Universale Remedium
XIV
«Grande è stata la mia vergogna. Ho cominciato le mie esibizioni. Travestito da Pazuzu ed accompagnato da Senator e da Malabestia, mi sono recato alla casa di Holconius Priscus. Il padrone di casa è uomo molto facoltoso, ma egli, i suoi amici e le loro donne ignorano completamente quale sia il rispetto dovuto anche al più umile degli esseri umani. Mi sono finto muto e sordo come era necessario, dal momento che mi ero proposto di impersonare fino in fondo la parte del mio amico Pazuzu. Gli occhi mi si sono riempiti di lacrime, mentre quella canaglia, ebbra di vino, faceva segno me e le due povere bestie ai più atroci dileggi. Mi sono, poi, rasserenato, pensando che tutta quell'accoglienza era diretta a Pazuzu e non a me. Ho ammirato il fenicio. Grande è il suo merito e grande messe egli raccoglierà in futuro dagli Dei, per aver pazientemente sopportato le offese del prossimo. Quando ero sotto la rete, che mi era stata lanciata da Malabestia ed ero centrato da frutta e da uova marce, dicevo a me stesso: 'Questo è per te, Pazuzu, non è mio. Va a tua gloria. Un giorno raccoglierai altri frutti, profumati e maturi al punto giusto'. Avrei voluto gridare questa frase, ma ero muto. Non mi sono però, potuto completamente trattenere, e dalla mia gola è salito un indistinto gorgoglio di suoni rochi. Questo ha sollazzato ancora di più la cattiva gente che era in quella casa. La generale eccitazione non poteva non sfociare in atti di crudeltà contro i poveri animali, che erano con me. Grande è stata la mia pena per loro.
Uno della turba, più avvinazzato degli altri e, fortunatamente, il più mingherlino, è saltato addosso a Senator. L’animale è stato costretto a compiere dei giri intorno a me. A distanza ravvicinata, sono stato costretto a ricevere sul viso avanzi maleodoranti del pasto, che i birbanti avevano consumato. Malabestia, oh, che nome terribile per un animale che ho scoperto essere tanto gentile e delicato, mi è venuto in braccio. Tremava.
Finalmente, si sono stancati di noi. Holconius Priscus me l’ha fatto chiaramente intendere, dandomi un poderoso calcio. Sono stramazzato a terra. Mi sono, subito dopo, affrettato a rialzarmi, tutto dolorante, ma felice, per il merito che stavo facendo acquistare a Pazuzu. Con Senator e Malabestia mi sono rifugiato in un angolino buio, dietro una colonna. Gli uomini, intanto, avevano cambiato il modo di spendere inutilmente il loro tempo e giocavano ai dadi il danaro facilmente guadagnato in danno di altri. Da mezze frasi, da lazzi lanciati sguaiatamente, sono riuscito ad apprendere informazioni che sono di estrema utilità. Sono stato messo in grado di iniziare le mie indagini. Un sorriso di soddisfazione era, perciò, dipinto sul mio viso anche quando, scoperto dietro al mio provvisorio nascondiglio, venivo accompagnato all'uscita da poderosi calci. Ho ricevuto una continua spinta in avanti e non sono riuscito a poggiare per un solo istante i piedi per terra. Mi sono ritrovato in breve in strada, seguito da Senator e Malabestia. I due mi sono stati buttati addosso, con malagrazia. Fortunatamente, non hanno riportato alcun danno. Pazuzu ci attendeva, impaziente, davanti alla porta. Si è mostrato sinceramente preoccupato, vedendomi zoppicare. Guardando, poi, tutti gli avanzi di cibo che mi adornavano, mi ha fatto intendere che immensa era la sua ammirazione per me. Il mio amico era convinto che grande era stato il successo della mia esibizione».
Tramma si accingeva ad iniziare il rotolo successivo, ma la sua attenzione fu richiamata da un tramestio davanti alla sua casa, un rumore di passi affrettati e l’affanno di un mantice, mai sentito prima tra le antiche mura di Pompei. Si affacciò alla porta Mastro Antipher. Era rosso in viso, congestionato al massimo. Non riusciva a parlare. Il cuore andò in gola a Tramma. Cosa era potuto succedere? Fece sedere l’amico sulla sella curule e riuscì a fargli bere qualche goccia di latte di capra.
