Universale Remedium
VIII
La presenza di Mastro Antipher a Pompei non poteva passare inosservata.
«Ispettore» aveva raccontato al suo amico «c’è un uomo che mi osserva. È un gigante dal pelo rosso. Entra dentro la casa di Sinopis. Mi guarda lavorare. Poi se ne va come è venuto, senza dire neanche una parola».
Le visite di Cedric cessarono dopo qualche giorno. Celia aveva detto a Tariq: «È stato visto molte volte negli scavi con un buffo ometto. Il suo conoscente sta rimettendo in piedi una vecchia casa. Al momento sembra non interferire. Mi auguro che, per il suo bene, continui a tenere il suo discreto comportamento».
L’artigiano aveva ricevuto altre visite. «Tutta gente con i picconi e con altri arnesi da scavo. Tre uomini e due donne. Una di queste porta a tracolla un apparecchio di cui non sono riuscito a capire il funzionamento. A cosa servirà? Entrano senza salutare e mi chiedono a bruciapelo quanti anni voglio ancora vivere. Non ho capito se intendono minacciarmi o mettere alla prova le mie capacità di prevedere il futuro. A tutti quei maleducati ho risposto che vivrò quanto piacerà al Signore».
Una sera, Antipher se ne tornava al suo rifugio. Aveva lavorato molto nella casa di Sinopis. Non si era reso conto che si era fatto molto tardi. Si era intabarrato. Anche il volto era in parte coperto. Quell'abbigliamento e la lucerna, che reggeva con la mano protesa in avanti, per rischiarare il cammino, lasciarono interdetto un uomo mascherato che aspettava poco distante dalla casa di Sinopis. Lo stupore durò poco. Il tipo che indossava una tuta da meccanico scivolò nell'oscurità e si fermò davanti all'uomo imbacuccato. Antipher alzò la lucerna per fare luce su quell'incontro. «Chi è lei? Cosa vuole?»
«Devi andare via, brutto vecchiaccio ficcanaso» dis-se l’uomo in tuta, mentre era per calare un robusto bastone sull'aggredito. Non ne ebbe il tempo. Da un punto imprecisato, era sbucato, a testa bassa, un essere a quattro zampe. Una violentissima testata sul fianco spiazzò completamente l’uomo in tuta, facendolo cadere a terra, tramortito. Il vecchio, intanto, con la lucerna spenta a causa dell’attacco, riprendeva il suo cammino, a tentoni, nel buio. Alle sue spalle vigilava Platone, tenendo d’occhio quello che giaceva immobile per terra, e seguendo i movimenti di un altro individuo mascherato. Quest’ultimo, che indossava una tuta mimetica, era sopraggiunto proprio nel momento in cui il caprone aveva compiuto la sua opera di salvataggio. Alla fine il becco, visto che l’altro temporeggiava, passò lui all'azione, caricando e mettendo in fuga il personaggio in tuta mimetica. Platone raggiunse l’artigiano. Questi era andato a finire in un vicolo cieco e premeva inutilmente contro un muro, che non gli era sembrato per nulla diverso dal buio pesto che era tutto intorno. Con decisi, ma delicati movimenti della testa, Platone riuscì ad orientare il suo protetto e ad avviarlo nella direzione giusta. L’animale proseguiva lento e tranquillo, districandosi con facilità nel labirinto della città morta e facendo da lucerna vivente all'uomo che lo seguiva con la mano aggrappata al suo pelo.
Nei giorni successivi, una maggiore prudenza di Mastro Antipher, un'attenta vigilanza di Tramma e, soprattutto, di Platone, valsero a scongiurare nuovi attacchi. Con in bocca la pipa di schiuma, che provvedeva ogni tanto a caricare, ma non ad accendere, e con, sopra i vestiti, il vecchio grembiule di cuoio, l’artigiano procedeva alacremente nel suo lavoro. Valutava quello che c’era da fare ed agiva a colpo sicuro, senza incertezza. Dopo aver studiato lo sviluppo della costruzione, aiutandosi con le piantine delle case già dissepolte, comunicò a Tramma che l’alloggio doveva consistere di pochi vani. Un tempo, aveva fatto parte integrante di una casa signorile, molto più ampia. La crisi economica, che era seguita al terremoto del 62 d.C., colpendo anche le famiglie più abbienti, aveva portato al frazionamento dell’immobile. Antipher lavorò prevalentemente nel vano che dava su quella che era stata la strada. Dopo che ebbe liberato la parte centrale della camera, cominciò una lunga opera di auscultazione. Un orecchio teso sulla parete e un continuo, lieve battere di nocche. Tramma tratteneva il respiro.
