Universale Remedium
VII
Mastro Antipher era stato conosciuto da Tramma in un’occasione molto particolare. L’artigiano aveva, inconsapevolmente, costruito l’arma di un delitto, sul quale l’ispettore aveva brillantemente indagato.
Era stata un’azione veramente indegna, quella dell’assassino, di coinvolgere l’abilità di una persona gentile e delicata, quale era Antipher, per fini ignobilmente delittuosi. L’artigiano dedicava quietamente gli ultimi anni della sua esistenza a costruire e a riparare giocattoli. Nella sua attività mostrava un’abilità e una perizia che rivelavano non solo la perfetta padronanza di tutti i trucchi e le astuzie delle attività manuali, ma anche la solida conoscenza di scienze teoriche, dalla fisica alla chimica, ai principi della medicina. Tramma ebbe l’ispirazione di ricorrere a lui per risolvere i suoi problemi di archeologia, che avevano implicazioni con buona parte dello scibile.
Era da molto che Tariq aspettava, in quella che era stata una delle stazioni ferroviarie della Pompei moderna. Ora era anch'essa un rudere, senza il fascino, però, di duemila anni. La costruzione bassa di mattoni rossi, dove una volta erano sistemati gli uffici e le salette per i passeggeri, non aveva più infissi. Il tetto spiovente era completamente sfondato. Calcinacci erano dappertutto, all'interno della palazzina e sulle piattaforme che costeggiavano i binari. Solo vicino alla sede ferroviaria c’era, ogni tanto, l’intervento degli uomini della ferrovia Circumvesuvius. I detriti che si erano fatti più vicini ai binari venivano rimossi e portati all'interno.
Il vento freddo provocava lo stridio agghiacciante delle strutture metalliche arrugginite. Il grande cartello, sul quale si riuscivano a malapena ad intravedere tratti delle lettere che avevano composto la parola Pompei, oscillava paurosamente e minacciava una caduta imminente. Tramma consultava nervosamente l’orologio. Poi si rassegnò e si sedette scomodamente su quello che era rimasto di una panchina di cemento. Alla fine, vinto dai leggendari ritardi della Circumvesuvius, si assopì. Lo sbuffare di un asmatico treno a vapore e lo stridio di freni lo risvegliarono. Un ometto dall'aria spaurita fu l’unico a scendere. Si guardò intorno, mentre gli altri passeggeri scostavano le tendine per vedere chi era sceso in quella landa desolata. Tramma si fece incontro all'uomo, mostrando uno smagliante sorriso di benvenuto che non era dettato da un atteggiamento di circostanza, ma dal sincero piacere di rivedere un uomo che stimava. Mastro Antipher calò le valigie a terra e strinse calorosamente la mano dell’ispettore.
«Andiamo? C’è da fare a piedi un po’ di cammino».
«Un momento, avrei qualche altro bagaglio». L’artigiano si guardò intorno per chiamare qualcuno che lo potesse aiutare.
«No, non c’è nessuno. Questa specie di stazione è deserta».
«Già, è una fermata a richiesta. Ho dovuto dirlo al capotreno che intendevo scendere a Pompei».
Il ferroviere addetto al vagone bagagli non mosse un dito per aiutare Tramma ed Antipher. I due dovettero così sobbarcarsi la fatica di scaricare i colli di proprietà dell’artigiano, che occupavano buona parte del vagone bagagli. «Strumenti scientifici, attrezzi, materiale vario» diceva, per giustificarsi, Antipher, ogni volta che c’era da scaricare qualche altro pesante involucro.
Il treno riprese finalmente a muoversi. I passeggeri rimasero incollati ai finestrini per vedere, su quella che era stata una volta la piattaforma numero uno, due uomini che si aggiravano tra una marea di pacchi e bagagli.
«Non possiamo portarli con noi. Non ho mezzi di trasporto. Prenda solo quello che le serve per le sue necessità. Ci organizzeremo, poi, per trasportare tutto». Notando l’espressione di preoccupazione di Antipher, Tramma trovò parole rassicuranti: «Può stare tranquillo. Qui non si ferma nessuno. Neanche i ladri».