«Beva, Antipher. Questa è produzione mia personale. Intendo dire che l’ho munto proprio io. Da quando Pat se ne è andata, c’è stato un vuoto incolmabile, che a malapena sono riuscito a riempire. Vuol dire che, più tardi, costruirà una mungitrice meccanica». Tariq aveva detto quelle parole, relative ad un fatto di estrema importanza, ma fuori luogo in quel momento, per rincuorare l’artigiano.
«Ispettore, ho fatto una scoperta interessantissima». Pur se con difficoltà, l’uomo era riuscito, infine a parlare. «Mi è venuta l’idea di andare a curiosare nei posti dove avevano scavato i nostri amici della Red Pompeian House. Che scempio per il patrimonio archeologico. Non avevo scoperto niente di interessante fin quando non ho iniziato a guardare nel recinto che era stato assegnato a Petruchio. Un grosso coperchio di pietra, appena nascosto sotto un sottile strato di terra, ha subito attirato la mia attenzione. È stato relativamente facile sollevare il masso lavorato. Al di sotto di esso c’è un cunicolo che permette il passaggio di un uomo di statura regolare. Ispettore, là sotto c’è come una città sotterranea. È una serie di grotte, scavate nei materiali vulcanici, in un’epoca che non so precisare, e che seguono regolarmente la pianta della parte ancora sepolta di Pompei. Dobbiamo andare subito là». Tramma, trascinato dall’irruenza dell’artifex, che si era completamente ripreso, riuscì a malapena ad afferrare un paio di rotoli, prima di uscire.
Cominciarono la loro ispezione senza un piano preciso. Il cammino era rischiarato da torce che mandavano un bel profumo resinoso. Antipher portava con sé anche una pala e qualche attrezzo utile per il lavoro di scavo. Penetrarono in un grande ambiente, sul fondo del quale affioravano delle masse scure, di aspetto metallico. «Devono essere delle statue di bronzo» gridò Antipher eccitato. L’uomo sistemò la torcia in una crepa e iniziò a darci dentro con i suoi attrezzi, per liberare le opere imprigionate. Fortunatamente, il terreno era sciolto, come se già quel lavoro fosse stato effettuato.
Tramma collocò, a sua volta, il tizzone fiammeg-giante e si sistemò per leggere altre puntate del racconto di Sinopis. «Un nome ricorreva tra le grida degli uomini ubriachi, intenti al gioco dei dadi nella casa di Holconius Priscus. Si doveva trattare di un personaggio importante. Infatti c’era uno che diceva 'Popidius Facus ha in animo di tessere stoffe preziose partendo dalle code degli asini'. Un altro sghignazzava e annunciava 'Ho sentito che ha anche intenzione di spacciare per pelli pregiate, materiali di infimo valore ricavati da animali ai quali mai nessuno penserebbe'. Un altro ancora: 'Popidius Facus ha emissari in tutti i principali mercati di schiavi dell’impero. Ha dato incarico di comprargli gli artigiani più abili, capaci di trasformare qualsiasi materiale e di rendere possibile ogni falsificazione‘. Mi sono, quindi, recato da questo Popidius Facus. Poiché ho scoperto che mi riesce estremamente facile assumere le sembianze di altri individui, senza che nessuno se ne accorga, mi sono travestito da mercante siriaco depredato dai pirati. Mi sono chiesto se questi camuffamenti possono essere in contrasto con i miei principi morali. Dopo lungo travaglio, ho risolto che, sebbene deprecabili, essi sono ammissibili, in quanto sono solo uno strumentò per pervenire alla soluzione dei problemi derivanti dall'incarico affidatomi.
