Universale Remedium
XVI
Gli unici due abitanti di Pompei erano intenti a mangiare in uno dei locali appartenenti alla catena dei thermopolia Donaldi.
Ogni giorno, ad ora di pranzo, per volontà dell’artigiano, dovevano andare in una locanda diversa. «Questo» diceva il brav'uomo «movimenta la vita». A turno i due cucinavano, ma l’incombenza toccava, naturalmente, spesso al più anziano tra i due.
«Ispettore, come andrà a finire la storia di Sinopis?»
«Credo, anzi ne sono certo, che morirà».
«In fondo, mi dispiace. Doveva essere una gran brava persona, come lei. Ma si è fatto un’idea di lui come investigatore? Sinceramente, chi è il più bravo tra Tramma e Sinopis?» «Come si può rispondere? Sono diverse le tecniche, il modo di ragionare, la struttura sociale. Mah ... diciamo che ci equivaliamo».
Ritornarono, subito dopo il pasto frugale, a quelle che erano, ormai, le loro sole occupazioni. Tramma si immergeva nella lettura e Antipher si dava a frugare nelle gallerie che partivano dalla “concessione” di Petruchio.
«Anche se non ne fossi stato direttamente a conoscenza, avrei pensato senz'altro che Sextilius Gamurrus non poteva essere il punto più alto della catena di nequizie che funestano questa città di Pompei. Un uomo, i cui pensieri sono offuscati dalla naturale propensione alla malvagità, non può avere la capacità di elaborare disegni di vasto respiro, per i quali occorre una mente ugualmente perversa, ma lucida. E che dire, poi, di quegli ignobili esecutori di nefandezze che sono Tubero, Tot Capita ed Animal Foetens. Solo strumenti criminali e nulla più.
Mi è stato facile individuare la casa di Secundus Celadus. A parte che essa è una delle residenze più sontuose, è l’unica ad avere, proprio davanti all'ingresso, uno strano monumento. Su una base di marmo pregiato, che porta a grandi caratteri l’iscrizione ‘Licia Cocconia‘, si eleva la statua di un pennuto. Si tratta di una gallina scolpita, cinque volte più grande del normale. Le zampe enormi sono attaccate ad un masso di bronzo. L’animale è colto nello sforzo supremo di allargare a dismisura le ali. Nel far questo, esso si gonfia tutto ed assume un aspetto fierissimo. La testa si volge verso destra, quasi ad indicare l’ingresso della casa di Secundus Celadus ed il becco si protende verso l’alto. Ha una cresta turgida e rilevatissima, sproporzionata ed innaturale per una gallina.
Benché ci sia stata molta gente ad aspettare Secundus Celadus, sono stato subito ammesso alla sua presenza. Ho sentito qualche mormorio di disapprovazione levarsi dagli sventurati che erano lì. Dico sventurati, perché si trattava di anziani, di storpi, di guerci e di altri che, dal loro aspetto, rivelavano di essere affetti da terribili infermità. Essi erano là perché Secundus Celadus è un medico. La sua fama va ben al di là dei confini della città di Pompei.
'Sei un mercante di Puteoli?' mi ha chiesto subito Celadus.
'Sono un mercante, sì, ma vengo dalla Macedonia'. Forse mi sono mostrato un po' seccato, ma ne avevo motivo. Il mio travisamento doveva considerarsi perfetto.
'Hai fatto naufragio? O sei stato depredato dai pirati?'
Ho il sospetto che il tono della mia voce abbia ancora una volta denunciato un mio lieve risentimento. 'Ma non vedi che non indosso vesti lacere. Il mio abbigliamento non si può considerare sontuoso, ma è certo adeguato al rango di un agiato mercante'. Secundus ha sorriso. Certo, sono stato un po’ imprudente a rivelargli il rigoroso ragionamento che mi aveva condotto ad abbigliarmi in quel modo.