Si avviarono. «La sua lettera mi è arrivata proprio al momento giusto, era un bel po’ che avevo intenzione di chiudere tutto. Ci sono così pochi bambini al giorno d’oggi. Il mio lavoro si era ridotto praticamente a zero». Tramma guardò il suo interlocutore. I bei capelli, completamente bianchi, coronavano, insieme alle sopracciglia candide e foltissime sopra i tranquilli occhi azzurri, un’espressione fondamentalmente bonaria.
Tramma pensò all'antica bottega che si incontrava inaspettatamente nel dedalo dei vicoletti di New London. Rivide l’insegna: «Il Mondo di Mastro Antipher» e i giocattoli, tutti fatti a mano, che erano esposti nelle vetrine o pendevano dal soffitto del negozio.
«Tutto chiuso?».
Il vecchio annuì. Una nuvola attraversò il viso, rabbuiandolo.
«Ispettore, per la storia dell’altra volta ... La mia totale estraneità è stata accertata ...».
«Senza ombra di dubbio».
«Mi dispiace ancora di essere stato coinvolto. Ma io non sapevo niente».
«Non si preoccupi. Pensiamo all'oggi. Il mio è stato l’invito di un amico che è in difficoltà. Chiedo il suo aiuto. Per certe mie indagini, diciamo personali. Niente a che fare con New new Scotland Yard».
«Sempre questioni delittuose?» Chiese apprensiva-mente l’artigiano.
«Forse, ma si tratta di un caso così lontano dalla nostra realtà».
Mastro Antipher si mostrò perplesso.
«Lei mi deve aiutare a far venire alla luce e a ricostruire l’ingranaggio di un grosso giocattolo». L’ispettore arricchì gli scarni elementi che aveva fornito nella lettera e mise al corrente l’altro di quanto intendeva fare.
«Ma sì che posso aiutarla. Anche se mi ha fornito pochi particolari, ho intuito quale tipo di lavoro voleva affidarmi. Resterò qui. Tanto a New London non ho più nulla da fare».
«Intende fermarsi alla Red Pompeian House?».
L’artigiano non mostrò di gradire quella soluzione. Malgrado le insistenze e le preoccupazioni di Tramma, quello che poteva essere considerato suo amico scelse di vivere, in attesa di una migliore sistemazione, nel rifugio abbandonato di un pastore.
Rimasero poi in silenzio. Ad un tratto l’uomo dai capelli bianchi ricordò di dover dire qualcosa di importante: «Lei è fortunato. Fui contattato, a suo tempo, dal Professor Tumbstone».
«Quello che impazzì e morì negli scavi di Pompei?»
«Proprio lui». Nell'affermazione c’era una punta di commossa partecipazione al triste destino del vecchio archeologo. «Poverino ... che fine terribile, per una persona tanto competente. Il professore, molto tempo fa, mi chiamò e mi chiese di realizzare una specie di casa di bambole. Lui li chiamava plastici. Dovevo rappresentare una tipica casa di Pompei, con le decorazioni e gli arredi in miniatura. Ho avuto modo di vedere molto spesso Tumbstone. Veniva a trovarmi, per constatare i progressi del mio lavoro. Abbiamo parlato tanto. Mi ha spiegato un mucchio di cose su come condurre gli scavi, recuperare e ripristinare il materiale. Era fin troppo minuzioso nelle sue esposizioni. Ho sempre sospettato che volesse la mia collaborazione per qualche progetto che stava coltivando. Poi, successe quello che sa...»
Raggi di sole non usuali illuminavano la stanza. La morbida luce carezzava le ginestre e faceva dimenticare che erano finte. La padrona di casa, a capotavola, era animata da strane sensazioni.
«Non c’è neanche una nuvola. Strano. Speriamo che duri poco. Non vorrei che questo significhi la fine della grande glaciazione. Il mio carattere potrebbe migliorare. Proprio ora che, ad una meteoropatica come me, il cielo ha mandato il cattivo tempo giusto. Meglio affrontare a viso aperto il cosiddetto tempo buono». Bussò il campanello. «Voi, intanto» disse rivolta ai commensali «non mangiate. Lei, ispettore, può bere». Apparve Pat. «Che giorno è oggi, mia cara?».
«Martedì» rispose la domestica, dopo aver compiuto un grosso sforzo di elaborazione.
«Sai se oggi è il giorno di chiusura di Asellina?».
Non ci fu alcuna risposta.