«Cos'è quella poltiglia chiara che continua ad introdurre nel foro che ha praticato sulla parete?» chiese l’ispettore.
«Un intruglio a base prevalente di gesso. C’è anche dell’altro. Varie sostanze». Questa fu la spiegazione misteriosa del vecchio. Non gli andava di svelare i suoi piccoli segreti. Attesero senza parlare che l’impasto denso prendesse forma nella cavità. Poi, con un martellino ed uno scalpello, fu eliminato tutto quello che avviluppava le forme create dal gesso indurito.
I due capirono che, a suo tempo, la stanza era stata rivestita completamente di assi di legno grezzo. Il deperibile materiale era stato sapientemente sostituito dall'impasto di Antipher, che era andato a ricreare finanche le originarie asperità. Le assi di legno erano raggruppate e delimitate da cornici, pur esse, all'origine, di legno.
«È strano per una costruzione pompeiana» fece l’anziano maestro.
«Sarà stato per un capriccio dell’abitante. Il matematico, che abitava qui, doveva essere un tipo originale». Tramma abbozzò una spiegazione.
«Un capriccio o un’esigenza? Comunque cercheremo di spiegarlo poi. Ora dobbiamo occuparci della mobilia».
Il gesso assunse, quindi, la forma di un armadio. «Ecco un larario, cioè un tempietto a forma di mobile per il culto degli dei protettori della casa» disse Tramma, che consultava uno dei suoi libretti.
«Spiacente di deluderla, ispettore. Fino a questo punto non possiamo affermare che questa casa avesse protettori. È, invece, un armadio di legno a ripiani ed ante incernierate».
Il vecchio maestro, tagliando delicatamente, ricostruendo parti, incernierando riuscì a dare nuova consistenza e completa funzionalità al mobile.
All’interno di esso trovarono tre lucerne ad olio, di bronzo, e un braciere, pure di bronzo. Fu relativamente facile riportare alla luce, senza che fossero necessari difficili interventi, un semplice tavolo in metallo e marmo e uno sgabello a gambe incrociate. «Ecco una sella curule» disse entusiasta l’artigiano.
Via via che i giorni passavano e nuove cose veniva-no ricreate, l’eccitazione del vecchio aumentava e così il suo lavoro frenetico. Alla sella curule venne accoppiato il calco in gesso di un posapiedi, originariamente in legno. Di due letti furono ritrovate solo le parti in metallo. Antipher, sulla base di calchi e di disegni tratti da antichi libri, li ricostruì completamente, munendoli di una rete di legno. Si prese finanche la libertà di completarli con materassi e guanciali.
«La casa dei matematici, dunque» osservò Tramma, indicando i due letti ultimati.
Il maestro lo guardò perplesso e poi fece un cenno negativo con la testa.
«La casa del matematico e della matematica, allora».
«Ispettore, a giudicare dai letti, l’abitante della casa era uno solo. Non si faccia fuorviare dalla circostanza che ne abbiamo trovato due». Si chinò sotto il primo e cacciò, trionfante, un oggetto di terraglia: «Matellio, orinale» spiegò. «Sotto il secondo quest’utile oggetto non c’era. Deduco che il primo era un letto per dormire, un lectus cubicularis, il secondo un lectus lucubratorius, cioè un letto da studio». L’ispettore non nascose la sua emozione quando, proprio di fronte al letto da studio, venne alla luce un rettangolo forzatamente chiaro, perché rinato nella materia gessosa. «Un tappeto. Dunque, anche il matematico intrecciava quietamente i suoi pensieri». Gli venne in mente l’altro tappeto stinto, che aveva lasciato di fronte alla sua scrivania, ormai vuota, in una stanza di New new Scotland Yard. Da formidabile conoscitore della materia spiegò poi: « Gli antichi egizi maschi tessevano personalmente i propri tappeti. Grande prova di civiltà ...»
«Bisogna saper bene usare la testa e le mani». commentò con semplicità, approvando, Mastro Antipher.
Si era, ormai, quasi alla fine dei lavori. Tramma fu pregato di non presenziare al loro andamento, per alcuni giorni.
