Il terzo libro della giungla

da "Il messia meccanico"


Era un freddo giorno d'autunno. Nell'aria c'era il consueto cattivo odore di carburante bruciato. In quel quartiere ultrapopolare della Città Ottimale Numero Due (o, più semplicemente, CO2), come al solito, la gente si affollava nelle strade. Il traffico era caotico. I venditori ambulanti tappezzavano con i loro banchetti i pochi spazi liberi, lasciati dalle automobili parcheggiate sopra i marciapiedi. 

In quella zona, come in molte altre, c'era una novità per quanto riguarda la composizione della popolazione. Alla gente del luogo si mescolavano ora persone arrivate da molto lontano, dalla pelle più o meno scura.

Un buon numero di immigrati proveniva da certe regioni dell'India. Essi svolgevano lavori umili. Le donne, in particolare, facevano lavori domestici.

In un vicolo stretto di quel quartiere della città, in una misera abitazione di un solo vano, al piano stradale, una donna anziana, pur essa immigrata dall'India, sorvegliava bambini. Erano i figli di donne che giravano per le case a svolgere il loro lavoro di cameriere.

L'anziana donna aveva molta nostalgia del suo villaggio. Capitò quel giorno una sua compatriota, da poco arrivata. Cercava lavoro. Le avevano dato l'indirizzo dell'anziana, che era in qualche modo in grado di aiutarla. Le due donne cominciarono a parlare animatamente. La meno giovane chiedeva notizie fresche della sua patria. Nella foga del discorso dimenticò completamente il suo compito di sorvegliante. Uno dei bambini che aveva in custodia, Naur, approfittò della distrazione, scivolò fuori dalla povera casa e dallo stretto vicolo, e si allontanò.

Cominciò così l'avventura di Naur per le strade di CO2, giungla con pochissimi alberi, moltissimi pericoli e, apparentemente, senza tigri.

Naur era spaventato dalla gente che affollava le strade. Veniva sbattuto di qua e di là e trascinato inesorabilmente da un'impetuosa corrente umana.

Pensò che forse era stato uno sbaglio lasciare la casa della vecchia. Era meglio tornare indietro. Si voltò, ma vide che era difficile trovare punti di orientamento utili per rifare il cammino all'indietro. 

Quando era nel suo villaggio in India, gli piaceva esplorare il mondo. Si avventurava per sentieri sconosciuti, ma era sempre in grado di trovare la strada del ritorno. Sapeva tenere a mente certi suoi punti di riferimento, che potevano essere visivi, come un albero o un cespuglio dalla particolare forma, o olfattivi, come una pianta o un fiore dall'odore inconfondibile.

Ma qui era tutto più difficile. Gli alberi o non c'erano o erano malati, per via di quell'aria che copriva con il puzzo del carburante bruciato ogni buon profumo. Non c'era vita vegetale tanto memorabile da poter essere facilmente impressa nella memoria.

“Non so tornare indietro” fu la sua conclusione. Gli occhi si riempirono di lacrime. La paura lo paralizzò. Rimase incollato al suolo, ma una folla disordinata e vociante lo travolse di nuovo e lo costrinse a muoversi. Seguendo la corrente disordinata delle persone che si muovevano, finì col trovarsi in mezzo alla strada. Aveva sempre più paura. 

Le automobili, per scansare i pedoni, per liberarsi dalla morsa di un traffico caotico, facevano strane manovre. Cominciò a fare sera. Si accesero le luci dei lampioni stradali, dei negozi, delle auto. Naur non era abituato a quello sfavillio. Ebbe ora terrore. Si coprì gli occhi con le mani per non vedere. Ci fu uno stridio di freni. Per un pelo, Naur non fu investito da una grossa motocicletta.

Cominciò a correre senza badare a quello che faceva. Molte automobili si fermarono di botto, per non investirlo. Per sfuggire alle mille luci, ai rumori, ai veicoli che si fermavano bruscamente con grande fracasso, Naur salì su un palo dell'illuminazione stradale e lo percorse agilmente, fino ad arrivare quasi in cima.

Fece come era solito quando, nel corso del suo girovagare lontano dal villaggio, si imbatteva in qualche pericolo, rappresentato da un uomo dall'aspetto cattivo o da un animale feroce. Allora saliva sull'albero più vicino e si nascondeva tra i rami più carichi di foglie. Ma qui c'era poco da nascondersi. Così, in alto, si esponeva solamente alla curiosità della gente e non era protetto. Cosa faceva quel ragazzo sopra il palo? Dei ragazzi di strada gli lanciarono delle pietre. Colpito da uno dei sassi Naur scivolò giù e cominciò a correre senza una meta. Niente attirava la sua attenzione, neanche certi negozi, le loro vetrine illuminate, piene di giocattoli e di dolci.