«Oggigiorno non si è sicuri di nulla. Ci andremo lo stesso. Ma, per precauzione, porteremo noi le cose da mangiare. Ospiti, stamattina vi porto fuori».
Non vi furono segni tangibili di dissenso, anche se quel modo dispotico di disporre degli altri non poteva che essere sgradito agli interessati. Solo Tramma, incuriosito, non ebbe alcun moto di stizza interno.
Gli ospiti risalirono nelle camere e cambiarono abbigliamento, perché, nonostante il sole, l’aria era sempre fresca. Intanto Cedric e Pat preparavano la spedizione.
Infine il corteo si mosse. Era aperto da Celia Selfridge, la cui sedia a rotelle era spinta da Tariq Tramma. Si trattava di un autentico privilegio. Seguiva Pat, mula paziente, che arrancava sotto il peso di due ceste pesanti. A qualche passo di distanza, camminavano, ignorandosi a vicenda, Gordon Abercrombie, Waldo Dodge e la Duckworth. Facevano gruppo a sé i Bollinger. Joseph guidava amorevolmente sua moglie che, tesa e pallida, incespicava ad ogni passo.
«Chissà cosa ha in mente oggi quella vecchiaccia?».
«Non ti preoccupare, Mary. Ha detto che il sole la mette, suo malgrado, di buonumore».
Chiudeva la processione Cedric, che trascinava, con un’espressione completamente neutra, un pesante carrello.
Il passaggio attraverso Porta Marina fu difficoltoso. La strada non era delle più facili. Sbucarono, finalmente, nel Foro. Celia Selfridge girò il volto a sinistra. «Il Vesuvio incombe sinistramente. Guardi quanta bella neve c’è là sopra. Non è detta l’ultima parola. Ho fiducia. La glaciazione non ci abbandonerà».
Proseguirono in linea retta, per via dell’Abbondanza. Si fermarono a cinquecento metri dal Foro.
«Basta, ispettore. Siamo arrivati. Questa a sinistra è la locanda. Asellina? C’è in casa Asellina? Evidentemente è uscita. Oggi mi va di scherzare. Tutto ciò è molto deprimente». Poi si fece descrittiva, rivolgendosi al solo ospite che godeva della sua stima. «Questo è un thermopolium. Di Asellina, appunto. Qui venivano servite bevande calde e piccole porzioni di cibo».
Tramma che già aveva osservato il locale, nel corso di uno dei suoi giri, guardò con interesse rinnovato. La locanda era piccola. Alla sinistra, quasi sotto l’ingresso, c’era una scala ripida che, come Tariq aveva letto da qualche parte, portava alle camere del piano superiore, che venivano affittate. La parte della locanda che dava su via dell’Abbondanza era quasi interamente occupata da un bancone di pietra, dipinto di rosso. All'interno del bancone erano infissi degli orci, che servivano a contenere il cibo. Sul bancone c’erano ancora brocche e piatti e due strani recipienti di terracotta, uno a forma di gallo, l’altro a forma di volpe.
«Il thermopolium non ha molto spazio all'interno. Per stare comodi, tra tutte queste anfore, dovremo, cioè, dovrò cercare una soluzione. Le dicevo, ispettore, che, in posti come questi, venivano servite piccole razioni di cibo. Forse il thermopolium era indicato per consumare una striminzita colazione continentale più che un’abbondante colazione all’inglese. Faremo un’eccezione. Anche questo posto avrà l’onore di vedere 'uova e pancetta'».
All'interno del thermopolium trovarono posto, intorno a tavoli da picnic, Celia, i Bollinger, la Duckworth e, naturalmente, Tramma. Fuori, usando il bancone come tavolo per uno spuntino in piedi, rimasero Waldo Dodge e Gordon Abercrombie. Mentre Pat organizzava la colazione, Cedric si sedette sul suo carrello guardando fissamente il vuoto.