Popidius Facus mi ha guardato a lungo. Non ha potuto nascondere il sorriso che gli ha increspato le labbra. Certo il travestimento è stato perfetto, e l’aspetto degli uomini caduti in disgrazia non muove più il prossimo alla commossa partecipazione. ‘Così tu sei un mercante siriaco. La tua nave è stata assalita dai pirati. Il carico è stato depredato e tu, solo per un caso, sei riuscito a sfuggire alle loro grinfie. Sei un ottimo nuotatore, siriaco. Parli bene la mia lingua. Si sente appena l’accento che ti deriva dalla tua lingua madre. Cosa posso fare per te?‘ L’uomo era estrema-mente gentile. E suoi tratti erano dolci. La sua eleganza, che si rivelava nelle vesti sontuose che indossava, nelle essenze odorose di cui era cosparso, era esasperata, più femminea che maschile. Ma su questi aspetti non giudico.
'Signore' gli ho detto 'cerco un lavoro che possa sostentarmi, e darmi la possibilità di accumulare quel tanto che è necessario per potermi pagare il viaggio per il mio paese. Ohimè, non è la prima volta che sono vittima dei pirati. Già una volta sono stato costretto, dalle azioni di quei malvagi, a lavorare con le mie mani. Non ho sfigurato, sai. Unisci questo alle mie conoscenze di mercante sugli oggetti preziosi. Sono sicuro che potrò esserti molto utile. So che i tuoi schiavi costruiscono oggetti mirabili. Mettimi alla prova'.
Popidius Facus non ha avuto esitazioni. 'E sia. Poiché io fabbrico molte cose e non so in quali lavorazioni mi potrai essere più utile, un mio schiavo ti farà vedere ciò che produciamo. Sceglierai il lavoro più idoneo per te e più profittevole per me'.
Sono stato sbalordito per tanta munificenza. Devo dire che la facilità, con la quale Popidius mi ammetteva a conoscere i suoi segreti, mi ha anche insospettito. Ma ho subito pensato che non era giusto coltivare, sul prossimo, questo genere di pensieri. E proprio in una di quelle occasioni, fattesi così rare al giorno d’oggi, nelle quali gli altri ti danno una mano. No, mi sono detto, non c’è motivo di preoccuparsi. Il mio astuto travestimento e la facilità delle mie parole lo hanno convinto. Non c’è nulla da temere.
Sono stato condotto in un vasto locale. Il caldo opprimente, i vapori di materiale fuso mi hanno fatto comprendere che mi trovavo in una fucina...».
L'appassionante lettura fu interrotta da un grido di stupore. Antipher, sudato e scarmigliato, aveva buttato a terra la pala ed ora guardava perplesso il gruppo bronzeo, finalmente liberato dalla massa dei detriti. «E questo cos'è?» chiedeva il brav'uomo grattandosi la testa.
Tramma sollevò gli occhi dal papiro e non seppe dare una risposta a quella domanda. Non se ne preoccupò, comunque, perché, di lì a poco, Sinopis gli avrebbe svelato il segreto. Tariq non voleva essere distolto da altre interruzioni. «Scavi da quell'altra parte. Ci deve essere roba interessante da portare alla luce».
L’artigiano si lasciò facilmente convincere e riprese lo scavo nella direzione che gli era stata indicata. Così Tramma, per nulla disturbato dal rumore della pala, riprese la lettura.
«Lo schiavo, che mi faceva da guida, mi ha illustrato con competenza il lavoro di uomini seminudi, grondanti di sudore per il calore insopportabile. Tutto era perfettamente studiato per riprodurre...».
« Ma è uguale a quell’altro » aveva sbottato, intanto, Mastro Antipher con disappunto. Tanta era stata la sua delusione, che aveva colpito con la pala la statua.
«Continui a scavare dall'altra parte, allora» aveva suggerito Tramma, non riuscendo a nascondere di essere seccato. Titius Caius riprese il suo lavoro, anche se più lentamente. Cominciava a mostrare evidenti segni di stanchezza.
