi per quelle passeggiate, all'andata per Saturno, ed al ritorno per il Ignazio. Il professore abitava nella località Sentinella del comune di Casamicciola Terme. Chi conosce i luoghi sa quale avventura sia percorrere la strada che va dalla marina di Casamicciola alla Sentinella. Quella via, infatti, si impenna tremendamente.
In discesa, Ignazio era spericolatissimo. Ciò suscitava qualche preoccupazione nel gatto, che guardava con apprensione in tutte le direzioni. La salita, necessariamente a passo di lumaca, mandava in bestia il vecchio, ma era molto gradita al felino. Un movimento lento e sforzato conciliava, infatti, il sonno dell'animale.
Al professore piacevano anche le gite in barca a motore. Non percorreva mari aperti ma per quello c'era una potentissima radio, con la quale il vecchio poteva ascoltare le comunicazioni di navi che erano a centinaia e centinaia di miglia da Ischia. Rimaneva a lungo in ascolto. Gli sembrava così di essere anche lui in mezzo all'oceano.
Nel mare intorno a Ischia Ignazio faceva pericolose evoluzioni, spingendo la barca alla massima velocità possibile.
Benché le previsioni meteorologiche sconsigliassero di andare per mare, il vecchio si intestardì ad uscire con la barca con Saturno. Aveva percorso un buon tratto, fino ad arrivare in vista dell'isola di Procida, quando le cose improvvisamente peggiorarono. Il cielo si fece, da un momento all'altro, più scuro. Il vento si alzò alto. Il mare si ingrossò. L'anziano faticava a governare la barca. D'un tratto, il motore, per un'avaria, si fermò.
Saturno era preoccupato.
La barca era in balia degli elementi. Saturno era terrorizzato.
Ignazio calcolò che le possibilità di cavarsela erano estremamente ridotte.
“Qui ci vorrebbe un evento straordinario” pensò. Sudava freddo.
Il miracolo invocato si verificò. Apparvero dei delfini, che padroneggiarono immediatamente la situazione. Si disposero a destra e a sinistra dell'imbarcazione, stabilizzarono le sue oscillazioni e diressero la barca verso la salvezza. Uno dei delfini, che guizzava veloce davanti alla barca, tornava indietro e soccorreva i suoi compagni quando si trovavano in difficoltà.
Sembrava avere un ruolo direttivo e di coordinamento dell'operazione.
Dopo molte peripezie, la barca arrivò infine su una delle spiagge di Ischia Porto. Degli uomini che avevano seguito la scena da terra, si lanciarono in acqua e parteciparono alla fase finale del salvataggio. I delfini presero allora il largo.
Anche negli ambienti felini si seppe del naufragio.
Giove si rammaricò molto che Saturno, il guardiano morale delle Regole, non fosse annegato. Tolto l’avversario di mezzo, ne era sicuro, sarebbe diventato presidente dei gatti d’Ischia.
Saturno, per conto suo, corse da Urano e gli chiese, con un certo tono distaccato, se il futuro gli riservasse un’altra avventura come quella.
Urano guardò le stelle riflesse in una pozza d’acqua, e, poi, diede il responso:
“Forse no. Forse sì. Forse.”
Dopo la brutta avventura, il professore dovette passare qualche giorno all'Ospedale Rizzoli. Del suo incidente si parlò, ovviamente, in tutta l'isola. Ma era conosciuta l'originalità, o, per meglio dire, la follia del professore.
Il comune di Casamicciola Terme, sul finire del 1800, fu investito da un tremendo terremoto, che lo distrusse.
Per pura disdetta, non vi era alcun sistema di comunicazione scientifica tra gatti e uomini. Questi ultimi, non sapendo leggere nella pipì dei gatti, non furono in grado di fare tesoro delle conoscenze dei felini, e per studiare i fenomeni tellurici, furono costretti a costruire un osservatorio geofisico. Esso fu ospitato in una costruzione ad un piano a poca distanza dalla località Sentinella, in una posizione incantevole, dalla quale si domina l'intera cittadina e il mare.