Naur aveva sette anni. Solo da un mese era a CO2 con la sua mamma. Avevano fatto un lungo viaggio in mare con molti altri abitanti del suo villaggio, per lo più donne. 

La mamma di Naur – Imla - aveva scelto CO2 per tentare la fortuna. Là viveva una sua cugina che faceva la cameriera. “Quella parente” aveva ragionato “doveva passarsela proprio bene in quel luogo, perché, ogni mese, mandava a casa molti soldi.”

Dopo la morte del marito, avvenuta prematuramente, Imla aveva capito che, da sola, nel suo villaggio non ce l'avrebbe fatta a mantenere se stessa e Naur. Così si era decisa a partire. 

Naur aveva continuato la sua corsa disperata. Piangeva, chiamava sua madre. Arrivò alle porte del quartiere “53”. Percorse una rampa, una salitina e poi girò a destra. Arrivò vicino alla bottega di un meccanico. Era un luogo poco frequentato a quell'ora. Vi si riunivano drogati. Uno di essi si avvicinò a Naur brandendo una siringa. Il bambino, che aveva rallentato la corsa per la stanchezza, fece appello alle ultime residue forze per volar via, lasciando di stucco quello che, ne era sicuro, stava per aggredirlo e fargli del male con la siringa.

Si ritrovò vicino al cantiere della metropolitana, a quell'ora completamente deserto.

Quel luogo faceva veramente paura, ma il piccolo non aveva più forze, non ce la faceva più a camminare. Il suo terrore aumentò. Ricordò i racconti della madre su uomini cattivi, che rapivano i bambini per usarli come schiavi mendicanti. 

Mentre rifletteva su quelle storie, gli si fece incontro un individuo dall'aspetto terribile. Si sforzava di sorridere, mentre offriva una caramella al bimbo.

Naur ricordò un altro ammonimento di Imla: “Guardati, figlio mio, da quelli che non conosci e ti offrono caramelle. Scappa, scappa da loro.” Ma Naur era distrutto, non ce la faceva a muoversi. Gridò e chiuse gli occhi, aspettando, come un agnellino, che il male gli venisse fatto.

Ci fu, all'improvviso, un ringhiare furioso. Un poderoso cane lupo attaccò. L'uomo cattivo fu travolto da quella furia e cadde a terra. Di fronte all'aggressività dell'animale, l'uomo non reagì. Badò solo a difendersi il volto, coprendolo con le mani. Di fronte a quella reazione, il cane desistette dall'attacco. L'uomo ne approfittò per rialzarsi e correre via.

“Non ti fare più vedere da queste parti, miserabile rubabambini” gli gridò il cane, che corse subito a vedere quali erano le condizioni di Naur. 

Il piccolo indiano aveva cercato di estraniarsi da quella terribile realtà, tenendo gli occhi sempre chiusi. Ma ora, di fronte al comportamento affettuoso del cane, che gli leccava la guancia, cominciava a riacquistare un po' di coraggio. 

Finì con il riaprire gli occhi. Chi era quello che lo aveva salvato dall'uomo cattivo? Un lupo?

Imla, sua madre, gli aveva insegnato a non aver paura dei lupi. Era accaduto spesso che bambini smarriti nella giungla fossero stati salvati ed allevati dai lupi.

“E come fa un lupo a capire un bambino?” aveva chiesto Naur.

“Quando un lupo o una lupa vuole molto bene a un piccolo uomo gli parla, così come io sto parlando con te.”

Naur aveva deciso che quello che aveva vicino era proprio un lupo. E rimase per niente sorpreso, quando quello gli parlò:

“Mi chiamo Capitano. E tu chi sei?”

Naur gli raccontò da dove veniva e della sua mamma. Non gli nascose le sue peripezie in una città che non conosceva.

“Non dovevi abbandonare la vecchia che ti custodiva. Ma a questo punto è proprio inutile rimproverarti. Ora il problema è di trovare la tua mamma. Anche lei starà passando momenti molto difficili” considerò, paterno, Capitano.

Il cane fece salire Naur in groppa, e lo condusse nel suo nascondiglio. Là, disse al bambino, avrebbe esaminato la situazione insieme ad altri amici fidati. 

“Vedrai, troveremo sicuramente tua madre.”

