Il gatto che sapeva disegnare

da "Il messia meccanico"


Ortensio, il grande gatto grigio, era un po’ appassito per l’età, ma sempre agile e vigoroso. Il suo nome originale era Ortensia. Da cucciolo, certi suoi amici umani avevano frainteso e deciso che era una “lei”. Per un bel pezzo, quindi, fin quando fu adulto, era stato chiamato Ortensia. Poi, finalmente e giustamente, chiarito l'originale equivoco, il suo nome diventò Ortensio. Non gli avevano messo le mani addosso per scoprire il suo vero genere. Il gatto, legittimamente, non lo avrebbe permesso. Anzi, si sarebbe difeso con le unghie e con i denti. 

Non è lecito né conveniente, infatti, mettere le mani addosso a un cucciolo di qualunque specie, nelle parti che dicono se è un “lui” o una “lei”. Capite, è una questione di riservatezza e di rispetto.

Ortensio aveva vissuto felice la sua infanzia e la sua giovinezza in casa di un amico a due zampe. L’uomo era un famoso pittore. L’artista, più per gioco che per convinzione, aveva insegnato al gatto la sua arte. Il gatto, però, con un mozzicone di matita o un corto pennello tra i denti, disegnava e dipingeva in maniera veramente eccellente. 

Il pittore aveva un cuore d’oro. Dedicava tutto dicembre a fare disegni su disegni. La notte di Natale, accompagnato da Ortensio, passava nelle case più povere della città. In ognuno di quei luoghi lasciava una prova della sua arte. Poverissime famiglie trovavano così il suo dono di carta, facilmente vendibile ad un prezzo ottimo. 

A metà dicembre di un anno triste, l'artista morì. Ortensio si rattristò moltissimo. Non poteva permettersi, però, di essere sopraffatto dal dolore. Il lavoro dei disegni non era finito. Tante famiglie povere aspettavano il dono. Non poteva deluderle. Il gatto si mise all’opera e, lavorando giorno e notte, completò l’opera dell’amico. In pratica si comportò da falsario. Creò dei disegni che nessuno al mondo avrebbe potuto distinguere dagli originali del maestro. Di lui, Ortensio aveva assorbito tutto: soggetti, ispirazione, tratto, sfumature. Alla fine del lavoro, il gatto aveva un gran torcicollo. Mica era facile ed agevole disegnare con un mozzicone tra i denti, girando continuamente la testa di qua e di là.

Il giorno delle consegne, la notte di Natale, fu, però, tutto più semplice. Per un gatto è una sciocchezza penetrare in un'abitazione senza farsi né vedere né sentire, consegnare un disegno ed andare via.

Morto l'amico, Ortensio cambiò casa. Si installò nella soffitta di un orfanotrofio. Gli piaceva il contatto con i giovani. Diceva: “A loro c’è molto da insegnare. Ma anche noi di mezz’età abbiamo tanto da apprendere da questi cuccioli.”

In un gatto c’è sempre qualcosa di magicamente benefico e la magia si rivelò utile per l’insegnamento del disegno. Ortensio aveva sempre desiderato trasmettere agli altri la sua arte. La cosa, però, era estremamente complicata. Immaginate dei ragazzi che seguono buoni buoni le lezioni di un gatto? Perciò, di notte scendeva dalla soffitta ed entrava nelle camerate degli orfani o anche nelle stanze di bambini fortunati, che avevano mamma e papà. I giovani dormivano. Il gatto si sistemava al centro del locale, dove aveva deciso di tenere la lezione. Tutto acciambellato, cominciava a ronfare. I suoni che emetteva erano particolari. Somigliavano alle onde di una trasmissione televisiva. Dal gatto si irradiavano una serie di immagini e di parole. I televisori riceventi erano i sogni dei bambini. Il gatto cominciava a disegnare. Con la matita, ben stretta tra i denti, dava vita a forme sempre più belle. Dopo aver dimostrato quello che si poteva fare, iniziava a parlare. Che un gatto parli è molto facile in un sogno. 