«Ancora nessuna notizia di Petruchio. Ho notato che tutti i miei ospiti, tranne, ovviamente, quello che solo di recente si è unito a noi, leggono avidamente i giornali. Purtroppo, qui siamo tagliati fuori dal mondo e i quotidiani ci arrivano con molto ritardo. Quindi, gli 'amici' non possono avere un quadro aggiornato della situazione. So per certo che cercano la notizia di un evento scientifico sensazionale. Questi signori pensano che Petruchio sia fuggito, portando con sé qualcosa che dovrebbe appartenere di diritto, alla nostra simpatica comunità. Suvvia, non oso credere che Petruchio si possa rendere responsabile di un’azione tanto indegna. Il vostro difetto è di ritenere l’attore simile a voi. Invece vi supera di molte spanne. Quell'uomo è capace di cose sublimi. Sa, ispettore, che è riuscito anche a fare amicizia con un caprone ...»
«Platone?» mormorò Tramma.
«Platone? Ah, già, credo di capire. Probabilmente avete le stesse frequentazioni. Forse, questo insigne animale ha fiuto per riconoscere una certa categoria di persone. In un tipo di romanzo popolare, queste si definirebbero uomini giusti». Si fermò perplessa. «Oggi, evidentemente, sono magnanima ».
Il monologo era seguito, e con interesse, dal solo Tramma. Gli altri erano solo attenti a gustare il cibo che veniva loro offerto.
«Petruchio, Petruchio...» fece la donna, tambureggiando con il dito sul tavolo, come per sottolineare certi suoi pensieri. «So molte cose di lui».
Tramma si leccò i baffi e tese le orecchie.
Tutti gli altri alzarono di scatto la testa dal piatto. Poi si resero conto della simultaneità dell’azione e tornarono immediatamente a consumare la colazione, fingendo di non avere altro interesse nella vita che quello.
«Petruchio è un indigeno. Intendo dire che nacque nella città dove è ora New London. Non si può comprendere Petruchio senza conoscere la storia della sua città. Quella città era stata la fiorente capitale di un prospero regno. Ma a noi inglesi, maestri di turpitudini come i nostri cugini americani, non conveniva che quel regno si alleasse con la Russia degli zar. Ciò ostacolava certi nostri piani nel Medio Oriente. Quel regno doveva scomparire. Non agimmo noi direttamente, ci servimmo di altri. La nostra gloriosa massoneria raccolse un fiume di danaro per corrompere i generali delle armate del regno. E questo cadde e scomparve. E vinti furono gli abitanti della città e del regno. I vincitori possono fare di tutto, anche convincere i vinti di essere loro stessi la fonte delle loro disgrazie. Così i vincitori convinsero i vinti che essi erano ridicoli, che la loro unica missione nella vita era far ridere gli altri, che erano inguaribili malfattori e delinquenti di mezza tacca, ma che, comunque, dopo aver perso un regno, un'identità, una cultura, il loro stesso futuro, rimanevano furbissimi.
Dicevo di Petruchio... un nome d’arte, naturalmente. Originariamente si faceva chiamare Petruccio. Dopo che noi arrivammo qui, fece assumere al nome quella finale anglicizzante. Ah, è di origini molto basse. Umili, per usare un termine più affettuoso. Sottoproletarie, se si vuole scegliere una di quelle orribili parole del gergo politico, oggi tanto di moda. È nato nel popolarissimo quartiere che ora è denominato Health. Tramma lo conosce molto bene. Mi pare che ci abiti, infatti. È rimasto cadente e squallido, ma ci manca qualcosa: la rivoltante cattiva educazione della gente che viene chiamata colore locale.
Petruchio ha calcato giovanissimo le scene. Può essere considerato un figlio d’arte. Sua madre, una povera donnetta tisica, che era guardarobiera in un modesto teatro di periferia, sostituiva di tanto in tanto l’attrice giovane. Quest’ultima, poiché era riuscita sempre a nutrirsi con molta difficoltà, era di salute ancora più cagionevole della madre di Petruchio, e si ammalava molto spesso. In una di queste sostituzioni, Petruchio, solo da poco concepito, si trovò a calcare le scene. Con modesto successo, in verità. Sua madre era una pessima attrice, oltre ad essere una guardarobiera molto pasticciona. Petruchio, fino a quindici anni visse nel quartiere di Health. Fu un’esperienza fondamentale, malgrado tutto. Poté osservare e studiare da vicino la degradazione, il vizio, la povertà, il male. Elementi universali che, ovviamente, in quel quartiere venivano espressi in modo del tutto particolare. È stato un grandissimo merito di Petruchio, divenuto, poi, acclamato commediografo, filtrare il particolare, in modo che gli elementi di fondo della vita fossero compresi come universali da platee vastissime.
