Universale Remedium
II
Tutto era cominciato con lo sciopero dei minatori. La decisione del governo di Sua Maestà di chiudere le miniere di carbone non produttive aveva innescato un conflitto sociale di grandissime proporzioni. La smobilitazione dei pozzi comportava la perdita di ogni fonte di reddito per migliaia di lavoratori e per le loro famiglie. Il governo, però, riteneva necessaria la misura, nel quadro dei provvedimenti avviati per il generale risanamento dell’economia.
I minatori scioperarono per oltre ventiquattro mesi. La controparte finse di avviare trattative, con malagrazia. Non era più il tempo nel quale era necessario fingere di avere una politica sociale. Il primo ministro, in una conversazione privata con alcune centinaia di giornalisti, aveva espresso il suo autorevole punto di vista: «Sono sporchi».
L’atteggiamento di totale chiusura del governo fu favorito dalla posizione del sindacato. Questo, fidando nella centralità dell’attività mineraria nell'economia nazionale e nell'immancabile solidarietà degli occupati negli altri settori, intendeva resistere ad oltranza. Lo sperato sostegno degli altri lavoratori non c’era, però, stato. Massicce importazioni di carbone dall'estero, ad un prezzo veramente conveniente, avevano, poi, spuntato l’altra arma in mano al sindacato.
Dopo aver tanto lottato, i minatori si erano dovuti piegare. Accettarono che la maggior parte di essi non tornasse al lavoro. «È stata soprattutto una questione di pulizia» aveva dichiarato, trionfante, al termine della lunga vertenza, il primo ministro.
Solo un gruppo di ex minatori irriducibili rifiutò di rinunciare alla battaglia. Essi, guidati da un carismatico capo sindacale e da sua moglie, si rifugiarono con le famiglie in uno sperduto ed abbandonato paesino del Galles. A fianco del villaggio c’era una miniera, inattiva, naturalmente. Il nome di tutto il posto suonava in modo terribile nella complicatissima lingua di quella parte del Regno Unito. La traduzione era: «Com'era verde la mia valle».
Il capo sindacale mostrava ai suoi adepti di avere le idee molto chiare. Si asteneva, però, dal rivelarle. Si calava ogni mattina nelle viscere della terra su un vecchio carrello arrugginito, che percorreva, cigolando, il tracciato della ferrovia sotterranea. Ritornava la sera, alle cinque, atteso, all'ingresso del lungo tunnel, dalla moglie e da tutti gli appartenenti alla comunità. Il suo arrivo era preannunciato da un fascio luminoso che rompeva l’oscurità, dal centro del caschetto che il sindacalista aveva in testa. Gli uomini e le donne, i bambini, smunti e spauriti, attendevano una parola dal loro capo. Per giorni e giorni, però, invariabilmente, l’uomo non aveva soddisfatto le aspettative dei suoi seguaci. Ogni volta era sceso con un salto impeccabile dal vagoncino e si era diretto, con la moglie, verso la migliore delle squallide baracche, che era il suo alloggio.
Il capo iniziò, successivamente, a frequentare una vasta radura nei dintorni del villaggio. Ci si recava esclusivamente di notte, vestito di bianco, recando una bussola ed una grossa carta del cielo.
Venne il grande giorno. La moglie suprema informò i componenti della comunità che, la notte successiva, dovevano tutti recarsi alla radura. Là il capo avrebbe fatto importanti rivelazioni.
«Ho studiato a lungo la situazione» fece l’uomo, ispirato. «Sono arrivato alla conclusione che il capo del governo è un manichino nelle mani delle multinazionali. Voi, forse, non sapete che, da lungo tempo, ha un vantaggiosissimo contratto pubblicitario con una società internazionale, produttrice di detersivi. Di qui il suo accanimento contro i minatori. Quel cialtrone ci aveva eletti a simbolo del nero e, quindi, dello sporco. Era una subdola combinazione pubblicitaria. Vincere i minatori come il suo detersivo vince lo sporco».