«Tutto era perfettamente studiato per riprodurre all'infinito un ammasso di figure, espressione non felice dell’arte statuaria. Lo schiavo si è premurato di informarmi che quello era un gruppo denominato 'Mercurio che colpisce con il caduceo il Discobolo concentrato nel lancio che crede imminente'. Ha ritenuto anche di illustrarmi il senso dell’opera. Per farlo, ha impiegato una lingua molto sciolta, da esperto venditore, che denunciava sfumature di accento greco: ‘Mirabile è la smorfia di dolore sul volto del discobolo. Le sue dita cominciano ad aprirsi. Sta per mollare la presa. Credi quasi di stare per sentire il rumore del disco che è per rotolare per terra. Mercurio ha un sorriso beffardo. È sicuro che potrà impadronirsi del disco, di lì a poco. Potente è l’espressione di insoddisfazione di Giove, che guarda da poco lontano. Giove è corrucciato. Il padrone dell’Olimpo non si aspettava un’azione simile da Mercurio‘. Dopo aver terminato quella presentazione, l’uomo mi ha condotto in una stanza vicina, dove uno, che mi è sembrato essere un maestro di eloquenza, ripeteva quello che era stato poco prima detto, con la medesima intonazione, dalla mia guida. Intorno a lui, un gruppo di schiavi ascoltava attentamente. L’uno dopo l’altro, tutti gli allievi ripetevano la stessa cantilena. Lo schiavo mi ha fatto cenno di uscire e mi ha spiegato: 'Quelli che hai visto sono mandati da Popidius Facus a Roma. Là si presentano nelle case degli uomini che da poco sono diventati ricchi, per traffici, ruberie o per altre malefatte. I nostri emissari dicono di essere diretti discendenti del Falso Policleto, uno dei più insigni bronzisti dell’antica Grecia, vissuto al tempo del parimenti illustre Policleto, al quale fu accomunato nella considerazione. I discendenti del Falso Policleto fanno presente ai possibili acquirenti di avere l’opera in strada, in un carro. Se ne separano con molto dolore, perché è un caro ricordo di famiglia, l’ultima cosa dell’antenato. Ma devono pagare il riscatto di un caro parente, caduto prigioniero dei pirati'. Gli ho chiesto: 'Ma ne vendete molte di queste opere?' 'Roma ne è piena‘ mi ha risposto. ‘Tanto, che, tra poco, dovremo pensare a rimpiazzarle con qualcosa di nuovo. Purtroppo, l’uomo che l’ha fabbricata è morto. Era uno schiavo greco, che si faceva chiamare il Falso falso Policleto. Ebbe un acceso diverbio con Popidius Facus, che, quando va su tutte le furie, non lo riconosci più. Alla fine il nostro padrone, in preda all'ira, ha fuso nel metallo il Falso falso Policleto. Ora questa specie di artista si trova in qualche casa di arricchiti di Roma, un po' Discobolo, un po' Mercurio e un po Giove'. L’uomo, a questo punto, ha sghignazzato, mostrando la dentatura marcia. Non mi sono unito a quella manifestazione, perché ridere del prossimo fuso nel bronzo non è bello. ‘Vieni con me‘ mi ha intimato, subito dopo, la mia guida. Ci siamo presto trovati in una stanza dove c’era un altro maestro di eloquenza ed altri schiavi che apprendevano. Ho finalmente capito che la sfumatura greca di accento è fondamentale nella casa di Popidius Facus. Il maestro si rivolgeva ad una donna, immaginaria, perché lì c’erano solo maschi. 'Oh Matrona di incomparabile bellezza, le tue orecchie, il tuo collo e le tue mani sono di fattura tanto nobile che non ho mai visto l’eguale neanche nelle donne più leggiadre della Lidia e della Pannonia. Terre che annoverano, come tu sai, le donne più belle che esistono. Le parti del tuo corpo sono fatte per essere adornate da monili preziosi, da quelli che venivano fabbricati nella nobile città di Tarentum dai nonni dei miei nonni. Sono venuto qui in Roma, che è la madre di tutte le genti, per apprendere, ed ho recato con me danaro per un lungo soggiorno, le mie cose e dei preziosissimi monili che furono fabbricati dai miei avi. Sfortuna ha voluto che, non appena sono arrivato in Roma, uomini maligni e crudeli mi hanno derubato. Mi sono rimasti solo i gioielli perché li avevo ben nascosti nelle vesti. Vedi, Matrona, ne volevo fare omaggio alle sacerdotesse del tempio di Venere Cloacina. Purtroppo, non posso più mantenere questo voto e sono costretto, la dea mi perdoni, a venderli, per potermi pagare il mio soggiorno qui. Ma Venere non mi procurerà sventure se ti cingerai di questi monili, perché tu sei bella al pari di lei. Guarda questi orecchini a forma di piramide rovesciata, e questo anello a castone aureo ovale, e questo altro a castone aureo circolare, e il diadema a lamine d’oro a forma di foglie, che ti farà regina'.