'Dunque, non cerchi un lavoro'.
'Ho già un lavoro, come ti ho detto. La mia attività mi dà molte soddisfazioni e non ho nessuna intenzione di cambiarla'.
'Non hai paura dei pirati?'.
'E perché dovrei? Roma ha ormai debellato questa piaga dai mari'. Ho mostrato di essere sicuro di quello che ho detto. Veramente, manco di informazioni precise sul punto. Avrei fatto meglio ad informarmi prima. Ho qualche confusione sulla storia dei pirati. Una altra volta ho detto di essere stato depredato dai pirati. Ciò, comunque, non ha nessuna importanza, perché l’altra volta impersonavo un diverso mercante.
'Non hai paura dei naufragi?' ha incalzato Secundus Celadus.
'Navigo su legni molto solidi'. Con questo speravo di farla finita con quelle stranissime domande.
'Cosa ti porta qui, allora?'
'Secundus Celadus, la fama della tua maestria nel guarire i corpi dolenti si è sparsa in ogni città che è sotto il dominio di Roma. Tu risani, Secundus. Perciò sono venuto da te'.
'Quale è il tuo problema? Immagino che ne avrai uno'.
La mia abituale prontezza di riflessi mi ha abbandonato proprio in quel momento. Sono rimasto imbarazzato ed in silenzio davanti al tavolo del medico. Mi sono arrovellato per cercare il nome di una malattia, anche banale, escludendo ovviamente quelle che affliggono le puerpere ed i lattanti. Niente. Era proprio un fastidioso vuoto di memoria. Secundus Celadus, paziente e sorridente, ha preso ad elencare tutte le calamità che aggrediscono il corpo umano. A tutte ho fatto di no con la testa, perché non mi sono sembrate o dignitose o compatibili con il mio stato. Il medico ha avuto un’ispirazione ed ha detto a voce altissima: 'Amnesia?' 'Amnesia? No. Calcoli' ho risposto. La memoria mi era ritornata.
'Grosso problema, caro il mio mercante. Posso fare ben poco per te. Ci sono alcuni che non posso chiamare medici, perché non sono degni di questo nome, e che si sono attribuiti l'appellativo di litotomisti. Vanno in giro sostenendo di essere in grado di asportare i calcoli. In realtà essi uccidono nove pazienti su dieci. Il decimo sopravvive solo perché è molto fortunato. Guardati dai litotomisti. Questi ciarlatani non si fermano mai a lungo in una città. Preferiscono fuggire in tempo le ire dei familiari delle loro vittime'. Ho finto grande costernazione. Secundus ha cercato di confortarmi.
'Se vuoi, però, ti posso allungare la vita. Avrai il solo inconveniente di soffrire più a lungo. Vedi questa. È una mia invenzione. Prolunga l’esistenza e guarisce un’infinità di malattie, tranne i calcoli e pochissime altre'. Celadus mi ha mostrato una minuscola anfora chiusa con un tappo, che aveva in rilievo le lettere U.R.
'Cos’è?' gli ho chiesto, indicando la breve iscrizione.
'Universale Remedium' mi ha risposto con tono solenne. 'Serve per allungare la vita. Ma non quella delle spie'.
Celadus ha sorriso. Si è alzato in piedi. È veramente un uomo imponente. Ha lineamenti nobili, molto simili a quelli dei senatori più illustri che ho visto in Roma. Le sue vesti sono di stoffa preziosa, come si conviene ad un uomo della sua elevata posizione. Solo quando riceve i suoi pazienti, adorna i suoi capelli bianchi di un diadema formato di lamine d’oro a forma di foglia e cosparso di pietre preziose.
Dopo un lungo silenzio, Celadus ha levato un terribile indice accusatore verso di me. Devo dire che sa assumere atteggiamenti di grande potenza espressiva. 'Mercante? Perché ti nascondi, perché ti camuffi dietro vesti che non sono tue, Sinopis Aegyptius imperialis investigator, spia imperiale?' ha aggiunto.