Per aver rubato in un museo un vestito settecentesco, che gli occorreva per la prima recita nella quale aveva una parte importante, finì in riformatorio. La dura vita in quel tremendo luogo di espiazione ha contribuito indubbiamente a forgiargli il carattere. Devo dire però che il carcere minorile gli ha anche provocato una parziale confusione mentale. Ci sono alcune contraddizioni di fondo nel suo modo di pensare e di comportarsi. Da un lato, ha maturato un inqualificabile senso di anarchico rifiuto verso le istituzioni, da un altro, ha modellato gli strumenti per formarsi un’immagine pubblica nella quale far confluire i segni esteriori dell’autorità. Tranne l’ispettore, gli altri, sicuramente, non avranno capito il senso delle mie parole. Non è importante.
Petruchio ha lottato contro le istituzioni e ha cercato di porsi al di sopra di esse. Per tutto il tempo che durò la carcerazione, elaborò un progetto. Appena uscito, si precipitò in uno studio di araldica. La sua era stata una geniale ispirazione. Fu accertato, in modo inequivocabile, che è discendente diretto di Oliver Cromwell. Può, quindi, fregiarsi, a buon diritto, del titolo di Lord Protettore. Non può essere altrimenti, tutti e due hanno un carattere particolare che li porta ad essere bizzosi ed irriguardosi.
In età matura, cioè fattosi vecchio, dopo una lunga battaglia - ah, ne ha spesi di soldi, fino a ridursi sul lastrico - è riuscito a farsi riconoscere i suoi titoli dall'Alta Corte. Già in gioventù, per pagarsi le ricerche araldiche, lavorò con determinazione.
Anche intorno ai venti anni, l’epoca delle sue prime frenesie, non era aggraziato, anzi, decisamente brutto. Non era assolutamente in grado di interpretare il ruolo del bell’attor giovane. A renderlo ancora più repellente era stato un incidente avvenuto in riformatorio. Colpa del suo carattere e della mancanza di popolarità che aveva nel luogo di espiazione. Si trovò, alla fine, totalmente inviso ai compagni e con la mascella irrimediabilmente slogata. Il suo mento, già in origine pronunciato e squadrato, propendeva ora decisamente verso un lato, foggiandogli la faccia in maschera comica strana, mai vista prima. Era una personale attrezzatura scenica di prim'ordine.
È molto intelligente Petruchio, nonostante tutte le sue assurdità. Lo è di più ora, se è vero che è fuggito da questo posto.
Capì che doveva sottolineare il difetto per avere successo. Si giovò, poi, dell’estrema duttilità delle sue masse muscolari, attitudine che lo rendeva un autentico fenomeno da baraccone. Si diede ad interpretare con crescente successo, negli spettacoli di varietà, tenuti in nauseabondi teatri di infimo ordine, la parte della marionetta disarticolata. Con l’andar degli anni la sua brutta, lunga faccia sgraziata si è andata affilando sempre più, diventando quella che abbiamo conosciuto. Un teschio, appena ricoperto da un sottile strato di pelle. Sempre una maschera comica, perché nel teatro continentale la fame e le sue esaltazioni hanno fatto sempre ridere, in quanto naturalmente tragiche.
Via via che il suo aspetto subiva dei cambiamenti, abituò il pubblico ad un’altra trasformazione. Sulla scena i suoi movimenti diventavano sempre più contenuti. La smise di esprimersi con quei movimenti, innaturali e volgari, da mimo e cominciò a parlare. La sua recitazione, prima ricamata ... ricamata, poi ... su soli temi comici, si è andata arricchendo gradatamente nel tempo di toni tragici. È arrivato a comporre una di quelle terribili salse che piacciono tanto al pubblico. Ormai è arrivato ad affinare tanto l’arte della parola da riuscire a far diventare parte integrante del suo discorso scenico anche lunghe pause, intensi silenzi. Confesso che questa è la parte del suo modo di recitare che mi piace di più.
Ha scritto sempre da solo i suoi testi. All'inizio erano brevi monologhi, spassosi per la gente comune. Col tempo i suoi testi hanno acquistato la corposità di commedie di normale lunghezza, nelle quali l’ironico, il satirico si sono fusi mirabilmente con il drammatico. Ad un certo punto è cominciato anche a piacere alla critica, che, normalmente, ne capisce anche meno del pubblico.