L'osservatorio aveva una caratteristica: a capo di esso vi era sempre stato un uomo genialoide e decisamente eccentrico. La tradizione non era stata violata neanche con il professor Ignazio. Egli era detestato da tutta la comunità scientifica. In certi ambienti veniva accomunato più a uno stregone, che a uno scienziato.
Diversa era la considerazione che il professore aveva tra la gente dell'Isola d'Ischia. Qui la sua grande autorità non era messa in alcun modo in discussione. Come avesse conquistato il dominio morale su quel popolo, è presto detto.
Gli isolani vivevano nel terrore che si ripetesse un altro terremoto come quello della fine del 1800. Il professore sapeva prevedere i terremoti. L'aveva fatto, con un giorno o due di anticipo, per fenomeni sismici verificatisi in tutto il mondo. Aveva promesso che nel caso la cosa avesse interessato di nuovo Ischia, avrebbe avvisato i compaesani con tre giorni di anticipo.
Il segreto dell'abilità di Ignazio non era in nessuna macchina infernale, ma andava ricercato in un pollaio. Qui delle particolari galline, che aveva selezionato, nel corso di lunghi anni, davano dei segni inequivocabili nel caso dell'approssimarsi di un sisma. Per individuare, poi, le zone coinvolte dagli scuotimenti della Terra, si avvaleva di certi suoi complicati calcoli.
Nettuno, il gatto, aveva studiato da lontano i sistemi del suo collega umano, li aveva giudicati incompleti, ma accettabili.
Ignazio viveva da solo, nel più grande disordine.
Vi era una persona che accudiva il vecchio geniaccio: l’anziana Restituta. La donna rigovernava la casa e preparava da mangiare. Spesso, però, Ignazio saltava i pasti.
Il vecchio aveva scritto molti libri. Essi formavano grandi pile impolverate. Il professore aveva fatto stampare in proprio le sue opere e poi non ne aveva curato la distribuzione.
“Tanto, nessuno le comprerebbe” aveva detto.
Ma un libro, in particolare, poteva suscitare una grande curiosità: "Studi sul linguaggio dei delfini".
Ignazio aveva molto a cuore quelle ricerche e spesso, arringando una piccola folla di persone allibite, improvvisava, tra i tavolini del bar Calise, dotte lezioni sul linguaggio dei cetacei.
Faceva sempre una premessa:
“Naturalmente parleremo solo del delfinese moderno. Quello antico non ci interessa.”
Ignazio spiegava che il cervello del delfino è oltremodo complesso, se sollecitato nel modo adeguato, può sviluppare capacità di comunicazione sorprendenti. “Anticamente, i delfini avevano un linguaggio primitivo, il delfinese antico, sufficiente per le limitate necessità di comunicazione tra gli individui della specie. Ma, da quando l'uomo ha voluto comunicare con questi cetacei, quelli venuti in contatto con gli umani hanno elaborato un linguaggio molto più sofisticato, il delfinese moderno, che hanno trasmesso ai fratelli che non avevano mai avuto rapporti con l'uomo.”
Il professore si metteva in piedi sui tavolini e passava dalla teoria alla pratica. Cominciava a fischiare velocemente e a fare strani suoni, che erano dei "clic" in successione. Ogni tanto si fermava e traduceva. Poi passava alla grammatica, formata di pochi, semplici elementi.
Quelle lezioni nel bar Calise non potevano, ovviamente, non rivelarsi proficue per Saturno. Il gatto, d'altronde, riceveva continue informazioni sulla lingua dei delfini, anche durante i giri in barca e e sul sidecar.
Saturno apprendeva in fretta. La pronuncia era la cosa più difficile. C'è una bella differenza tra il miagolare e l'esprimersi a fischi dei delfini.
Una notte, sul pontile di Lacco Ameno, avvenne il primo incontro casuale tra Saturno e Tifone. Il gatto riconobbe subito il capo del gruppo di delfini che aveva salvato lui e il professore. Si creò subito una corrente di simpatia tra il salvatore e il salvato. Saturno faceva il massimo sforzo per sporgersi dal molo e il delfino Tifone allungava al massimo la testa fuori del pelo dell'acqua. Il delfino restò molto sorpreso quando il gatto cominciò a parlare.
