Radici
da "Il messia meccanico"
Gunnar lo scontroso era parco di comunicazioni. Torreggiava all’estremo nord, e, solo dopo un lunghissimo itinerario e un tempo che non finiva mai, a sud, il buon Alcibiades riceveva a pezzi e bocconi, sue notizie, peraltro frammentarie.
“Freddo, gelo” furono le ultime sensazioni che da nord passarono a sud. La parte settentrionale del continente fu sommersa sotto un alto strato di ghiaccio. Alcibiades capì, alla fine, che il suo riluttante corrispondente era morto. Sperò che un giorno, cambiato profondamente il clima, un figlio di Gunnar avrebbe ripreso i contatti.
Passarono inesorabili i secoli, Alcibiades si fece sempre più imponente, ben riparato dai rigori climatici. Ma anche all’estremo nord le cose miglioravano, e un giorno Alcibiades ricevette una notizia sensazionale: i ghiacci si erano ritirati e la vita era ritornata. Le notizie erano certe e provenivano da Gutfrid il riservato. Si trattava del figlio o, comunque, di un erede di Gunnar? Alcibiades ne era certo.
Ora foreste sconfinate occupavano l’intero continente. Alcibiades poteva comunicare con fratelli in ogni angolo di quelle terre. Da nord a sud, da est a ovest, c’era sempre chi rispondeva ai richiami. Così, tra gli altri, Alcibiades, Bonavicius, Faolan, Atellanus, Jamna erano in contatto continuo.
Ognuno aveva il suo territorio e non sconfinava negli altri. Certo, qualche seme solitario arrivava lontano dalla sua dimora naturale. Non era un problema. Quando accade a pochi, ci si acclimata facilmente e si è bene accetti. È un arricchimento reciproco. Ma se sono tantissimi i semi a trasmigrare, si è in presenza di un’invasione. Accade l’inevitabile: o muoiono gli invasori, o, più spesso, periscono gli autoctoni.
Una sconfinata rete sotterranea di radici attraversava il continente. I sottili filamenti si toccavano leggermente e trasmettevano sensazioni e informazioni. Al centro della rete era il più prestigioso, il più rispettato: Alcibiades il saggio.
Gli animali non attentano alla foresta e la foresta non pregiudica la vita degli animali.
Ma la comparsa dell’animale uomo mette in discussione tutto. L’uomo è nemico della foresta, che scompare inesorabilmente un pezzo alla volta. Eppure fino a tempi recenti, sottili strisce alberate hanno consentito che le radici costituissero un lungo canale di comunicazione.
Ora il vecchio saggio Alcibiades è isolato, forzatamente taciturno, ma riesce alla fine a lanciare un ultimo messaggio, che si disperde nella terra, perché lontani e dispersi sono i destinatari.
"Ulivi, pini, castagni, larici, abeti, querce, betulle, ontani, frassini, tigli salici ed altri, siamo tutti fratelli nel nome del Sole. Non siamo oggetti, ma esseri sensibili ed intelligenti. Senza di noi la vita non esisterebbe. Uomini, non siete padroni della Terra. Cosa volete fare di questo continente, un'immensa distesa di case e di catapecchie? Abbiate il coraggio di essere di meno, e lasciare spazio così che anche gli animali e le foreste prosperino e che si ricrei l'antica rete sotterranea del mondo vegetale."
Il vecchio Alcibiades, sa che il suo messaggio è vano, perché è conscio del fatto che gli uomini vivono nell’equivoco etico sul valore che ha la vita tra i vari esseri viventi. Alcibiades carico di millenni, piange disperdendo le foglie al vento, il suo tronco avvizzisce tra crepitii, segno inesorabile di una morte imminente.