Era appena iniziata la cantilena di quelli che ripetevano la lezione, che la guida mi ha fatto segno di seguirlo ancora. Ci siamo recati là dove altri schiavi, esperti nell'arte dell'oreficeria, erano intenti a foggiare gli oggetti di cui il maestro di eloquenza aveva poco prima tessuto le lodi. Ogni uomo effettuava solo una piccola parte delle operazioni di fabbricazione dei monili. Il lavoro passava subito ad un altro schiavo, per un altro limitato intervento. Così, di mano in mano, il gioiello veniva completato e conservato, poi, in vasi di medie proporzioni. ‘Vedi’ ha avuto l’amabilità di spiegarmi quello che mi accompagnava ‘ti mostro uno degli originali dal quale partiamo per la nostra produzione. Nella città di Tarentum si era raggiunta, anni ed anni fa, un’incomparabile maestria nella fabbricazione dei gioielli. Quelli che si fanno qui sono solo riproduzioni meccaniche. Non c’è più nulla in essi. Penso al soffio creativo dell’artigiano singolo. Quello di Popidius Facus è un lavoro senz’anima, la pallida ripetizione di un’opera di un artista. Ma le nostre buone, ricche matrone non sanno nulla di arte e rimangono incantate dalle parole ingannatrici degli uomini di Popidius Facus, scelti accuratamente per il loro fascino maschile e la facilità dell’eloquio’. A questo punto, la mia guida è esplosa di nuovo in una di quelle sue risate infernali, che mi lasciavano interdetto».
Tramma guardò con la coda dell’occhio Mastro Antipher. L’artigiano aveva smesso l’operazione di scavo, che era stata totale per il primo gruppo bronzeo e solo parziale per altro quattro raffigurazioni in metallo. «Che patacche» diceva a se stesso il brav'uomo. «Non mi è mai capitato di vedere niente di simile in Pompei». L’artigiano vide alcuni orci, che erano in parte sepolti nella terra. Si avvicinò e si diede ad armeggiare intorno, con cautela, per non rischiare di causare danni. «L’uomo che era mia guida mi ha annunciato l’ultima meraviglia. In un ambiente di medie proporzioni lavoravano per lo più schiavi anziani. Ve ne erano di giovani, ma storpi, malandati, invalidi. 'Come vedi, il mio padrone utilizza tutti. Non ci sono né uomini, né materiali di scarto qui'. Il lavoro che si svolgeva in quel luogo era veramente molto semplice. Da una parte si trattava di realizzare un impasto a base di una terra speciale. Non mi esprimo con precisione, perché non sono esperto in quest’arte. L'impasto veniva foggiato in piccoli pezzi dai lati irregolari. Quei pezzi erano lievemente arcuati. Quando erano pronti, perché avevano assunto una consistenza solida, venivano dipinti di nero dagli schiavi più inefficienti tra tutti. 'Sei sorpreso, straniero? Non hai mai visto una meraviglia dell’ingegno simile a questa. Ne sono sicuro. Vedrai quanto oro si può cavare da questi pezzi, che sembrano insignificanti e di valore miserabile'. Uno di quelli che era versato nell'arte della parola, tanto da poter ingannare facilmente il suo prossimo, era intanto entrato, seguito dal solito codazzo di discepoli. I nuovi arrivati si aggiravano tra gli uomini intenti al lavoro, senza che questi mostrassero alcuna curiosità. Il maestro ha preso in mano uno dei volgarissimi cocci e ne ha iniziato a fare la storia e a tesserne le lodi, tanto che, alla fine, anch'io ero convinto che quelle erano cose sublimi. 