Il poeta e il suo secolo

da "Il messia meccanico"


Il poeta Nikolaus era costantemente seguito da quattro gatti. Definiva quella situazione, con soddisfazione, un rapporto poetico perfetto.

È inevitabile: avere sempre le stesse compagnie influenza. Nikolaus aveva finito non per miagolare, ma per avere dei baffi lunghi e sottili. I peli lucidi partivano dalle sue labbra quasi a disegnare un’immaginaria cravatta a farfalla.

Ciò aveva avuto un peso nella poetica dell’uomo. Era diventato un poeta di sensazioni, che raccoglieva, inutile dirlo, dai baffi - vibrisse.

A cosa servono i poeti? A quello che servono i gatti. Al sublime nulla. Non ci fu mai, dunque, sodalizio più riuscito.

I felini trasmettono, poi, quel pizzico di magia che fa entrare in un’altra dimensione.

Nikolaus non aveva bisogno di carta da scrivere. Gli bastava raccattare vecchi giornali. Il soffio di un poeta gatto è micidiale. Le parole false si staccano e volano via, c’è un affannoso rincorrersi di lettere che vanno a nascondersi per la vergogna. L’uomo aveva sempre a disposizione pagine su pagine bianche, lavate dal suo alito.

C’era un’altra cosa che entusiasmava quella brava persona: guardare lo sfarfallio di un tubo catodico, in un televisore senza antenna. In quei minuscoli lampi di luce c’era la verità, sulla pace e sulla guerra.

La guerra in corso finì. Il poeta e i gatti arrivarono nel terreno devastato. Si fermarono tra le rovine di una casa. La campagna vomitava i resti delle bombe intelligenti, i brandelli di vita ridotti a poltiglia. L’uomo si sedette su un sasso, chiuse gli occhi e cominciò ad agitare i baffi.

I gatti si sparpagliarono sulla terra violata per esplorare. Tra i miasmi dei veleni violentemente portati da proiettili di ogni tipo, giacevano in crateri uccelli, per lo più morti. L’irrompere dei gatti fece rianimare quelli che erano solo storditi. Si formò e si alzò in volo uno stormo consistente. 

Quello, in formazione, cominciò a scacazzare. Finalmente un segno di pace e di speranza per la terra offesa.

I felini tornarono da Nikolaus. “Maestro - gli chiesero - parlaci del Novecento.”

Il poeta aprì gli occhi, si alzò. Estrasse da una tasca un pezzo di filo spinato. Lo guardò a lungo, poi lo strinse nella mano con forza. Gli aculei entrarono nella carne. Non un lamento. Non era un romantico.

Il sangue cominciò a colare abbondante. Con quello Nikolaus scrisse su un muro bombardato: “Novecento.”