Mi sono sentito gelare. Volevo dire qualcosa, ma la voce si strozzava in gola. Cosa, poi, avrei potuto dire? Parole senza senso. Non ero in grado di formulare un pensiero coerente.
L'espressione del mio volto deve essere stata veramente singolare, perché ha indotto il medico a prorompere in una risata irrefrenabile, ma signorile. Centomila volte più elegante di quei ragli malvagi, di cui sono capaci i compari di Sextilius Gamurrus.
Il medico si è finalmente calmato. Si è seduto. Ha cominciato a parlare con toni melliflui, dai quali traspariva un’ironia tagliente.
'Credevi, forse, Sinopis, che i tuoi buffi ed ingenui camuffamenti potessero risultare efficaci per gente come noi? Andiamo con ordine. Ti rivelerò tutto. Non ho paura di te. Sono a capo di un’organizzazione che ha lunghissime ramificazioni. Ci sono miei uomini dappertutto, anche vicino all'imperatore. Così, quando ho saputo che Tito si è insospettito ed ha deciso di mandare qualcuno qui a ficcare il naso, ho orientato la sua scelta. Non avrei potuto correre il rischio di avere tra i piedi un uomo abile, capace di mettermi nei pasticci. L’imperatore cercava una persona capace, determinata, coraggiosa, onesta, disposta anche a sacrificare la vita. Tu sei quasi tutte queste cose, ma non sei un uomo capace. Sei un pasticcione. In pratica, ti ho scelto io ed ho seguito passo passo i tuoi goffi tentativi di squarciare i misteri di Pompei. Mi sono divertito molto. Prima hai cercato di impersonare la parte del maestro inabile a svolgere la sua attività educativa. Devo dire che il ruolo ti stava a pennello. Sai fare lo sciocco molto bene, perché lo sei. Poi ho comprato i tuoi tappeti. Non si era mai visto un simile tessitore. Fortunatamente, praticavi prezzi bassi ed ho buttato via solo pochi soldi. Proprio quando mi stavo interrogando sul modo più simpatico per farti entrare in contatto con noi, c’è stato il tuo incontro con quel lurido fenicio e le sue bestiacce. Quanto ci siamo divertiti alle tue esibizioni con gli animali. Ti abbiamo lordato un po’ ed abbiamo lasciato che ascoltassi i nostri segreti. Il resto della commedia l’hai recitata tu. Popidius Facus e Sextilius Gamurrus non si sono mai divertiti tanto, quanto con le tue storie ed i tuoi travestimenti ridicoli'.
'Che discorsi fai... Sono un mercante, vengo da...'. Questa volta non riuscivo ad inventarmi il nome della località. Ero riuscito finalmente a parlare, ma con voce rotta, a pezzi. La lingua era impastata. Le mascelle erano contratte.
Quel mio breve intermezzo è servito, comunque, ad infondere una nuova e più grande ilarità nel medico. Egli piangeva, addirittura, ma con compostezza, come può farlo solo un senatore. Dopo essersi ricomposto, ha ripreso ad insultarmi con grazia: 'Ti ringrazio, Sinopis. Ci hai aiutato a passare lietamente il tempo. La vita qui, a volte, è noiosa, non è come in Roma, dove i divertimenti non mancano'. A questo punto si è fatto serio. 'Ti sarai chiesto a cosa mira tutto questo. Nessuno finora ti ha detto quali sono i miei propositi. Né Popidius Facus, né Sextilius Gamurrus, né gli altri conoscono le mie reali intenzioni. Non puoi certo pensare che io accumuli il danaro per il semplice piacere di averne il più possibile. Finora ho raccolto mezzi ingentissimi con le costruzioni di strade e di case, con i falsi di Popidius e con le forzate collette di Sextilius. Il danaro è solo uno strumento di potenza. Di esso mi servo per comprare uomini e mezzi, per edificare la mia gloria. Vieni con me'.
