Un cantore in fondo al mare
da "Il messia meccanico"
Drosìa chiuse gli occhi alla notte. Un sonno profondo e, poi, emerse, dalle nebbie di un sogno, un vecchio, che regolò un antico strumento a corda. Si dispose a cantare, ma prima disse:
“Questo canto rallegrava tua madre e, prima di lei, tua nonna e tutte quelle che le precedettero, fino a un tempo lontanissimo.” L'anziano, quindi, fece risuonare il motivo. La musica era dolce ma sconosciuta alla sognatrice e le parole risultavano insolite, ignote, in una lingua sconosciuta. Lo sforzo di decifrare un idioma arcano, perso nel tempo, rese il canto e il suo esecutore molesto.
Drosìa si sveglio di soprassalto e il vecchio cantore sparì.
La bella giovane abitava in un villaggio sul mare. Aveva solo pochi mesi quando aveva perso entrambi i genitori. Prima il padre, pescatore, e, subito dopo, la madre, finita dagli stenti e dal crepacuore. Era stata allevata da una buona zia sordomuta, che si era sempre prodigata al massimo per lei, ma che non l'aveva mai potuta addormentare al suono di una dolce ninna nanna, tramandata, come una reliquia preziosa, di generazione in generazione, ma poi disconosciuta da nuovi tempi.
A Drosìa mancava qualcosa, nel suo passato c'era un vuoto che le cure, pur affettuosissime, della parente non avevano colmato. Ciò si riversava sul temperamento e sul carattere, la ragazza non era completamente serena, era ansiosa, incerta sul futuro. Il suo stato d'animo la costringeva a rimandare all'infinito decisioni fondamentali sul suo avvenire.
Così il giovane, fedele Filinò, suo innamorato da quando entrambi erano bambini, era costretto ad attendere che Drosìa si decidesse a fissare la data delle loro nozze. Eppure, avevano raggiunto l'età giusta per costruire una famiglia.
Quel mattino Filinò la vide molto turbata e le chiese ragione di quel suo trepidare. Drosìa narrò del sogno, del vecchio e del canto interrotto da un brusco risveglio. Il promesso sposo capì che nel racconto dell'amata si nascondeva qualcosa, ricordava confusamente, dai racconti della nonna, morta da poco a cento anni, di un vecchio cantore che appariva di notte alle ragazze da marito. Ma cosa preannunciavano quelle visioni? Si trattava, forse di un cattivo presagio? Bisognava chiedere a un “esperto”. Dopo un lungo discorrere e dolcemente contrastarsi, Filinò convinse Drosìa ad andare da chi certamente ne sapeva molto più di loro, dalla Masciara, una donna che viveva solitaria in una misera capanna sulla spiaggia.
La Masciara era temuta dagli abitanti del villaggio, il solo pronunciare il suo nome faceva trasalire anche i più coraggiosi. Ma quando qualcosa di strano, misterioso, inesplicabile accadeva, le paure veniva vinte e chi era al centro di tenebrosi avvenimenti si recava da lei, anche se con il cuore in gola.
Va detto, però, che la Masciara trafficava in arti magiche solo a fin di bene. Non era come la terribile Stiara, che viveva, invisibile tra la gente, e procurava solo il male.
Erano sì arrivati tempi nuovi nel paese, si era persa l'antica lingua, le tradizioni, il significato dei segni e dei simboli, ma le paure ancestrali erano rimaste integre. Non c'era, perciò, da meravigliarsi se la gente andasse ancora dalla Masciara per un aiuto o che maledisse la Stiara per tutto il male che dispensava.
C'era un rituale da seguire con la Masciara. La vecchia fattucchiera respingeva immancabilmente tutti quelli che andavano da lei. Bisognava insistere, incuranti dei malanni più stravaganti che venivano preannunciati dall'abitante della spiaggia. Ma dopo quel teatro, la Masciara accettava gli ospiti e si metteva, senza nulla chiedere, a loro completa disposizione.