Il cane abbaiò a lungo, in maniera modulata. Era senza dubbio un richiamo. Difatti, di lì a poco, fece la sua apparizione, nel nascondiglio di Capitano, una gatta nera, dai modi molto materni. Era la Santa.

“Vedo che hai messo su famiglia, Capitano” fece la nuova venuta. Naur si rincuorò. Forse anche lì correvano certe leggende, di lupi che adottano bambini.

“Non scherzare” replicò Capitano. “Il giovanotto si è perso. Bisogna assolutamente, ed al più presto, ritrovare sua madre.”

La gatta diventò pensierosa. Il cane, per conto suo, aveva elaborato un certo progetto.
“Qui ci vorrebbe Allocco. Purtroppo, sono mesi che il nostro amico alato non si fa vedere. Con il suo aiuto tutto sarebbe stato più facile. La sua prolungata assenza comincia a diventare inspiegabile. Povero Allocco, comincio a temere che sia stato ucciso.

Cosa possiamo fare, ora, per il bimbo? Vuol dire che agiremo solo con le forze di terra. Ho un'idea.”

Il bambino era sfinito. Si addormentò. La Santa, con le sue consuete dolci maniere, contestava una decisione di Capitano.

“Perché hai chiamato i rappresentanti del popolo dei topi? Non sono d'accordo. Ma tu mi dirai certamente che sono una gatta e che ho, quindi, dei pregiudizi contro di loro. Il fatto è, invece, che non li ritengo affidabili.”

“Non è questo il punto. Non vedo come potresti avere pregiudizi contro il tuo cibo preferito.” Capitano rise, poi si fece più serio. “Anch'io ho dei dubbi verso di loro. Non è che mi fidi molto. Ma, in questo momento, non possiamo sottilizzare. Anche il loro aiuto oggi è il benvenuto. “
Dopo un po' entrarono alcuni topi. Fecero per andare verso Capitano, ma si fermarono di botto non appena videro la Santa.

“Non avete nulla da temere qui” li tranquillizzò il cane.

La Santa, indispettita, uscì fuori.

I topi erano falsamente umili. Avevano l'aria di pasciuti ambasciatori.

“E' questo il ragazzo?” chiesero.

Al cenno affermativo di Capitano, si avvicinarono a Naur, ci salirono sopra e cominciarono ad annusarlo.

“Meno male che sta dormendo. Ciò facilita il nostro compito. Sicuramente, da sveglio, avrebbe paura di noi” disse il portavoce del consiglio degli anziani.

I topi annusarono per un po', poi la smisero e si congedarono.

“Abbiamo elementi sufficienti. Siamo in grado di agire. Cercheremo e vi faremo sapere.”

Capitano annuì. Era stata tutta sua la decisione di chiamare i topi. Era partito da un'idea molto semplice. Naur e sua madre erano solo da poco tempo arrivati dall'India, avevano rapporti con altri immigrati. Era presumibile che continuassero a mangiare pietanze tipiche del loro paese. Dalle pietanze si generano rifiuti. E chi conosce i rifiuti meglio di un topo? Anche l'ultimo dei topi sarebbe in grado di riconoscere la provenienza di un sacchetto di immondizia, preso a caso da una città qualsiasi.

Quindi, aveva pensato Capitano, dall'esame dei residui di cibo sicuramente presenti, anche se in maniera microscopica su Naur, i topi sarebbero potuti risalire al quartiere della città, o addirittura, alla strada in cui il piccino abitava.

La Santa però ebbe ragione.

Il portavoce dei topi di lì a poco ritornò dal Capitano, si schiarì la voce e, in tono molto ufficiale, disse:

“Il popolo dei topi è molto rapido ed ha, al suo interno, sistemi di comunicazione veloci. Gli odori di cibo trovati sul bambino non corrispondono a nessuno di quelli che sono stati da noi catalogati.

Il nostro consiglio degli anziani ha trovato una spiegazione. Siamo in presenza di poveri immigrati, cioè di gente che è abituata mangiare poco. È gente nemica del popolo dei topi. Non producono rifiuti...”

Capitano ringraziò, anche se non era molto convinto del reale aiuto dato dai topi. La Santa, perdendo per un momento il suo tono materno, sibilò: “Lo sapevo, sono una manica di razzisti. E, poi, sicuramente, non hanno fatto nessuna indagine”.

Capitano, prontamente, mise in moto altri contatti. Naur doveva ritrovare la mamma al più presto. Si trovò, però, anche questa volta, di fronte ad una forma di mancata collaborazione. Solo che essa fu esplicita e non mascherata come nel caso dei topi.