Tariq fu finalmente ammesso nella casa. Mastro Antipher era sulla soglia. Gli mostrò sorridendo, con la pipa serrata tra i denti, la porta di legno, che aveva ricostruito, e la sua serratura. «Così non potrà essere disturbato». «Come ha capito che questo diventerà il mio rifugio?» «Intuizione». Entrarono. Da una finestra che si apriva sul lato destro della camera, penetrava una luce lattiginosa. Tariq si avvicinò all'apertura con aria interrogativa. «È protetta da una lastra di talco» spiegò l’artigiano, indicando il rettangolo di un colore grigio opaco.
Di fronte alla porta era disposto il tavolo di marmo e bronzo e, dietro, lo sgabello, la sella curule, con davanti il posapiedi. Sul tavolo, una lucerna, delle candele, lo stilo per scrivere, un calamaio che era formato da due recipienti cilindrici, ciascuno ricoperto da un coperchio. Tariq scoprì uno dei due cilindri. All’interno c’era un liquido nero. «È atramentum, inchiostro. La composizione non è un mio segreto: fuliggine di pece, feccia di vino, nero di seppia ».
Vicino al tavolo c’era un braciere rettangolare di bronzo, ricoperto di carbonella. Sul lato sinistro, entrando vi era il lectus lucubratorius e, di fronte ad esso, il tappeto rigenerato. A sinistra della scrivania, faceva bella mostra di sé il massiccio armadio. Mastro Antipher aprì le ante e prelevò due oggetti. «Due miei personali omaggi». Porse un piccolo recipiente a forma di capretta. «Così potrà bere il suo latte con più gusto. E questi sono due zoccoli. Non originali, ma una ricostruzione ideale. Venivano usati nei bagni pubblici. Ho pensato che le potranno tornare utili e comodi anche qui».
Le sorprese non erano finite. Il vecchio artigiano andò verso le pareti e mostrò come le doghe di legno incorniciate fossero in realtà dei pannelli incernierati, che si aprivano. Le ante, che erano state ricostruite come in origine, nascondevano pareti ricoperte di minutissimi geroglifici, che nessuno dei due uomini era in grado di decifrare. Più sorprendente fu quello che riservavano le ante proprio dietro il tavolo. Nessun graffito, questa volta, ma una rientranza nel muro che accoglieva una specie di pesante baule, ornato di borchie e di rilievi in bronzo.
«Un’arca, cioè una cassaforte. Qui venivano custoditi gli oggetti di valore della casa. Apriamo».
«Ma c’è solo sabbia».
«Guardi bene. Cosa c’è nella sabbia?» Tariq tuffò la mano ed estrasse dei papiri arrotolati. «Ispettore, questa è una meravigliosa casa di bambole, a grandezza naturale. La più bella alla quale abbia mai posto mano».
Tramma calzò gli zoccoli e sedette davanti al tavolo. Fece per svolgere il papiro, ma si fermò. Capì che quella non era la posizione ideale per cominciare ad affrontare le prove impegnative che lo aspettavano. Si distese, quindi, sul lectus lucubratorius e guardò il tappeto. «Questo è il modo giusto. Ancora un piccolo particolare e la situazione potrebbe definirsi perfetta. Ho il recipiente adatto, ma manca il latte di capra. Bisogna che provveda». Fissò nuovamente il tappeto. «Chissà quali erano i colori ed il senso della composizione? Devo riuscire a scoprire disegno di Sinopis».
Cominciava, nel frattempo, a fare buio ed il freddo gli dava sempre più fastidio. A malincuore, dovette scendere dal letto per accendere la lucerna, le candele e la carbonella nel braciere. Poté finalmente ritornare nell'assetto orizzontale che era destinato a diventare il suo consueto. Il papiro poteva svelare tutti i segreti che conteneva. «È perfettamente conservato. La sabbia lo ha preservato. Non c'è necessità di alcuna macchina per srotolarlo». Svolse il cilindro.
«Io Sinopis Aegyptius, secretus imperialis investigator, per volontà dell’imperatore Tito, sono stato inviato in questa città di Pompei. All'orecchio dell’imperatore sono giunte voci preoccupate sul destino di questa comunità. Essa è dominata dalla violenza e dalla sopraffazione di pochi. Gli onesti si devono piegare e sopportare. Non avrò contatti con i magistrati di Pompei, perché sono tra i responsabili della degradazione. Riferirò direttamente all'imperatore, al termine delle mie indagini. Per svolgere il mio incarico in assoluta segretezza, senza che qualcuno possa sospettare lo scopo della mia presenza, fingerò di insegnare ai giovani a far di conto, ma sarò talmente modesto ed inetto da non trovare un lavoro. L’ambiente è sommamente pericoloso e non potrò contare sull'appoggio e sull'aiuto di nessuno».