“Vi insegnerò a disegnare, ma non solo. Il disegno è armonia. Ogni cosa deve stare al suo posto. Perché l’insieme delle cose che rappresentiamo deve essere bello, piacevole da vedersi. Bisogna, però, rispettare le distanze tra le varie cose che raffiguriamo e le giuste proporzioni tra un oggetto ed un altro. Il nostro obiettivo è disegnare il bosco più bello, con il cielo azzurro e il sole. Tutto deve essere nelle giuste proporzioni. Gli alberi e i cespugli devono essere dell'appropriata altezza e devono essere all’adatta distanza tra di loro.”

Tutto quel dover trasmettere nei sogni era estremamente stancante. Ad un certo punto, il gatto crollava e si addormentava. Nei sogni dei bambini si faceva un buio intenso, accompagnato da un fastidioso sfarfallio. Proprio come nei televisori accesi, alla fine delle trasmissioni.

Ortensio seguiva con più attenzione quei bambini o quelle bambine che avevano avuto esperienze molto sfortunate. Alcuni adulti avevano perso il senso di come devono essere le proporzioni tra cose grandi e cose piccole in un disegno, in un quadro e nella vita, ed avevano agito molto male nei confronti di alcuni bambini. I piccoli avevano molto sofferto. Si agitavano e gridavano nel sonno. Dalle loro grida partiva una richiesta di aiuto. Era molto difficile farli parlare in modo chiaro e fare sì che disegnassero. 

Ortensio entrava nei loro sogni. Erano sogni agitati, dove tutto era nero. Solo gli occhi di un gatto potevano mandare piccoli scintillii in quella oscurità. Il felino percorreva in lungo ed in largo quei sogni tristi. Paziente, Ortensio disegnava piccoli punti colorati qui e là. Il bambino li cancellava. Notte dopo notte, il pittore a quattro zampe riusciva finalmente, con grande pazienza, a costruire un sogno non più totalmente nero. Era composto di macchie colorate. Un timido sorriso, appena un leggero contrarsi delle labbra, appariva sulle labbra del bambino. E, notte dopo notte, le chiazze di colore si facevano più ordinate, fino a dare origine a forme definite. Si componeva allora un sogno ordinato fatto di bambini e di grandi, di cespugli e alberi, di oggetti vicini e lontani, di montagne e del sole. E tutto era ordinato e armonioso, tutto era al suo posto. L’albero non aggrediva il cespuglio, ma gli stava accanto, mandandogli amore dalla giusta distanza, badando che crescesse sano e forte. Il sole non accecava, ma illuminava. Il bambino, ricomposto il disegno, partecipava, sempre più intensamente, alle attività del gatto. Parlava, finalmente, con lui di tutti i suoi problemi e le sue sofferenze.

“Lo vedi - diceva Ortensio - finalmente hai fiducia in me. Ricorda che c’è sempre un gatto, ma anche un uomo o una donna dei quali avere piena fiducia. Con il gatto puoi parlare in sogno, con un uomo o la donna di tua fiducia puoi e devi parlare da sveglio. Se ti è stato fatto del male, molto male non è giusto che tu ti chiuda nel tuo dolore. Devi parlare a chi ti ispira fiducia.”

Ortensio morì vecchissimo, alla veneranda età (per un gatto) di ventuno anni. Se ne andò nel modo migliore sognando di dipingere le pareti del tempio della dea gatto egizia Bastet. La divinità sembrava compiaciuta del lavoro di Ortensio, dei suoi disegni dalle giuste proporzioni e distanze. Bastet toccò le zampe al vecchio pittore. Ortensio si sentì agile e scattante, tanto da poter compiere l’ultimo, grande, definitivo salto. 

L’opera dell’artista felino non finì con la sua scomparsa. Ortensio aveva avuto molti allievi a quattro zampe che entravano nei sogni dei bambini, per insegnare il disegno e le giuste proporzioni della vita tra grandi e piccoli. Seguivano il messaggio del maestro: l’albero sta vicino al cespuglio e lo carezza con le sue foglie con amore, curando che cresca sano, libero e forte. Guai, però, se l’albero, impazzito, insinua le sue radici e i suoi rami profondamente nel cespuglio. Sembra grande amore, ma non lo è, perché il cespuglio rischia di morire, sia pure solo nell'anima.