“Parli la mia lingua molto bene. Chi te l'ha insegnata?” disse Tifone.
“Il professor Ignazio.”
“Il vecchio genio, simpatico pazzo. Ci ha insegnato tante cose... ma ha appreso anche tanto da noi.”
Saturno, ad un tratto, perse il suo autocontrollo e aprì se stesso, come mai aveva fatto.
Confidò a Tifone le sue preoccupazioni sul destino dei gatti di Ischia. Gli uomini dell'isola erano preda di un'immensa contraddizione. Da un lato avevano paura che si ripetesse il terremoto devastante, da un altro lato sembravano, nelle loro azioni, dimentichi di ciò. Erano, infatti, instancabili costruttori di case abusive. In una notte pollai si trasformavano in abitazioni a due piani, case sorgevano dal nulla, si scavava nel sottosuolo per dare origine a nuove stanze. E tutto ciò senza osservare le prescrizioni per gli edifici antisismici. Quel costruire frenetico aveva effetti disastrosi sulla vita dei gatti d'Ischia. La popolazione dei felini era mantenuta sotto controllo dalla natura, ma il modo di vita dei gatti era sconvolto dal comportamento degli uomini. I territori dei gatti distribuiti secondo le libere regole del Grande Vecchio venivano sottratti dagli uomini e dalla loro frenesia costruttiva - distruttiva. Gli equilibri nella comunità erano perduti e si apriva la strada a personaggi con mire dominatrici come Giove.
Saturno concluse: “Fortunato te che vivi nel grande mare. Lo so, gli uomini attentano anche alla vostra vita e alle vostre libere regole, ma fin quando non troveranno il modo di costruire case negli oceani, non potranno danneggiarvi in modo definitivo. Qui stanno distruggendo il nostro libero mondo fatto di regole condivise. Beati voi che vi potete muovere liberamente nell'oceano. A questo punto anch'io vorrei diventare delfino.”
Tifone, che aveva sentito con estremo interesse un lungo discorso a base di fischi molto tristi, replicò a Saturno con fischi di incoraggiamento.
“Sento che i vostri contatti con gli uomini si stanno rivelando disastrosi. Noi delfini abbiamo, però, un vantaggio: l'oceano, che nelle sue profondità è ancora libero dalla loro influenza. Non possiamo negare, però, che dal contatto con gli uomini abbiamo ricevuto dei potenti stimoli. Stiamo facendo quelle esperienze che affinano ogni giorno di più le nostre capacità intellettuali.
La nostra fortuna è che siamo vicini, ma anche molto lontani, nell'oceano, dagli uomini. Verrà un giorno che il mondo si accorgerà chi sono realmente i delfini. Alcuni di noi girano incessantemente. Visitano anche le comunità più sperdute di delfini. Perché vogliamo che tutti i delfini traggano beneficio dalle scoperte di alcuni di noi. Ma non ti voglio consolare solo con vuoti fischi di circostanza. Ti dico: vuoi nuotare libero, vuoi navigare nell'oceano? Potrai farlo attraverso noi.”
“Come?” chiese Saturno.
“Lo saprai a tempo debito. Ora devo andare. Al largo della costa egiziana, mi aspettano dei fratelli.”
“Come farò a sapere che sei tornato?”
“Riceverai la visita di un mio amico gabbiano, Bonaccia.”
Plutone accolse Saturno nella sua grotta, dove si levavano incessantemente fumi di origine vulcanica.
“Mi chiedi se posso fare qualcosa per il futuro dei gatti di Ischia. Anche io sono molto preoccupato L'impresa è difficilissima. Ma tenterò.”
Subito dopo, cadde in trance e miagolò terribili formule magiche.
Il giorno seguente, Saturno decise di trasferirsi all'Osservatorio. Il professore esultò. Restituta, che amava i gatti, era contentissima.
