Via S. Giovanni a Carbonara

Palazzo del Principe di Sant'Andolino


da "Il Contastorie"


Si era nella seconda metà del 1700. La città tremava per la fama sinistra del principe Eugenio di Sant'Andolino. Il nobile alchimista era in odore di eresia. Nei suoi laboratori segreti procedeva negli esperimenti più arditi. 

Viveva da solo, circondato da frotte di servitori meccanici. C'erano automi che accudivano alla casa, altri che lo aiutavano nei suoi maneggi parascientifici. Si parlava spesso del suo matrimonio segreto con la più bella femmina meccanica che si fosse mai vista. Essa era segregata nella camera da letto del principe, sempre pronta a soddisfare i lascivi bisogni del nobile.

Particolarmente noto era, tra la gente, l'automa che provvedeva agli acquisti per i bisogni quotidiani della casa. Era il terrore dei negozianti. Non per l'aspetto, che era, anzi, gradevolissimo. Il servo meccanico aveva incorporato un sistema automatico di pesatura delle merci, che gli permetteva di smascherare ogni tentativo di frode da parte di bottegai disonesti.

I racconti sul principe si moltiplicarono. E come accade sempre in questi casi, la verità si mescolò alla leggenda. Notizie di quel personaggio singolare arrivarono finanche al Sultano di Costantinopoli, il quale era afflitto da gravi problemi di Stato. Il suo harem era inquieto. 

L'insoddisfazione stava montando. Mogli e concubine erano nervosissime. Il Sultano aveva paura che il suo amato gineceo divenisse teatro di gravi disordini. C'era, ovviamente, un sistema per portare la pace e la serenità nei quartieri femminili, ma esso era al di là delle umane possibilità del sovrano.

Attraverso un suo ambasciatore, il Signore d'Oriente, offrendo oro, gioielli e spezie preziose, convinse il principe di Sant'Andolino a recarsi alla sua corte.

Il Sultano spiegò che la tradizione impediva che le sue donne fossero soddisfatte da altri uomini. I più grandi saggi, però, gli avevano detto che un sistema meccanico, deputato al benessere fisico delle signore, sarebbe stato lecito.

La causa era giusta. Che cosa non farebbe un nobile per delle signore di sangue reale? Il principe mise volentieri il suo giravite a disposizione della corte di Costantinopoli. In breve costruì un automa portentoso, dalle fattezze sublimi, in grado di soddisfare ogni notte tutte le donne dell'harem. Il nobile inventore ne garantì il funzionamento per tre anni o per cinquantamila rapporti.

Bisognava procedere alla prova pratica. Eugenio di Sant'Andolino, insieme all'automa, fu portato nell'harem. Il nobile, per poter entrare nei riservatissimi appartamenti, fu costretto ad indossare una specie di cintura di castità.

Davanti agli occhi sbalorditi del sovrano, l'automa svolse le funzioni per le quali era stato costruito in maniera portentosa. Era anche in grado di dire qualche parola. Sussurrava alle principesse: "Mia stella d'oriente", e poi passava ad argomenti muti, ma certamente più solidi per le principesse. Il Sultano e le sue donne erano al settimo cielo per la contentezza.

Il principe di Sant'Andolino rispondeva distrattamente alle lodi e ai ringraziamenti del sovrano. 

Era frastornato, mai si era trovato tra tante bellezze.

Si riebbe e partorì un'idea: "Mio Signore. Temo di averti servito male. Non avevo ben calcolato quante fossero le donne. Qui occorrono due automi. Ne costruirò subito un altro. Potrà entrare in azione questa notte stessa."

"Tu dici..." fece il Sultano, e un lampo gli attraversò gli occhi.


Quella notte, i due automi dispensarono i loro favori alle affamate signore. All'improvviso, fece il suo ingresso il Sultano. Il grand'uomo si comportò con la sagacia e l'astuzia di un visir delle Mille e una notte.

"Che gli automi vengano vicino a me."

Vennero chiamati un eunuco con una grande calamita e una guardia (altro eunuco) con la scimitarra.

Dei due dispensatori automatici d'amore, uno restò attaccato alla calamita, l'altro no. Si trattava del principe travestito d'automa. Il nobile si era stancato dei suoi rapporti con la carne in scatola.

Il sultano sorrise malignamente e disse all'automa che non aveva reagito alla prova della calamita: "Tu sei un impostore. Si proceda alla punizione." (Ecco a cosa serviva la guardia con la scimitarra.)