Elio

da "Asporti non autorizzati"


Nella storia dell’ostetricia non si era mai verificato che il primario ginecologo avesse richiesto urgentemente in sala parto una scala, necessaria, si badi bene, non per sostituire delle lampade, ma per garantire il benessere del neonato.

Il medico avrebbe dovuto avere delle avvisaglie su ciò che sarebbe successo, ma non si era per niente curato di certi segni premonitori. Non si erano, infatti, rotte le acque, ma un fortissimo sibilo aveva avvertito della fuoriuscita dell’aria compressa.

Fatto sta che, di lì a poco, il bambino era venuto alla luce, o, meglio, era schizzato fuori. Si era messo a fluttuare nell’aria, impedito in un volo ancora più deciso dal cordone ombelicale. I presenti erano sbigottiti, imbambolati. Senza neanche pensarci su, un’infermiera aveva tagliato il cordone ombelicale. Il bambino era andato verso l’alto e si era fermato sotto il soffitto.

Perciò era stata richiesta la scala, che il ginecologo, se fosse stato previdente, avrebbe dovuto reclamare già all’inizio del travaglio pneumatico. 

La madre era preoccupata per il futuro del bambino, al quale era stato dato il nome di Elio. 

“Povero figlio mio, costretto tutto la vita a volare alto. Non è umano. Questo gli porterà certamente guasti psicologici.” 

“È colpa tua” aveva detto, poi, con rabbia, la puerpera al marito, trattenendo il bambino faticosamente per i piedi. 

Perché era colpa del povero disgraziato consorte? La signora, al quinto mese di gravidanza si era svegliata una notte, ed aveva detto: “Ho voglia di nuvola.” Il marito si era dato da fare, era arrivato fino alle più alte vette degli Appennini, ma non c’era stato niente da fare. Era il 15 agosto ed il cielo era limpido e terso, senza ombra di una nuvola.