'Oh giovane straniero che vieni da Roma incomparabile, maestra delle genti, salute! Mi compiaccio che tu, appartenente al popolo più potente, abbia sentito il bisogno di venire in questa mia terra greca. Certo, per abbeverarti alle fonti dell’arte, di cui i miei antenati sono stati indiscussi maestri. Penso che anche tu, tornando in Roma immortale, voglia far vedere agli amici, dai gusti raffinati pari ai tuoi, un esempio delle meraviglie realizzate dai nostri artefici di tanto tempo fa. Ma sei giovane e non hai molto danaro da spendere. Mi ispiri simpatia. Voglio beneficarti. Tu conosci certamente il grande Polignoto, mirabile pittore di vasi. È vissuto tanto tempo addietro. Sono riuscito a scoprire dove il maestro creava le sue meraviglie. Gli insulti del tempo si sono fatti sentire ed il suo lavoro, purtroppo, è andato distrutto. Rimangono dei frammenti, dai quali si può ricavare un’idea precisa delle sue opere. Ammira questo. Faceva parte di un vaso sul quale era dipinta una scena di eccezionale potenza. Hai certamente sentito parlare del Sileno ebbro che intima al centauro Chirone di smontare da cavallo, per impossessarsene. Guarda. Guarda il frammento. Anche se piccolo, lascia intravedere la potenza espressiva di tutta la composizione. Vedi il trasognato gesto di comando del Sileno, ed ammira l’espressione di smarrimento e di sorpresa del centauro. Oggi sono pazzo, amico mio. Questa opera d’arte potrà essere tua per poco danaro. I tuoi parenti ed i tuoi amici resteranno stupefatti come il centauro Chirone, quando la potranno ammirare’. Mi trovavo in una condizione peggiore di Chirone. Ero letteralmente impietrito. Lo schiavo-guida mi ha colpito energicamente, per farmi tornare alla realtà. ‘Vieni, torniamo da Popidius Facus. Non c’è altro da vedere. Non so se hai capito. Questi giovani amici, che il mio padrone fa addestrare con tanta cura, vengono mandati in Grecia. Lì avvicinano, con il discorso che hai sentito, i loro coetanei romani inviati ad Atene e dintorni dai ricchi genitori'.
Popidius si era fatto, intanto, incontro con il più smagliante dei suoi sorrisi femminei. ‘E allora, siriaco? Dove credi di poter essere utile?‘. Non sono riuscito a resistere un attimo di più in quel tempio della falsità e dell’inganno. È ignobile comportarsi in questo modo nei confronti del prossimo. Mi sono girato di scatto e, senza pensare alle conseguenze del mio gesto, ho cominciato a correre come un forsennato verso l’uscita. Sono addirittura volato fino all'angolo della strada. Poi ho pensato a quello che avevo fatto. Mi sono voltato. Nessuno mi inseguiva. Sentivo solo l’eco lontano di risate. Possibile che, dopo aver conosciuto tutti i segreti di Popidius Facus, fossi lasciato libero? Quel pensiero mi preoccupava. Sono, infine, arrivato ad una conclusione che ho ritenuto plausibile. Era stata la falsità delle mie sembianze ed, ohimè, delle mie parole, a vincere in quella casa dell’inganno. Mi sono tranquillizzato, infine. Altri pensieri mi hanno preso. Che quel falsario abbia creato tutto ciò che ho visto è possibile. Mi sembra, però, improbabile che abbia potuto metter su tutta l’organizzazione, che smista i giovani ingannatori, li invia a Roma ed in Grecia insieme ai loro carichi di falsità. C’è, sicuramente qualcuno più in alto di Popidius Facus».
Tariq Tramma riavvolgeva lentamente il rotolo e guardava sorridendo il povero Mastro Antipher. L’artigiano aveva intuito che quelle cose non erano contraffazioni genuine, come quelle che costruiva lui, ma erano giochi infami. Dopo aver scoperto i gioielli e i cocci neri, Titius aveva distrutto con la pala gli orci e le anfore che li contenevano. Intanto le torce si erano spente. Venne il buio.