Il gabbiano Bonaccia sorvolò a lungo l'osservatorio.
Saturno ascoltava la radio oceanica del professore, Sentì dei rumori dalla finestra. Un gabbiano sconosciuto faceva tintinnare il vetro con il becco.
Saturno capì che Tifone era ritornato. Quella notte andò al pontile di Lacco Ameno.
Improvvisamente, dall'acqua sbucò Tifone, mostrando, con un nutrito repertorio di salti, giravolte e tuffi, tutta la sua allegria.
“Contavo di venire prima, ma abbiamo scoperto nel Mar Rosso un gruppo di fratelli che erano vissuti sempre isolati. Figurati che parlavano ancora il delfinese antico.”
Tifone era molto contento.
“La mia missione ha avuto successo. Sai, sono un personaggio alquanto popolare in tutto il Mediterraneo. Forse anche in qualche altro mare...
Ho parlato di te con certi amici. Abbiamo deciso di aiutarti.”
Tifone produsse il fischio prolungato con il quale imitava, a mo' di saluto, la sirena di una nave, e si allontanò felice, tra spruzzi e schizzi.
A Saturno non bastava il Mar Mediterraneo, voleva distese più profonde. Il suo desiderio di libertà e di solitudine era grande come l'oceano. Tifone lo aveva rassicurato:
“Attraverso di me, con i miei racconti, potrai navigare in tutti i mari. Potrai sapere quello che avviene dal Mare Artico al Pacifico. Abbiamo un efficiente sistema di staffette. Un gruppo manda un messaggero ad un'altra comunità, e questa a, a sua volta, invia un altro messaggero. Così, agendo a catena, è possibile avere notizie da tutti i punti dell'oceano. E io ti informerò di tutto. Poi, se vorrai, potrai fare una scelta ancora più radicale...”
Il gatto incontrava spesso il suo amico acquatico. Grazie ai racconti pieni di particolari, ai "pettegolezzi dell'oceano", Saturno nuotava e navigava nei mari della Cina, al largo della costa nordamericana, tra gli atolli dal Pacifico.
Il professor Ignazio era sparito dalla circolazione. Poi cominciò a fare brevissime apparizioni all'Osservatorio. Contrariamente al solito, non parlava molto. Restituta gli raccomandava di non esagerare con le immersioni.
“Alla vostra età, con i vostri reumatismi, non è per niente consigliabile.”
Saturno, incuriosito da quelle sollecitazioni della buona donna riuscì a sapere che il professore compiva frequenti immersioni al largo dell'isolotto di Vivara, vicinissimo a Procida e non lontano da Ischia.
Tifone, un giorno, parlò in modo sibillino con il gatto: “Hai nuotato negli oceani attraverso noi. È tempo che tu faccia altri progressi, come nuotare veramente, con noi al tuo fianco.
Come gatto, lo so, non ci riuscirai mai. Ma, forse, posso fare qualcosa per te...”
Il delfino si immerse per prelevare qualcosa dal fondo. Lo porse a Saturno.
“Sono alghe particolari. Vengono da mari molto lontani. Mangiale. Te le porterò spesso.”
“Cosa sei? Una specie di erborista acquatico?” chiese Saturno.
Tifone non lo sentì. Si era già allontanato a tutta velocità in direzione dell'isolotto di Vivara.
Cosa faceva il professor Ignazio sempre a mollo nel mare? Nonostante la sua età, i suoi acciacchi, i dolori reumatici e gli sforzi ai quali si sottoponeva, sembrava rinato. Era vispo ed attivo come un giovanotto.
Anche quel mattino, mise la muta da subacqueo, e si immerse. Circondato da delfini, raggiunse un'immensa grotta, inaccessibile per chi non conoscesse certi segreti passaggi.
La luce filtrava in maniera magica attraverso una spaccatura della volta, creando un bellissimo effetto di colori.
Sul fondo della grotta, erano decine di riquadri, quasi aiuole marine. Ciascuna accoglieva una particolare pianta acquatica.