La gente, finalmente illuminata, scambiò larghi cenni di intesa.
«Vedete questa radura? Secondo i miei calcoli è il posto ideale per attuare piani grandiosi, che andranno a vantaggio della nostra categoria e dell’intera classe lavoratrice. Si tratta di spostare dei massi che vedete lì, di squadrarli e di deporli proprio dove siamo adesso, seguendo un progetto che ho preparato». Svolse, quindi, un lungo rotolo di carta e mostrò una serie di costruzioni, secondo varie prospettive. Si trattava di una specie di tempio all'aperto, a pianta circolare, che aveva al suo centro cinque strani altari, disposti a ferro di cavallo. Gli altari erano formati da due pietre verticali infisse nel suolo ed una orizzontale, poggiata sulle prime due. Altri disegni mostravano una palla un po’ schiacciata, che doveva raffigurare la Terra. Era tratteggiato un asse, che fuoriusciva dai poli del pianeta e si andava ad intersecare con linee che partivano da punti nel cielo e da quella zona del Galles.
«Non tutto vi sarà rivelato» fece cupamente la moglie del capo. « Non è tempo ancora che sappiate. Lavorate, invece, di buona lena, perché tutto sia completato per l’ora in cui le congiunzioni saranno favorevoli». La donna si mosse lentamente, intrecciando i passi di una danza strana, cantando in una lingua sconosciuta. Poi, quello che diceva si fece chiaro. «L’egoismo degli altri fratelli lavoratori e l’ottusa insensibilità dei padroni hanno distrutto il sindacalismo. È tempo che la classe operaia costruisca il suo avvenire, sperimentando nuovi metodi di lotta».
La luna nel cielo mandava un bel chiarore, quasi a sottolineare le parole di speranza per un migliore futuro.
«È venuto finalmente il tempo dei sindacalismo druidico». La donna, stanca, si accasciò a terra, proprio al centro di quello che sarebbe diventato il tempio all'aperto.
Da quella notte stessa, sotto l’occhio vigile e competente dei due capi, iniziarono i lavori. In breve, in tempo utile perché il tempio fosse utilizzato nella data fissata dagli astri, tutto fu pronto. Le costruzioni si innalzarono, secondo il progetto ed il preciso orientamento che era stato calcolato. La notte fissata, un gruppo scelto di ex minatori, di alcune donne e bambini, pure accuratamente selezionati, popolarono la radura. Erano tutti vestiti di bianco e portavano caschi, al centro dei quali partivano fasci di luce. I copricapo erano adorni di rametti di vischio. La cerimonia rituale, perché di questo si trattava e non di una riunione sindacale tradizionale, durò a lungo. Il capo, che era contraddistinto dalla luce più forte, diresse tutto con fare molto sicuro, coadiuvato brillantemente da sua moglie. Contemplavano alcune stelle e la Luna. Incoraggiavano i corpi celesti a fare qualcosa. Poi, nella luce lunare, un gruppo di uomini robusti simulò di tirare una grossa corda. Lavorarono a lungo con le braccia, fino a quando crollarono, esausti. Il capo levò, allora, le mani al cielo, come per ringraziare. Cominciavano a spuntare le prime luci dell’alba quando la riunione dei quadri sindacali si sciolse. Non proprio tutti, come di solito accade in questo tipo di incontri, avevano completamente compreso il significato di quello che era stato detto e fatto. A dire il vero, la maggior parte di essi non si era accorta di avere assistito ad una delle più terribili prove di oltranzismo sindacale.
Gli effetti non tardarono a manifestarsi. Il clima cominciò inesorabilmente a peggiorare. Le stagioni fredde diventarono sempre più inclementi e si allungarono, fino a far sparire i periodi di tempo intermedi tra l’inverno e l’estate. A dire il vero, non si poteva parlare neanche di estate, nel senso che, climaticamente, veniva attribuito a questa parola. Come chiamare estate lo spazio di tempo, ugualmente tormentato da un freddo pungente, qua e là mitigato da rare giornate di pallido sole? Insomma, si era in presenza di una nuova era glaciale. Varie teorie vennero formulate per spiegare un così brusco cambiamento, ma nessuna
sembrò soddisfacente.