Tramma aveva quasi concluso la lettura del foglio. Aveva gli occhi lucidi. Si sentiva soffocare. La lucerna, le candele ed il braciere accesi avevano reso irrespirabile l’aria della stanza. Tramma tossiva maledettamente. Mise una mano sulla bocca e corse ad aprire la porta. L’aria fredda gli fece immediatamente bene. Si asciugò gli occhi pieni di lacrime ed aspirò profondamente.
Mastro Antipher era sparito. Tramma cominciava ad essere preoccupato. Si erano anche perse le tracce di Platone. «Che siano rimasti tutti e due vittime di un agguato, preparato in maniera più seria dell’altra volta, ed andato ad effetto?» Chiese a Celia Selfridge. La vecchia sembrò ignara o fu molto abilmente evasiva. «Quel personaggio ridicolo? Il giocattolaio? Completamente inoffensivo. Qui ha avuto il merito di non interferire. So che è legato a lei, per via di qualche ridicolo progetto. Non so niente più di lui. Teme forse che sia rimasto vittima di qualche altro colpo di testa di quei due imbecilli di Waldo Dodge e di Gordon Abercrombie? Sono stata informata. Ho già provveduto a privarli del dolce per quindici giorni. Sono sicura che non si permetteranno più di infastidire il suo amico. Piuttosto, ho appreso con dolore che lei ha lasciato la Red Pompeian House per un incerto rifugio tra le rovine. Capisco, però, il fascino delle città spopolate ed in rovina. Normalmente, il maggiore svantaggio degli agglomerati urbani sono i loro abitanti».
Qualche mattina dopo, Tramma, nel corso del solito giro quotidiano, fu sorpreso nel vedere, a pochi passi da casa sua, un’insegna che non gli sembrava di aver mai notato prima. «Titius Caius Antifero - Artifex». Le alte lettere dorate, non dissimili per forma da quelle che apparivano qua e là sulle lastre di marmo, erano contornate da un rettangolo di un giallo intenso, che si spezzava ai quattro angoli. Tramma stava ammirando il bel fondo rosso vivo dell’insegna, quando, un rumore di serratura che scattava, lo fece sobbalzare. La porta di legno si aprì quel tanto che bastava per lasciare passare un anziano uomo dai capelli candidi. Sbadigliò educatamente. Gli occhi erano ancora pieni di sonno.
«Un cliente mattiniero. Sono fortunato. Buongiorno, ispettore». Spalancò la porta. Su un basso bancone di legno c’erano vasi di bronzo di varia foggia e dimensione. Dal soffitto pendevano altri recipienti e numerose lucerne. «Non mi dica che ho cambiato mestiere. Da giocattolaio a bronzista. In effetti, continuo ad avere a che fare con i giocattoli. Solo che ora ci vivo dentro». Rifletté un momento, senza badare allo stupore che appariva sul volto di Tramma. «Che guaio questa brutta glaciazione. Se ci fossero turisti in giro, sono sicuro che potrei fare affari d’oro. Perché mi guarda così? Non sono venale, sa. Era solo una considerazione fatta così ... Un artigiano misura la sua popolarità, che è indice della sua abilità, da quante cose vende e dal prezzo che pratica. La gente che abitava vicino a Pompei prima di noi non aveva capito proprio niente. Io avrei ricostruito una strada, così com’era prima, con le case, le botteghe. Dentro avrei messo le suppellettili e le attrezzature, originali o ricostruite. E poi avrei animato tutto con gente vera». Mastro Antipher era eccitato. Quello che diceva gli appariva vero e vitale davanti agli occhi. «Ci pensa, ispettore. Giovani, vecchi, bambini, vestiti all’antica, a svolgere la vita di ogni giorno. A parlare in latino tra di loro e con i turisti di passaggio. Un grande, magnifico gioco». Poi scosse la testa e si rabbuiò. «Tutto questo non è possibile, purtroppo». Si mosse verso l’interno. «Guardi, ispettore, qui c’è una scala. È un po’ bruttina. Devo fare bene attenzione. Porta alla stanza superiore. È la mia abitazione. Non è importante che la visiti, c’è un letto, qualche mobile e tutti gli attrezzi moderni che mi sono portato appresso. Temo che non sia molto in stile. Cosa vuole, dietro tutte le finzioni occorre sempre che ci sia un po’ di realtà».
Platone, passando, sembrò gradire il nuovo insediamento. Indubbiamente era importante ottenere l’approvazione di colui che, fino a poco tempo prima, era stato il solo ed autentico cittadino pompeiano.