Non ho potuto accontentarlo perché, per quanti sforzi ho fatto, non sono riuscito ad alzarmi. I miei arti non mi ubbidivano.
'Non fa niente. Rimani dove sei'. Ha tirato da una parte una grande tenda e ha fatto venire alla luce un grandissimo vano. In esso vi erano migliaia e migliaia di anforette, simili a quella che mi aveva mostrato prima. Ognuna recava l’insegna U.R. Campeggiava, al centro del locale, la copia esatta della statua di Licia Cocconia, che avevo visto in strada.
'Tra poco, questo miracoloso preparato, l’Universale Remedium, sarà trasportato in tutte le terre. Ho previsto una distribuzione particolare tra i soldati. Le legioni risanate si solleveranno e mi acclameranno imperatore. Nascerà una nuova Roma, più longeva, che come simbolo avrà Licia Cocconia, gallina imperiale, primo soggetto vivente che ha tratto giovamento dai miei esperimenti‘. L’eccitazione di Secundus si è improvvisamente spenta. Ha richiuso la tenda e si è seduto di nuovo al tavolo. 'Purtroppo, solo tu non potrai vivere nel futuro meraviglioso che ho in mente. Al tramonto morirai'.
Quell'annuncio ha risvegliato in me l'istinto di conservazione. Sono corso via. Ho sentito Celadus che gridava: 'È inutile che scappi. Ti controlliamo. Non ti affannare su quelle gambe storte, uomo ridicolo'.
È vero, Celadus ha ragione. Sono un pasticcione, indegno dell’incarico ricevuto. Ho le gambe storte, sono strabico, sono un mediocre, ma ho una mia dignità.
Ho deciso. Dopo aver avvertito Pazuzu del pericolo che minaccia anche lui, andrò alla casa di Secundus Celadus e aspetterò il tramonto sotto la statua di Licia Cocconia. Ho riacquistato la serenità. È tempo che io vada. Pazuzu non è ancora tornato. Avevo pensato di affidare a lui un messaggio per l'imperatore, ma ho deciso di non esporre il mio amico a morte certa. Sono in debito verso Tito, ma non posso causare a Pazuzu la perdita della vita.
Ho lasciato un messaggio per Pazuzu: 'La mia vita terrena finirà al tramonto sotto la statua di Licia Cocconia. Fuggi. Sei in grave pericolo'».
L’ultimo papiro si concludeva in quel modo. Tramma lo riavvolse con mani tremanti. Gli occhi erano umidi.
Intanto, Mastro Antipher era alle prese con qualcosa che lo rendeva, come al solito, perplesso. Aveva scrostato una lastra di marmo ed aveva riportato alla luce un'iscrizione. «Licia Cocconia. Chi sarà stata? Che nome buffo per una matrona romana. Non trova anche lei, ispettore?» Tariq Tramma si era proprio in quel momento avvicinato. L'artigiano, per leggere, si era chinato sulla lastra. Si rialzò. «Sembra la base di un monumento. Per capirci qualcosa, non mi resta che scavare qua sopra». In breve si mostrò ai due una statua. «Ma è una gallina. Non sapevo che i romani onorassero questo genere di animali». Tramma ruppe il suo silenzio.
«Perché non prova a scavare intorno alla statua?» Fu un lavoro difficile, perché la terra, in quel punto, opponeva una grande resistenza. Sembrava che non volesse restituire i tesori che vi erano nascosti.
«Finalmente. Ma tanta fatica per degli scheletri. Ce ne sono quattro, due sono di esseri umani e gli altri appartengono sicuramente ad animali. Questo mi sembra di una capra e l’altro è di una scimmia».