La gente, che aveva sperato in un fenomeno passeggero, alla fine si demoralizzò. Gli inglesi smisero di parlare del tempo, perché era piattamente uguale. Erano entrati in un lungo tunnel di ghiaccio, di cui non si conosceva la lunghezza. Di certo superiore al cammino che una generazione può compiere. Tutti i settori produttivi furono duramente colpiti. Prima tra tutti, l'agricoltura. In quelle condizioni climatiche, anche con gli accorgimenti più sofisticati, la terra non riusciva a produrre che una piccolissima parte di quanto veniva raccolto prima della glaciazione. Ci fu una carestia terribile. Quelli che non morirono per le malattie, che traevano la loro origine nel cambiamento del clima, se ne andarono per mancanza di cibo. Il genere mano non si estinse completamente, però. Rimase una minuscola parte della popolazione di prima della glaciazione. Resistettero i più robusti.
Ci fu, ovviamente, nella nuova situazione, un disperato bisogno di energia. L’umanità, anche se ridotta ad una parte infinitesima, aveva bisogno di riscaldarsi, di far muovere i mezzi di trasporto, di produrre energia elettrica, di far funzionare le macchine industriali e, soprattutto, quelle agricole. Occorreva, quindi, riaprire tutte le miniere di carbone, perché, ora, anche quelle che erano state considerate antieconomiche, avevano ragion d’essere. Il problema, semmai, era di trovare minatori disponibili. Infatti, la glaciazione era riuscita là dove le più brillanti menti economiche avevano fallito. Aveva dato un taglio mortale alla disoccupazione.
I retroscena del terribile evento meteorologico non tardarono a rivelarsi. Un minatore, da poco riassunto in una delle miniere, nelle quali si era ricominciato a lavorare, in preda ad un evidente stato di ubriachezza, fece un’inquietante confessione.
«Sapete chi è stato a far venire tutto questo bel po' di freddo? Il mio capo. E ha fatto bene. Altrimenti, tanti di noi non avrebbero riavuto il posto di lavoro». In altri tempi, alle dichiarazioni di un ubriaco non si sarebbe dato alcun peso. La situazione era, però, drammatica. Il minatore fu portato al più vicino posto di polizia e sottoposto a perquisizione. All'occhiello della giacca fu trovato uno strano distintivo. In esso era rappresentato il mondo circondato da rametti di vischio. Era disegnato, in bella evidenza, l’asse terrestre, che, nella parte in cui forava il Polo Nord, sembrava incurvato, sotto il peso di catene a grosse maglie, fissate, all'altra estremità, ad una cometa. Nelle tasche fu trovato vario materiale propagandistico, appartenente ad una fino ad allora sconosciuta “Compagnia sindacale dell'Asse”. In diversi volantini si inneggiava alla lotta vittoriosa di un ardimentoso gruppo di minatori che, per riavere il loro lavoro, era stato costretto a spostare l’asse terrestre.
Come avviene in tutti i periodi di grandi calamità, quelle affermazioni non furono sottoposte ad alcun giudizio critico. Furono prese per quelle che effettivamente erano. Per vere. Non si aspettò neanche che l’ubriaco avesse smaltito la sbornia. C’era fretta a processarlo. Quasi si volesse esorcizzare subito il male.
Il giudice si trovò in serio imbarazzo. Non trovò, in fatti, alcun precedente specifico di procurato spostamento dell’asse terrestre. L’acume giuridico del magistrato valse a risolvere lo stesso, e brillantemente, il caso. L’uomo di legge sollecitò, con molta cautela, una denuncia da parte di un contadino del luogo, al quale il freddo aveva distrutto l’intero raccolto di patate. Il giudice poté, quindi, condannare l’ubriaco ad una pesante pena detentiva per concorso in danneggiamento. «L’attività delittuosa era consistita nell'avere l’imputato, insieme a persone al momento sconosciute, con frode e con violenza, inclinato abusivamente la Terra, al fine di distruggere il raccolto di patate appartenente ad uno stimato componente di questa Comunità».
