Paiteo - Il dio bambino

da "Il messia meccanico"


I Trevalenenghe riconoscevano in Paiteo, il Dio Bambino, l’eterno ed incessante creatore.

Le idee religiose dei Trevalenenghe influenzavano profondamente il loro modo di vita. La considerazione stessa delle varie età dell’esistenza erano il riflesso dei loro sentimenti sacri.

I bambini fino a sei anni erano Quelli che sono l'immagine di Dio. Dai sette ai sedici anni, gli individui erano Quelli che si allontanano dall'aspetto di Dio. Dai diciassette anni in poi, le persone erano considerate sbrigativamente gli Spennati. La vecchiaia era l'età di Quelli che ritornano a Dio. Beninteso, non nel senso che erano prossimi a morire, ma che ritornavano ad una svagata innocenza. In questa divisione c'era la consapevolezza dei Trevalenenghe sui pericoli che l'essere adulti comportava. La volontà di imporsi, di sopraffare, di comandare influivano sul libero scorrere della creatività. Non bisognava turbare non solo il Dio Bambino, ma anche la sua immagine terrestre. La creazione non era un solo atto, ma un perpetuo e circolare scorrere. Fine e principio si confondevano nel pensiero dei Trevalenenghe. 

L'ultimo nato di ogni villaggio, sia esso maschio o femmina, veniva venerato come l'incarnazione del Dio Bambino. Accanto a lui veniva posta una palla di fango mischiata a pietre colorate e lucenti. Tra musiche e canti, nel corso di cerimonie solenni, si spiava ogni mossa del neonato. Il più anziano o la più anziana si accostava al piccolo, deposto in una culla di piume all'interno di un cerchio con una freccia, durante le cerimonie. Il vecchio emetteva suoni che somigliavano a vagiti. Dalle risposte del neonato e dai suoi movimenti si traevano indicazioni sul futuro e sulle decisioni da prendere per la vita della comunità.

I Trevalenenghe praticavano il culto dell'innocenza. Onoravano l'innocenza creatrice del Dio Bambino e dei suoi rappresentanti. Guardavano con sospetto le manifestazioni dei sentimenti peggiori che venivano alla luce nelle età della vita successive all'infanzia.

Per capire appieno quel popolo è necessario illustrare le loro leggende sulla creazione, anzi sull'eterna e ciclica creazione.

Paiteo, l'Innocente, il Dio Bambino, in uno dei mattini dell'universo era nel buio. Da una sfera nera e densa, che aveva in mano, partirono degli incostanti luccichii. Il Bimbo giocò con più vigore con la palla. Il movimento delle manine rese sempre più vivace il moto luminoso. Un movimento più forte eccitò la sfera. Da essa si distaccò una fontana di luce, che illuminò di azzurro un vuoto assoluto. Paiteo diede un vagito altissimo.

Incessantemente, dalla palla cominciò un moto inarrestabile di particelle luminose che attraversarono l'azzurro. Le scie di luce iniziarono a dare un senso di realtà a quel vuoto.

I Trevalenenghe erano ragionatori finissimi. Riuscivano a parlare del mistero con semplicità assoluta. Avevano dato una risposta alla domanda angosciosa: “Cosa c'era prima di Paiteo e della palla cosmica?” Rispondevano che questa domanda aveva un senso solo se si accettava una nozione di tempo lineare. Per cui era necessario trovare un punto di origine alla retta del tempo. Ma per i Trevalenenghe, invece, il tempo era circolare. Tutto veniva da Paiteo. Tutto tornava a Paiteo. Essi chiamavano tutto ciò il movimento dell'eterno ritorno.

Una particella lucente passò davanti a Paiteo. Il Dio Bambino soffiò leggermente. Il movimento della particella si arrestò. La particella tornò indietro. Si fermò. Poi acquistò un dolce movimento a spirale verso il basso.

Paiteo sorrise. Soffiò di nuovo. Dal nulla apparve una piuma che planò e si fermò ai suoi piedi. Il Dio Bambino vagì ed emise gridolini di contentezza. Altre piume si formarono. Egli si rotolò in esse. Dalle piume scaturirono, uno dopo l'altro, mentre si diffondevano suoni bellissimi, altri bambini, ad immagine di Paiteo. Essi avevano delle ali e presero a volare.

Tre cose e null'altro creò direttamente il Bambino: la piuma, la musica e le sue immagini.

Gli esseri alati, gli Imotei, stettero poco presso Paiteo. Presero presto a seguire le particelle di luce che partivano dalla palla, stretta tra le mani del Bambino.

