Le foglie
da "Il messia meccanico"
Invece di definire selvagge, primitive, certe popolazioni, usate la lente di ingrandimento. Osservate il gruppo, persona per persona. Scoprirete che esiste l’individuo sognatore, il malinconico, il paterno, il materno, il malfattore, l’onesto, il genio, lo stupido. Alla fine dell’analisi capirete di trovarvi di fronte a un pezzo di umanità, tale e quale a quello che vi circonda.
Un uomo appartenente a una tribù di Yanomani, nella foresta amazzonica era timido, gentile e dotato di grandi qualità. La mite persona era, per gli amici ed i parenti, “Quello che usa bene le parole” o “Quello che sa vedere ciò che gli altri non vedono”. Altri lo chiamavano “Quello che ti rende triste senza volerlo” o “Quello che sa parlare d’amore”.
“Quello che usa bene le parole” era un poeta. Può meravigliare i disattenti che tra i cosiddetti selvaggi ci sia un poeta. Ma era un fatto che “Quello” era uno dei più grandi poeti mai esistiti. La sua fama, però, non andava al di là di un tiro di freccia dal villaggio.
L’intera tribù conosceva il valore di “Quello”. Anche le opere della natura sembravano comprendere i suoi meriti. L’albero dalle mille e mille foglie scrollava festosamente i rami al suo passaggio.
Estranei prepotenti cominciarono a penetrare nel territorio della tribù. Venivano a depredare le ricchezze della foresta, a rubare i segreti della medicina degli Yanomani, ad imporre, non richiesti, la loro cultura e la loro religione. Gli estranei consideravano con sufficienza e senza rispetto il popolo della foresta. Avevano la triste capacità di far sentire stranieri gli Yanomani nel loro stesso mondo.
“Quello”, insieme agli amici del villaggio, si trovò un giorno in fila. Un medico stava conducendo degli esperimenti sulla resistenza degli Yanomani a una forma violenta di morbillo. Non si trattava del dottor Mengele, ma di uno stimato scienziato degli Stati Uniti.
L’americano e “Quello” si trovarono di fronte. Il primo non degnò di uno sguardo il poeta. Si sentiva padrone anche di quella parte di mondo e, ovviamente, anche dei suoi abitanti-cavie. Il secondo, invece, aveva uno sguardo limpido. Non si era mai sentito padrone di qualcosa, ma solo il rispettoso interprete della foresta e di tutto ciò che lo circondava.
“Quello e centinaia di Yanomani, usati come cavie, morirono. Evidentemente, non erano resistenti al morbillo.
Nessuna accademia, nessuna personalità del mondo letterario espresse il suo cordoglio per la morte di uno dei più grandi poeti mai esistiti.
Solo il grande albero si spogliò delle sue mille e mille foglie. Il fiume maestoso rallentò il suo corso per portare nel grande oceano un tappeto di lacrime verdi.