«Tutte sciocchezze » aveva esclamato il minatore quando, svaniti i fumi dell’alcool, aveva potuto prendere visione della motivazione della sentenza. «Possibile che dobbiate sempre risolvere tutto in termini volgarmente capitalistici, di semplice attacco al patrimonio? Vi sono sfuggite le ragioni profonde del sindacalismo esoterico. Né sarò io a rivelarvi i segreti del sindacalismo druidico. Che è la stessa cosa». Si chiuse, quindi, in un ostinato mutismo e non fu più possibile cavargli una sola parola.
Le indagini per risalire agli altri responsabili del danneggiamento, tra cui si annidavano sicuramente i capi, non dettero grandi risultati. Il fatto era che la Compagnia sindacale dell’Asse aveva francamente ecceduto. In un primo momento, con la riapertura di tutte le miniere, aveva ottenuto la vittoria. Ma questa si era mostrata vana e passeggera, perché il peggioramento del clima era andato ancora avanti, tanto da richiedere addirittura il trasferimento dell’intera nazione. La qual cosa aveva comportato, automaticamente, anche la chiusura totale di tutti i pozzi carboniferi.
Le condizioni meteorologiche, infatti, si erano talmente deteriorate da costringere tutte le popolazioni ad emigrare al loro sud, per trovare un minimo ambientale che ricordasse, sia pure alla lontana, il clima al quale erano abituate. Così, i russi emigrarono in Afghanistan ed i cittadini degli Stati Uniti a Cuba. I cinesi continentali superstiti si dovettero rifugiare a Taiwan. Per quanto riguarda l’Europa, l’Italia, abitata da genti tradizionalmente amanti del sole, fu completamente evacuata, e lasciata alla facile conquista di popoli provenienti dal nord. I tedeschi trovarono ospitalità in Sicilia ed in Sardegna, battendo sul tempo gli inglesi. Questi ultimi dovettero rinunciare alla loro secolare insularità ed optare per una regione dell’Italia meridionale. Essi stabilirono la loro capitale in una città bagnata dal mare, al centro di un golfo, sulla quale incombeva la massiccia presenza di un imponente vulcano. La capitale venne ribattezzata New London. La Gran Bretagna, divenuta una desolata landa ghiacciata, venne ben presto ripopolata da foche, pinguini ed orsi bianchi. Da successivi resoconti di esploratori polari si seppe che, in una sperduta contea del Galles, erano rimasti due strani personaggi, che si aggiravano in un santuario bianco. Il ghiaccio si era modellato seguendo il contorno di rozze, ma suggestive, costruzioni. In quell'irreale teatro, dove si erano compiuti avvenimenti terribili per le sorti dell’umanità, i membri superstiti della Compagnia sindacale dell’Asse compivano disperati tentativi per raddrizzare nuovamente l’asse terrestre. Di quel tanto che era necessario per riportare le condizioni climatiche ottimali per ottenere la generale riapertura delle miniere. I due, nei pochi momenti lasciati a loro disposizione dalla caccia alla foca, compivano intensi riti. Mollavano o tendevano una corda del tutto immaginaria. Tutto ciò veniva compiuto senza badare più alla posizione delle stelle e ad altri riferimenti celesti. Simili tentativi non potevano sortire alcun risultato utile.
Era, ormai, stato irrevocabilmente determinato che per centinaia o, forse, per migliaia di anni il clima non cambiasse. Il catastrofico evento traeva profonda origine dal clima di sfrenato liberismo che aveva contrassegnato una stagione dell’economia e della rabbiosa, oltranzista risposta della parte più esasperata del sindacato, che non aveva esitato a ricorrere alle pratiche odiose del luddismo cosmico.