«E dei due uomini cosa può dire?» chiese Tramma ansioso. «Un momento, non siamo precipitosi, occorre che io faccia i soliti rilievi, prima che si possa parlare di sesso. Ci vuole del tempo anche per appurare qualcosa di interessante intorno ai due».
Indossò un camice bianco per fare chiaramente intendere che passava ad utilizzare un’altra branca della scienza. Armeggiò intorno al suo laboratorio chimico trasportabile, sottoponendo ad analisi una piccolissima parte dei reperti umani.
«Posso azzardare qualche conclusione. Il primo soggetto era un uomo, come il secondo d'altronde. Diversa era la classe sociale di appartenenza dei due. Il primo, di statura regolare, doveva avere delle difficoltà nel camminare».
«Perché?» fece Tramma.
«Ma aveva sicuramente le gambe storte, molto storte. A parte questo, posso dire che la muscolatura non era particolarmente sviluppata. Le ossa parlano molto chiaramente su questo. Non esercitava attività manuali. Quindi apparteneva al ceto superiore. Questo si può anche dedurre dall'indagine che ho condotto sulla polvere d’ossa. C’è un’elevata percentuale di stronzio. Ho potuto così determinare che quest’uomo si cibava abitualmente di pesce e vegetali. Una buona alimentazione. Passiamo alla causa della morte. Credo che questa non sia avvenuta a causa del cataclisma naturale. Le vertebre sono rivelatrici. Guardi qua. Nel collo ce ne sono sette, ma qui ho trovato solo la prima, la seconda e la settima. Le mancanti quarta, quinta e sesta sembrano essersi disintegrate. Si può arrivare a pensare che il collo ha subito una frattura. La testa, badi bene non è stata staccata di netto, come invece è accaduto all'altro soggetto. Accanto al primo individuo ho trovato anche la parte terminale di una spada spezzata. Quest’uomo doveva avere il collo molto duro».
«Deve aver sofferto molto?»
«Credo di sì, anche la nube tossica sprigionatasi dal Vesuvio può avergli accorciato le sofferenze. Passiamo al secondo soggetto. Già ho detto che la testa gli è stata staccata di netto. Qui la spada non è spezzata. Costui doveva certamente condurre una vita molto grama. Guardi i denti. Lo stato miserabile di questi fanno immediatamente comprendere il suo stato di cronica malnutrizione. Le ossa delle spalle e delle braccia portano chiaramente i segni di durissime fatiche, inutile che le parli dei resti degli animali».
Fu una cerimonia molto semplice. Tramma aveva provveduto personalmente a raccogliere i poveri resti, suscitando lo stupore di Antipher.
«Erano suoi lontanissimi parenti? Mi sembra un po’ strano» disse il brav'uomo.
Tramma indicò con il dito la cassa dove aveva deposto lo scheletro con le gambe arcuate. «Quasi». Portarono da soli, senza pompa, le quattro bare in via dei Sepolcri. Scelsero un bel posticino sotto un albero, un po’ più avanti dell’esedra della sacerdotessa Mamia, dove riposava la signora Selfridge. Fu Antipher a recitare l’ufficio funebre, mentre Tramma seguiva con grande partecipazione. Alla fine, l’ispettore depose sui due tumuli semplici targhe: Sinopis Aegyptius, Pazuzu Phoenicius. Sugli altri due sepolcri, le iscrizioni: Senator e Malabestia. A quest’ultima l’ispettore aveva aggiunto di suo pugno: «ma non lo fu». Lasciarono commossi il luogo dove i quattro sventurati riposavano in pace.
Non appena scomparvero alla vista, Platone sbucò da dietro una costruzione diroccata. L'animale si aggirò là dove il terreno era stato smosso di fresco. Si fermò a lungo davanti a Senator e, poi, a Malabestia. Passò davanti a Pazuzu e a Sinopis. Platone se ne stava con il capo chino, fingendo di brucare un’erba che non c’era, quasi volesse mettere su una falsa pista un eventuale ed improbabile passante.