Al racconto di Drosìa la maga illuminò subito il viso. Non ci fu bisogno di versare gocce d'olio in un basso recipiente di acqua e studiare il comportamento delle forme che si creavano, come faceva di solito per i consulti difficili. Qui, invece, era tutto chiarissimo.
La Masciara guardò diritta negli occhi la ragazza, facendola impaurire non poco, poi disse:
“Tu hai avuto la visione di Aleo, il vecchio cantore che parlava la lingua dei padri dei padri. Nessun giovane la usa più. Tu eri l'ultima giovane donna alla quale il cantore è apparso. Per lui non c'è più nessuna speranza. Egli non si manifesterà più nei sogni di nessuna.
Una vecchia maledizione della malefica Stiara tiene prigioniero Aleo per l'eternità in fondo al mare. Si poteva sottrarre al maleficio, ma sarebbe stato necessario che una sola ragazza gli avesse fatto continuare il suo canto fino al termine e non lo avesse scacciato subito dal sogno. Ma, si sa, voi giovani siete attratti solo da parole senza radici che vengono qui dopo un lungo viaggio, dopo aver perso l'anima, e rifiutate, invece, le nostre perdute espressioni.”
La Masciara si era intristita, ma, all'improvviso, ebbe uno scatto, prese ad accarezzare Drosìa e, poi, afferrò una mano della giovane tra le sue ossute, nodose dita. Si trattava di gesti affettuosi, ma alla maniera rude di una fattucchiera, ovviamente. Era inevitabile che i due giovani fraintendessero: Drosìa si ritrasse impaurita e Filinò si fece avanti per proteggere la sua amata.
La Masciara proruppe in una risata sguaiata, mostrando larghi spazi vuoti tra i denti.
“Di cosa avete paura, sciocchi! Io opero per il bene. Voglio aiutarvi a conquistare la felicità alla quale avete diritto. Siete fatti l'uno per l'altro, ma a Drosìa manca qualcosa. E io la aiuterò a cercare e a riempire un vuoto, perché possa finalmente affrontare senza esitazioni le sfide della vita. E la prima è quella di unirsi in matrimonio, senza paure e con il cuore pieno di speranza.
Tu hai bisogno di imparare un vecchio canto, quello che Aleo ti ha solo potuto accennare. È una ninna nanna nella nostra antica lingua. Tu la canterai ai tuoi figli ed essi potranno crescere in pace e in gioia.
Il vecchio Aleo è incatenato in fondo al mare e non può tornare nei tuoi sogni, ma io conosco il modo per aiutarti nonostante questo grave impedimento.”
La Masciara si incamminò verso il mare. Andò verso il largo, dopo aver gridato delle istruzioni a Filinò e a Drosìa.
Man mano che si allontanava, danzando sulla distesa azzurra, la buona fattucchiera si trasformava. Il peso degli anni spariva e lei diventava una maestosa e inarrivabile dea delle acque.
Invocò il vecchio cantore Aleo, attese e il mare ribollì. Allora immerse ripetutamente le mani a coppa nell'acqua, raccolse qualcosa di immateriale e lo lanciò ogni volta in direzione dei giovani. A ciascun lancio si diffondeva un suono e sulla sabbia appariva un'antica parola. Filinò la leggeva e Drosìa la ripeteva con la giusta intonazione e la mandava a memoria.
Bisognava far presto perché il mare, inesorabilmente, con un'onda leggera che si frangeva sulla spiaggia, in un attimo cancellava lo scritto e spegneva il suono con il rumore della risacca.
Quando l'intero canto fu completato, Drosìa fu in grado di ripetere senza esitazione, per intero, una dolce ninna nanna che veniva da un tempo lontano, quando anche il mondo era bambino.
Paura e ansia erano sparite nella giovane, che, arrossendo, accennò un sì con la testa a una muta interrogazione di Filinò. Era, finalmente, pronta, Filinò la strinse nelle sue braccia.