Il rappresentante del popolo dei piccioni fu categorico: “Non siamo operativi a quest'ora. Ci dispiace per il bambino e la sua mamma, ma il nostro intervento sarebbe completamente inutile di notte.”

Il piccione fu irremovibile. Alle vive rimostranze di Capitano e della Santa replicò:

“Non abbiamo la vista acuta dei gufi. Al buio non vediamo niente.”

Il piccione aveva parlato dei gufi. Ebbene, se ci fosse stato Allocco, le cose non sarebbero andate proprio così, perché il gufo trovava sempre gli argomenti giusti per piegare l'intero popolo dei piccioni al proprio volere.

La Santa miagolava una ninna nanna dolcissima, la stessa che aveva cantato tante volte ai suoi piccoli, prima che gli uomini li uccidessero. Naur sorrideva nel sonno. Sognava di essere nelle braccia di sua mamma. Imla cantava una canzone che parlava di un gatto che pensava di essere una terribile tigre.

La Santa interruppe, ad un tratto, il suo canto. Vi erano stati due tentativi falliti di ricerca. Toccava ora a lei intervenire. Avrebbe sollecitato l'aiuto del suo popolo per risolvere il problema di Naur.

La Santa era popolarissima. L'intero popolo dei gatti la conosceva e le voleva bene. Di buon grado, quindi, tutti i suoi fratelli e sorelle accettarono la mobilitazione generale. Ad essi, data la loro agilità, fu richiesto di svolgere la funzione di sorveglianza aerea, che sarebbe, in altre circostanze, toccata ad Allocco, alla testa dei suoi recalcitranti piccioni. I gatti salirono sui terrazzi, sui davanzali, sui balconi, su ogni luogo elevato, per osservare i movimenti nelle strade e nelle piazze.

Ma non riuscirono a trovare alcuna traccia di Imla.

Capitano aveva preso il posto della Santa, impegnata a coordinare l'azione sfortunata del suo popolo. Vegliava su Naur. Si schiarì la voce e tentò anche lui di cantare una ninna nanna. I risultati furono rovinosi. Quello strano misto di abbaiare e ringhiare fece di nuovo sorridere il bambino dormiente. Forse ora nel sonno ricordava qualche buffa storia di animali innamorati, che cantavano una canzone alla loro amata. Visto che il suo "canto" produceva effetti positivi sul bimbo, Capitano decise che avrebbe continuato. Anche a costo di perdere la sua dignità di fronte ad altri, che potevano sopraggiungere da un momento all'altro nella sua tana.

Non poté tenere fede al suo proposito. Da un tubo che passava per il suo nascondiglio cominciarono a diffondersi dei rumori ritmati. Il cane si mise in ascolto. Attraverso quella conduttura poteva ricevere messaggi dai suoi amici.

Era la Santa che trasmetteva. Nessuna notizia di Imla. Riferiva, però, che era stato avvistato Allocco, prigioniero in una voliera, in un grande giardino. 

Capitano ordinò, battendo a sua volta con una zampa sul tubo, che la Santa tornasse immediatamente a sorvegliare Naur.

Il cane raggiunse, correndo, la prigione del gufo.

“Vecchio scriteriato, ti sei fatto acchiappare.”

Allocco, che non era decisamente di buon umore, rispose con una raffica di contumelie.
Capitano osservò bene la voliera. Era solida e ben costruita. Né lui, né i suoi amici gatti potevano sperare di aprire un varco, per consentire la fuga del gufo.

Il cane non perse tempo. Era ben determinato. Si fece scortare da una decina di gatti e piombò nel rifugio dei capi dei topi.

“Questa volta non mi prenderete per il naso. Vedete i miei amici? Sono magri per via della crisi economica degli uomini. Volendo si possono rifare con voi. A meno che voi non facciate un certo lavoretto.”

Nei momenti difficili, Capitano tirava fuori le unghie e sfoderava i sistemi più duri, che aveva appreso nella sua giovinezza passata in polizia.

I topi si convinsero e rosicchiarono più punti della voliera, fino ad ottenere un buco sufficiente alla fuga di Allocco.

La riconquistata libertà fece presto dimenticare ad Allocco ogni affronto subito nella voliera. Non consentì a Capitano di parlare, come il cane avrebbe subito voluto. Prima volle fare, dal momento che si sentiva arrugginito, dei voli di prova.

“Ora posso ascoltarti” disse quando poté constatare che le ali erano, nonostante la forzata inattività nella grande gabbia, perfettamente funzionanti.

