I capelli d'oro

da "Il messia meccanico"


Chi ha detto che le matrigne, nelle fiabe e nella vita, sono cattive?

La regina madre Joanna, alla morte del marito, si prese cura del figliastro Cola, erede al trono, più che dei suoi stessi figli. Vigilò con attenzione sulla sua educazione, in modo che Cola non facesse nulla di indegno per il suo rango.

Nonostante l'impegno della matrigna, il principe si mostrava strano e non faceva che dare grattacapi e preoccupazioni.

Cominciò a vestirsi da principessina, suscitando chiacchiere e sorrisetti nella corte. Joanna, vedendolo acconciato in quel modo, non disse nulla. Aggrottò le sopracciglia e si morse un labbro.

Però emanò subito un decreto. Dal regno venivano banditi i vestiti femminili. Chi li avesse indossati sarebbe stato condannato a morte.

Joanna sospirò (cosa non si fa per la ragion di Stato!) e si infilò in uno dei vecchi abiti del marito.

A Cola fu spiegato che era dovere di un principe ereditario obbedire per primo alle leggi. Il giovane, che era giudizioso, rinunciò, sia pure a malincuore, al suo abbigliamento.

Cola, spirito dolce e buono, amava soprattutto la musica. Chiamava spesso a sé un aggraziato paggio della sua età, Junno, che aveva la voce più dolce che si fosse mai sentita, in quel regno e nei vicini.

Cola accarezzava i lunghissimi capelli d'oro di Junno, mentre quello, accoccolato ai suoi piedi, suonava e cantava.

Il principe chiudeva gli occhi: tutti erano buoni con lui, ma era veramente felice solo quando era con il paggio.

La matrigna venne a sapere degli incontri del figliastro con il musico.

Non disse nulla, ma aggrottò le sopracciglia e si morse un labbro.

Ci fu un grande scandalo: nella stanza di Junno fu trovato un fazzoletto del principe ereditario. Il paggio fu arrestato. Sotto tortura, ammise di averlo rubato a Cola.

Non si poteva rubare impunemente al futuro re. La legge era chiara: il ladro andava decapitato, ed era fatto obbligo al principe stesso di eseguire la sentenza.

Cola era stato educato al rispetto dei doveri del suo rango. Con la morte nel cuore, piangendo, si apprestò a compiere il suo dovere. Era, però, troppo debole per maneggiare la mannaia. Come sempre amorevole, la regina Joanna sostituì la sua forza a quella inesistente di Cola. Il principe riuscì appena a lambire lo strumento di morte.

Giustizia fu fatta.

Le ceneri di Junno furono disperse, ma il liutaio di corte riuscì, segretamente, a salvare dalle fiamme i bellissimi capelli d'oro del paggio.

Cola piangeva e si disperava. Per giorni e giorni non mangiò.

Joanna, sempre affettuosa con il figliastro, si disse: “Deve dimenticare. È tempo che si sposi.”
La legge imponeva ad un futuro re di prender moglie. Cola lo sapeva. Accettò la sposa che era stata scelta per lui.

Joanna aveva mandato messi nei regni vicini, per trovare una principessa da marito, che sapesse suonare e cantare.

Quella che fu trovata si chiamava Ciaola, evidentemente bella come il sole e bravina nell'usare l'arpa.

Joanna incaricò il liutaio di costruire uno di quegli strumenti. L'artigiano ne fece uno davvero speciale.

Fu deciso che la presentazione dei due promessi sposi avvenisse al termine di un'esibizione musicale di Ciaola.

La musica era dolcissima. La ragazza non era molto abile nel muovere le mani sullo strumento. Il merito andava all'eccezionalità dell'arpa e, soprattutto, alle sue corde, che luccicavano come i capelli d'oro di Junno.

All'improvviso, Cola scoppiò a piangere.

“Vedete!” strillò la regina madre, in modo che tutta la corte l'udisse. “Il principe Cola si è subito invaghito della sua promessa sposa. Si commuove, quando la sente suonare.”

Le cose non stavano proprio così. Cola aveva sentito - lui solo - la voce di Junno provenire dall'arpa. “Non rattristarti ancora. Non aver rimorsi. È stata la tua matrigna ad uccidermi. Queste corde sono i miei capelli. Continueremo a stare insieme. Accarezza l'arpa e sentirai la mia voce, il mio canto.”