Dei delfini sembravano curare le aiuole come giardinieri.
Su ognuno dei riquadri era infissa una targhetta che riportava il nome della pianta. Quest'opera di classificazione era stata, ovviamente, opera di Ignazio.
Il professore colse alcune piante marine. Riemerse, poi, per mangiarle. Erano quelle piante acquatiche il segreto del suo ringiovanimento.
Il professor Ignazio aveva lavorato molto con Tifone per affinare il sistema di comunicazione a staffetta, in uso presso i cetacei, soprattutto per focalizzarlo su quello che aveva chiamato "progetto salute". Sapeva che i delfini conoscevano le proprietà curative di alcune piante marine. Ogni gruppo di delfini conosceva solo poche specie di piante. Ignorava, però, che altri vegetali, di mari più lontani, curavano differenti malattie. Ignazio, facendo circolare le informazioni, aveva creato un unico sapere erboristico dei delfini.
Ignazio aveva creato quella prima stazione subacquea, dove da tutti i mari e gli oceani, i delfini, con il sistema delle staffette avevano portato alghe e piante.
Altre stazioni, veri e propri ospedali, erano state create in molti punti nel mare, in posizioni strategiche, in modo che i cetacei non dovessero fare lunghi viaggi.
Le erbe dei delfini curavano molto bene anche i gatti. Saturno non si era mai sentito così bene, almeno fisicamente. I dolori alle ossa che lo infastidivano da qualche tempo erano spariti. Ma nell'animo c'era una grandissima pena. Il mondo come lui l'aveva conosciuto, fatto di libertà in regole condivise, era sparito. Giove aveva oltraggiato le regole del Grande Vecchio, irrorando con la sua pipì la sommità del Fungo. Era una pipì che parlava di nuove regole non condivise ma imposte denominate leggi, di territori assegnati per legge ed ereditari, di pene e castighi per i trasgressori del nuovo sistema. La reazione degli altri gatti, provati dagli sconvolgimenti degli uomini all'ambiente ischitano, era stata debolissima, quasi inesistente. La pipì non era più un fattore di libertà. Saturno aveva ancora nelle orecchie le parole dette da Giove nella cerimonia di insediamento presidenziale: “Noi avevamo fatto della pipì uno strumento di anarchia. È ora di dire basta, la pipì deve diventare uno strumento per l'instaurazione della democrazia. E chi ha da dire cose antidemocratiche, che si trattenga la sua pipì.”
Appresa la notizia del colpo di stato di Giove, Saturno era corso da Plutone e da Urano.
Ci volle tutta la sua autorità di “ex guardiano delle Regole invisibili e odorose” per convincere lo stregone e l'indovino a venire con lui.
Era, infatti, scattato l’allarme generale sismico, questa volta certificato da Nettuno, ed i gatti si erano andati a rifugiare in massa sull’Epomeo.
Le galline sismiche all’Osservatorio strillavano impazzite, inutilmente. Il professor Ignazio, infatti, era assente. Era in mare, a ringiovanire.
Saturno, seguito dai riluttanti Plutone e Urano si precipitò al porto.
Sul molo, Saturno chiamò Tifone.
Come per incanto, il delfino apparve.
“Voglio essere un delfino e vivere sempre nel mare, solitario nella profondità degli oceani, sulla vetta delle montagne sommerse.” Dopo aver gridato queste parole, il gatto si buttò in acqua.
Tifone volò verso di lui, portando in bocca un’erba, la più speciale di tutte.
Saturno la trangugiò.
Mentre violente scosse di terremoto facevano tremare la terra, due gatti “ballavano” sul molo, pronunciando terribili formule magiche. Alla fine dissero: “E che tu sia un delfino, caro vecchio amico.”
In quel preciso momento, un secondo delfino oltre a Tifone, cominciò a fare allegri salti giocosi sul mare, per poi allontanarsi con il compagno verso l’oceano. Saturno fece pipì e si crearono confini mobili che si dissolsero in un istante, ma questo non era importante, pensò Saturno, fin quando era possibile trovare nuovi spazi liberi.