Dopo aver ascoltato la relazione di Capitano, Allocco ebbe una reazione furibonda. Si precipitò dai piccioni, beccò molti di loro, e gridò che era affamato di piccioni stupidi.

I volatili tiranneggiati dovettero rinunciare al loro riposo e seguire il gufo nella ricerca di Imla.

Imla era tornata molto tardi, perché era andata a pulire la casa di montagna della famiglia per la quale lavorava. Era stata a lungo lontana da CO2. Perciò tutte le ricerche intraprese da Capitano erano fallite. Fino a notte avanzata Imla non aveva saputo della scomparsa di Naur e non si era potuta mettere, quindi, alla sua ricerca.

La piccola comunità di indiani, subito riunita, tenne riunioni concitate. La proposta di ricorrere alla polizia era stata subito scartata, almeno fino a quando non fosse stato chiaro che cercare da soli era inutile. Nessuno di loro, infatti, aveva il permesso di soggiorno. Andare alla polizia era estremamente pericoloso.

Gli uomini della comunità decisero di disperdersi per le strade all'affannosa ricerca di Naur.
Nonostante fosse vivamente sconsigliata, a causa dei pericoli della notte, anche Imla volle andare, da sola.

Il piano era stato elaborato da Capitano e da Allocco.

Una lunga spirale aerea fu idealmente tracciata nel cielo di Napoli. I piccioni si disposero uno dietro l'altro in un volo incessante lungo quella spirale. I piccioni, che si erano dichiarati non adatti per l'individuazione notturna di Imla, nelle strade di sotto, avevano funzioni di appoggio, e di trasmissione di ordini e di informazioni tra il gufo ed il cane.

Allocco cominciò a percorrere la spirale dal punto più esterno, situato su un grande cerchio immaginario che univa la periferia della città. Il gufo fissava attentamente il reticolo di strade. Scandagliava attentamente.

Era sempre più preoccupato, man mano che si avvicinava, senza risultati, al centro della città. Purtroppo, la ricerca si stava rivelando completamente infruttuosa.

Ad un tratto, Allocco comunicò qualcosa al piccione che, in quel momento, gli volava vicino.

“Fai sapere a Capitano che c'è un movimento strano. Due uomini sospetti seguono una donna con la pelle scura, che si aggira disperata nella zona del Museo delle Ombre Passate. Bisogna mettere in stato di massima allerta le forze di terra. Che faccia convergere in quella zona il popolo dei gatti.”

Sulla salita della Ventesima Strada, Imla era stata raggiunta dai due individui, che la seguivano da un pezzo. I due guardarono la giovane, si scambiarono un cenno d'intesa, e l'aggredirono.

Fu un attimo. Da ogni direzione spuntarono dal buio dei gatti, che si disposero a cerchio intorno ai tre esseri umani. Due felini si staccarono dagli altri ed andarono a colpire gli aggressori.

L'attacco fu veloce, efficace e, soprattutto, preciso. I gatti, infatti, non volevano fare alcun male alla donna.

Su, in alto, non ci fu più cielo, ma solo una volta di piccioni. I volatili si erano precipitati in massa in quella zona. Allocco aveva finalmente individuato Imla e i suoi aggressori. Dopo aver dato l'allarme, ora se ne stava appollaiato sulla ringhiera di un balcone. Seguiva attentamente l'evolversi della situazione.

I due individui, intanto, sanguinanti per i graffi dei gatti, liberarono la donna. A quel punto, altri felini balzarono sui due uomini e li coprirono completamente, lavorando di graffi e di morsi. Poi abbandonarono la presa. Quei due tipacci si resero conto che non tirava aria per loro e scapparono via.

Gli appartenenti al popolo dei piccioni si posarono sui tetti, sui davanzali. Quelli che facevano parte del popolo dei gatti si allinearono lungo il muro di un palazzo di fronte a Imla.

La Santa si fece incontro all'indiana, che era impaurita, disperata, frastornata. La gatta miagolò in maniera dolcissima per rassicurarla. Dalla Decima Strada, intanto, Naur scendeva in groppa a Capitano. Il bimbo veniva riportato alla sua mamma.

Una leggenda, diffusa tra la comunità degli indiani di della Città Ottimale Numero Due, parla di un lupo maestoso, buono quanto bello, che, con l'aiuto dei suoi amici animali, riconsegnò un bimbo perduto a sua madre. Il lupo mostrò grande coraggio e si rivelò incurante dei pericoli di una strana giungla, fatta di strade e palazzi.