Nel tempo del sogno
da "Il messia meccanico"
Il più saggio tra noi, Colui che contava i fili d'erba ci chiamò a sé.
Egli non contava solo i fili d'erba, ma anche gli uomini, le donne, i vecchi, i bambini, gli animali sulla terra, gli uccelli nel cielo, le spighe di grano, le piante, i frutti, i ruscelli, le sorgenti, i pozzi d'acqua, i pesci nel grande lago e nel mare.
“Questa nostra sacra e amata terra si è fatta troppo 'stretta' per noi, per quelli che vivono e per le pianure, le montagne, le acque, il vento, le nubi, che solo apparentemente non vivono.
È ora di andare di là dal mare, dove più grandi spazi ci attendono.
È doloroso abbandonare chi ci ha nutriti e fatti vivere in pace e in armonia con il tutto.
Ma non vi abbattete, non siate tristi. Colui che sapeva vedere nel futuro lo disse molto e molto tempo fa: 'Sarete costretti ad andare, ma dopo momenti di ansia e difficoltà, sarete al centro di meravigliose esperienze, mai provate prima. E nella ricerca della nuova terra e anche dopo vivrete momenti bellissimi, nell'incanto del Tempo del Sogno.'”
Così confortati dalle parole dei saggi, non spargemmo lacrime.
Abbandonammo le attività di ogni giorno e ci mettemmo all'opera per costruire zattere e imbarcazioni di ogni tipo. Su di esse posammo zolle della sacra terra che ci aveva sfamato e consentito un'esistenza libera, nella pace e nell'armonia. Su quel santo suolo spargemmo semi perché nascessero alberi, fiori, frutti e ogni specie di verde.
Quando fummo pronti per la partenza, il mare si fece grosso e tempestoso. In cielo, il Grande Giocoliere, dalle mille irreali apparenze, il più beffardo tra quelli che avevamo adorato, fece apparire e scomparire le stelle, le cambiò di posto, così che non ci fu più sopra di noi, nella grande volta, chi potesse indicarci con sicurezza la via.
Colui che contava i fili d'erba interpretò gli oracoli, poi disse:
“I nostri dei non vogliono che partiamo. Temono di rimanere abbandonati qui e di morire di inedia, non più nutriti da preghiere e invocazioni. Temono che li dimenticheremo, abbracciando gli dei delle terre dove andremo a stabilirci.”
Consigliati da Colui, stringemmo un patto eterno con i celesti. Sempre li avremmo conservati nei nostri cuori. Costruimmo un tempio su una zattera, ben li onorammo ed essi partirono con noi.
Il mare diventò calmo. Il Grande Giocoliere finì di trastullarsi con le stelle.
Partimmo e ci fecero ombra le vele.
Anche gli antenati approvarono la nostra decisione. Essi volarono in alto, davanti a noi, indicando insieme alle stelle la rotta da seguire. E fu per loro intercessione che chi poteva rese il tempo sereno, il mare calmo e costante un soffio di vento leggero.
Un filo di mare penetrava nella mia imbarcazione, diveniva piccolo fiume d'acqua dolce e bagnava i due alberi, circondati dai fiori e fecondati dalle ceneri dei miei genitori. L'albero di mia madre, di notte, muoveva le foglie per mostrare un quarto di luna. L'albero di mio padre piegava i suoi rami perché si affacciasse, quando era più alto, il sole potente.
Gli animali liberi e quelli che vivevano con noi sognavano tranquilli i nuovi spazi vitali.
Sulla zattera dei poeti e dei pittori dalle vibranti visioni, molto fu scritto e dipinto sulle cortecce. Là dove saremmo andati, avremmo trovato alberi immensi. Avremmo costruito capanne sulle foglie, avremmo danzato sui fiori e scavato nei frutti succosi alla ricerca dei semi e del perché della vita.
Fummo in vista di innumerevoli isole. Esse furono, sempre visitate da Colui che contava i fili d'erba. Il saggio si accompagnava all'aquila sacra. Nulla sfuggiva né al sapiente, né al veloce rapace. Ma, immancabilmente, Colui tornò da noi scuotendo la testa.
Molte volte mietemmo il grano dorato sulle zattere e raccogliemmo frutti ed erbe odorose. Portammo offerte agli dei nel tempio sull'acqua e ci nutrimmo.
Sul natante della storia i più anziani recitarono lunghe litanie intorno al fuoco perenne. I più giovani appresero ripetendo e cantilenando, perché nulla venisse perduto di quello che eravamo stati ed eravamo.
Il viaggio fu lunghissimo. I nostri antenati, quando molto tempo era trascorso, mostrarono di essere stanchi e si raccolsero nel tempio per impetrare che l'interminabile peregrinare avesse fine e che potessero riposare nella nuova terra.
La grazia fu accordata e, finalmente, Colui che contava i fili d'erba mise piede in una terra immensa, della quale non si riusciva a intravedere i confini.
Non fu necessario che Colui dispiegasse la sua attività di sommo agrimensore di vita, né che egli interrogasse la veloce aquila dalla vista acuta.
Al saggio, infatti, apparve un ponte enorme dai mille colori che collegava la nuova terra a quella che avevamo lasciato.
Sbarcammo felici. Gli spazi erano smisurati, tali da garantire degna vita e rispetto per tutti, dei, piante, uomini, animali, montagne, pianure, acqua, vento, nubi e i frutti delle viscere della terra.
“Che nessuno soverchi e nessuno perirà” scrisse su una roccia Colui, ispirato dal dio del sommo equilibrio.
Gli antenati finalmente poterono riposare, ma vegliando trepidanti sul Tempo del Sogno, perché quando ha termine il Tempo del Sogno tutto è destinato a morire.