Le particelle si dispersero in un vuoto che non era più tale. Gli Esseri alati si fecero carico di ogni singola particella. Vigilarono su di esse, le plasmarono. E furono le stelle, i pianeti, le comete. Furono creati, montagne, crateri, fiumi di lava, furono accese le stelle e le comete. 

Accompagnati da mani gentili quei corpi cominciarono a girare per quello che era ora l'Universo. Ciascun corpo vibrò, insieme al suo protettore - regolatore come uno strumento musicale.

Dalla prima piuma scaturirono due esseri alati. Quei due Imotei, insieme (caso unico nell'Universo) si presero cura di un pianeta. In due potettero fare molte più cose degli altri. Foggiarono montagne, pianure, vulcani, fecero il vento, il mare, i fiumi. Utilizzando le scintille che provenivano dal centro del cosmo fecero gli animali. I due Imotei cominciarono ad inorgoglirsi, compiaciuti del loro lavoro, superiore a quello di qualsiasi altro compagno. Altri strani sentimenti cominciarono a crescere in loro. Iniziarono a perdere l'innocenza. Generarono anche il male. Ciò si manifestò visibilmente. Essi si allontanarono dall'immagine del Dio Bambino. Prima si allungarono, crebbero, poi persero le ali, si spennarono. Trovarono, infine, il modo di moltiplicarsi, per rimediare alla perduta immortalità. Però, la scintilla di Dio rimaneva pur sempre in loro. C'era uno stadio della loro vita nel quale l'innocenza originaria era presente. In quella fase, nella loro infanzia, essi erano ancora l'immagine del Dio Bambino.

Quando l'intero Universo fu fatto, Paiteo continuò a giocare con la palla. Da quest'ultima, sempre meno spessa, continuavano a proiettarsi nell'infinito scintille. Dall'Universo altre scintille partivano verso Paiteo e la sua palla. Più grande era quello che il Dio Bambino dava rispetto a quello che riceveva, perché sconfinato e perpetuamente pulsante, era l'amore che Paiteo provava per l'Universo. Anche dal pianeta dove i due Imotei non si erano ribellati, ma stupidamente inorgogliti, arrivavano piccole particelle di luce. Poche, però, perché da lì partiva ciò che era riuscito a ritornare, trasformandosi e ritrasformandosi, all'originaria innocenza.

Questione di tempo non misurabile, ma la palla si sarebbe quasi completamente consumata nelle mani di Paiteo. Ed allora l'Universo avrebbe, a sua volta, dimostrato il suo amore sconfinato per il Dio Bambino. Partendo da regioni lontane nell'infinito, stelle, pianeti, comete, Imotei, avrebbero assunto la forma di particelle di luce. Più vivaci, più brillanti, perché ritornavano. Anche il pianeta, dove due Imotei si erano inorgogliti, e tutto quello che conteneva, si sarebbe dissolto. Nell'infinita pietà di Paiteo, anche ciò che non era ritornato ad innocenza, sarebbe stato da lui accettato.

Alla fine non ci sarebbe stato più niente, solo Paiteo e la palla. L'ultima particella sarebbe ritornata. Di nuovo il buio assoluto. Il Dio Bambino avrebbe sorriso e si sarebbe rimesso all'opera. I primi sprazzi di luce. Tutto sarebbe ricominciato. L'amore non si sarebbe dilatato di nuovo dopo essersi ristretto. Semplicemente, l'amore di Paiteo avrebbe pulsato. Un solo suo battito sarebbe durato milioni e milioni di anni.

I Trevalenenghe, proprio per le loro idee religiose, cercavano di non discostarsi da stretti principi di tolleranza. Anche da "spennati" ripudiavano la violenza, la sopraffazione, la guerra. Avevano estremo rispetto per l'infanzia. Non interferivano nei liberi processi creativi di quell’età. Ciò avrebbe condotto ad una maturità rispettosa e consapevole delle altre esistenze, umane, animali, naturali. Questo era il risultato di venerare un Dio Bambino. Potenti, bellicosi, violenti popoli vicini si riferivano, invece, ad un Dio Padre, autoritario e punitivo. Fu imposto ai Trevalenenghe di convertirsi alle religioni delle popolazioni circostanti. Ma la quasi totalità di essi preferì la morte al tradimento del Dio Bambino. Così non ci furono più Trevalenenghe ma solo vivaci e luminose particelle che ritornarono direttamente a Paiteo.