Si impone una riflessione. Tutti quelli che in questo momento fingono di non sentire, non sono evidentemente interessati al problema. Parlerò, perciò solo all'ispettore Tramma, che è l’unico in grado di capirmi. Si è scolato la produzione di un mese delle mie capre. Lo so, nei momenti di massima concentrazione deve bere grandi quantità di latte di capra. Sospetto che da piccolo sia stato tirato su solo con latte artificiale. Le consiglio caldamente di parlare con uno psicanalista del suo problema. Forse sto divagando... Dicevo: Petruchio è un attore ed autore universale o può essere considerato, riduttivamente, come l’interprete del suo popolo? Indubbiamente, prima della glaciazione, la sua notorietà ha valicato gli angusti limiti della sua città. Fu apprezzato anche nella vecchia, cara Londra.
All'epoca non recitava in inglese. Nessuno di noi lo capiva. Si sa, il linguaggio dell’arte è universale. Di certo fu accolto con grande curiosità per via delle sue pretese di vedersi riconoscere il titolo di Lord Protettore.
Prima della sua scomparsa, ho avuto modo di conversare a lungo con lui. Data l’eccezionalità del personaggio l’ho fatto anche parlare. Spero che la sua non sia stata una fuga come qualcuno pensa, ma solo una momentanea assenza dai pasti principali. Questa tavola è completamente piatta e senza sugo, eccezion fatta per il nostro eccellente investigatore. Ma un’artista, un’artista sia pure fiore solitario, la ravviva in modo splendido.
Dunque, Petruchio mi ha confessato: 'Mi dicono che sono stato l’interprete del mio popolo. Questo lo dicono le persone che vogliono ridurre il mio modo di far teatro a una cosa insignificante. I miei detrattori tirano sempre in ballo questa storia del particolare rapporto che ci sarebbe stato con questo popolo, che avrei rappresentato sulla scena. Vorrei chiarire, finalmente. I personaggi che rappresentavo provenivano dalla gente che mi veniva ogni sera a vedere, perché essi erano parte del mio vissuto. Erano personaggi negativi, perché ho conosciuto gli aspetti più duri della vita. Ma la mia gente non vedeva in essi l’universalità dei sentimenti, dei vizi dei difetti dell’uomo. Gli spettatori della mia città erano convinti che io facessi solo l’affresco e quasi, quasi il panegirico, in maniera comica o tragica, ma, comunque, sempre teatralmente gradevole, dei peggiori figuri della mia città. Quelli che, con le loro prepotenze, le loro sopraffazioni, l'avevano resa invivibile. I miei concittadini volevano che, sulle tavole del palcoscenico, dessi l’assoluzione a tutto ciò che c’era di negativo in loro e tra loro. Il fatto che io abbia avuto successo all’estero, li ha fatti anche inorgoglire. Mi hanno visto come l’esportatore, verso platee straniere, delle loro furbizie, del loro quotidiano modo di sopravvivere. I miei concittadini hanno creduto che gli applausi, che si erano levati nei teatri internazionali, fossero diretti a loro e non a me, semplice intermediario.
Devo farlo io un discorso sull'universalità dell’arte? A volte penso di aver avuto un effetto diseducativo sulla mia gente'».
Celia rimase pensierosa, ma riattaccò quasi subito: «In realtà, non ho mai visto recitare Petruchio nei lavori ai quali alludeva nel suo discorso. Ho assistito ad una sola commedia interpretata, ma non scritta da lui...».
Celia Selfridge lasciò il discorso a mezz’aria. I suoi ospiti si misero nuovamente sul chi vive e rialzarono nello stesso momento le teste dal piatto. Tramma pensò che c’era sicuramente qualcosa di misterioso ed allusivo nelle ultime parole della donna. Si disponeva, quindi, ad ascoltare con rinnovato interesse la vecchia signora, ma fu deluso. Celia annunciò che tutto quel parlare le aveva fatto venire appetito. Era tempo che lei consumasse la sua solitaria colazione nella Red Pompeian House e che gli altri interrompessero la loro, là nella locanda di Asellina.