Le orride rose

da "Il messia meccanico"


"Conosci l'orrida rosa?" Mi chiese Stepa, il poeta. 

Risposi che non riuscivo ad averne un'immagine precisa. Forse si trattava di un fiore che nasceva già secco, o che aveva petali di mille colori. Poi mi corressi, perché, se si fosse trattato di una rosa con petali variopinti, non si sarebbe potuta definirla "orrida".

"No, non la conosco, né riesco a immaginare come sia, neanche con la più sfrenata fantasia" considerai alla fine, dopo essermi arrovellato sulla questione.

Stepa, allora, mi chiese di accompagnarlo. Ci inoltrammo per le stradine del villaggio, che portavano ancora le ferite di una guerra recente.

"Abbiamo sofferto per un conflitto telecomandato. Il nostro nemico, in fondo, è stato solo un pulsante, schiacciato in un luogo remoto. L'aggressore non ci ha messo la sua faccia, la sua carne, il suo sangue, quelli li abbiamo messi solo noi. I nemici si sono materializzati solo a distruzione avvenuta, correndo veloci, come lepri armate, sul deserto che avevano creato."

Arrivammo, finalmente, alla nostra meta, una casa diroccata e, poco distante, un giardino miracolosamente intatto. Zaffate di un odore nauseabondo mi fecero indietreggiare, ma non potendo scontentare il mio interlocutore, mi coprii il naso con un fazzoletto ed entrai nel giardino.

Scoprii cos'è un'orrida rosa.

Non petali, ma ributtanti escrescenze simili a lingue del colore della carne decomposta e dal putrido odore.

Pochi istanti riuscii a rimanere là dentro.

Stepa rispose ad una mia muta domanda.

“Mutazione genetica” disse laconicamente.

Ma di chi era quel roseto? Perché non era stato estirpato?

Era appartenuto a Milica, la più bella del villaggio, seppi. Non ci volle molto per capire che Stepa era stato uno degli innamorati della giovane, certamente il più timido e appassionato.

Milica aveva perso tutto per via di quella guerra, non combattuta onestamente, casa per casa, vicolo per vicolo, ma brutalmente piovuta dal cielo. La giovane alla fine si trovò senza genitori, fratelli, parenti. Le rimase solo la casa diroccata e il roseto intatto.

Continuò a coltivare le rose, ormai sua unica ragione di vita.

"Ma successe un fatto orribile” disse Stepa. “Le bombe che ci avevano lanciato da migliaia di chilometri, operando nell'ombra, contenevano sostanze micidiali, veleni radioattivi, capaci di seminare malattie e morte, dopo giorni, mesi, anni, secoli..."

"Le mutazioni!" Esclamai.

Stepa annuì tristemente e continuò il suo doloroso racconto:

"Milica si ammalò. Il suo viso, che era stato dolcissimo, fu devastato da macchie ed escrescenze. Non ci fu più alcuna bellezza visibile sul suo corpo, che in breve divenne deforme.

Nascosta da un velo calato sul volto e appoggiata a un bastone, Milica, piegata nel fisico, ma non nell'animo, continuò fino alla fine a curare le sue rose, divenute ripugnanti per lo stesso insidioso morbo che aveva colpito la giovane.

Rimasi l'ultimo, unico innamorato. A me solo permetteva di guardarla, quando, con il velo scostato, lavorava nel suo giardino.

E io, come sempre, la ammiravo, e ammiravo i suoi fiori. Orrida rosa tra le orride rose. E non sentivo repulsione od olezzo, attratto com'ero dalla sofferente bellezza interiore di Milica e dei suoi fiori.

Milica morì, la deposi nella bara e su essa posai un suo fiore. Fu un attimo, e le due orride rose tornarono all'antico e ineguagliabile splendore."

Stepa mi portò al cimitero. Voleva mostrarmi la tomba della sua amata.

Depose un'orrida rosa sulla lapide, e il fiore si trasformò immediatamente, emanando un profumo dolcissimo dai petali, tornati morbidi e vellutati, per salutare degnamente chi era stata la regina del roseto.