Diario dell'entità Ilario / 3

data ultramondana 345679/25

da "Papà è nel tavolino" / 5

Pare che la commissione si riunirà a breve. Me lo ha assicurato l'angelo.

Peppino aveva grandi idee, dopo il nostro recente incontro con la personalità francese. Impersonando Nostradamus, avrebbe potuto annunciare sventure, calamità e tragedie per interi millenni, all'ingrosso. Fortunatamente ha desistito. La prima seduta spiritica è andata malissimo. I partecipanti erano gente molto pratica, quasi terra terra. Hanno chiesto a Peppino: se e quando si sarebbero sposati, se l’avanzamento di carriera era vicino ed altre amenità del genere. Peppino si è arrabbiato, ha mandato il tavolo all'aria, ha sbattuto la porta e se ne è andato. Non gli andava di annunciare disgrazie al dettaglio su vicende di infimo livello.

“Non ti vergogni? Queste sono cattive azioni. Perché fai questi scherzi ai viventi?” gli ho chiesto.

“Ti sbagli se credi che io possa fare del male a chi non lo merita. Scelgo, per le mie esibizioni particolari, solo le sedute alle quali partecipano cattivi soggetti. Quando, invece, so che, intorno a un tavolo, al buio, ci sono persone buone, che cercano di mettersi in contatto con qualche loro congiunto defunto, li aiuto. Vado a cercare lo spirito del parente e glielo porto.”
Mi sono pentito di quello che gli ho detto. Peppino è stato sempre un brav’uomo. Da spirito non è da meno.

Prosegue ad oltranza il congresso “Il futuro delle città - C’è un futuro per le città?" 

L’ esercizio di quegli inutili sfoghi oratori che sono i congressi è esaltato al massimo tra i disincarnati. Questi non hanno esigenze materiali da soddisfare (mangiare, bere, dormire ecc.) Possono, quindi, dedicare l'eternità a parlarsi addosso.

Nel congresso qualcuno ha incautamente fatto il nome, come possibile urbanista risolutore, di Nerone. 

La commissione opera. 

Abbiamo fatto un sopralluogo nella banca, nella nuova direzione generale della multinazionale del credito che l'ha assorbita. Il più contento era Peppino. Si è vendicato della nuova dirigenza. Ha aperto fascicoli di pratiche e ne ha buttato il contenuto svolazzante dalla finestra. In un piano della direzione popolato dai peggiori dei nuovi padroni, ha piazzato un filo invisibile, a poca distanza dal suolo. Ha fatto cadere tutti. Poi, il mio caro amico ha assunto i tratti e la fisionomia dello spirito inquieto. Proprio lui che ha esaltato al massimo l'attività dello spiritismo ludico. Peppino non è mai stato in Inghilterra, neanche da trapassato. Si deve essere, evidentemente, giovato delle recenti esperienze di lettura nelle librerie.

A mezzogiorno in punto (ora terrestre) e non a mezzanotte (perché a quell'ora in ufficio non c’è nessuno) ha assunto l' aspetto sinistro del duca di Winchester (del castello omonimo) e se ne è andato in lungo ed in largo per i corridoi. Si è reso ben visibile, decollato, portando la testa in mano, tirando pesanti catene ed emettendo suoni lugubri. È successo il pandemonio. Peggio di quando una telefonata anonima avvisava che in banca c’era una bomba (che non c’era). Sono fuggiti via tutti.

Mentre Peppino si divertiva, siamo entrati nella stanza di un nuovo collega, perfetto e convinto venditore di prodotti finanziari, prescelto per osservare le sue azioni e reazioni nel microcosmo. Il repellente individuo, perfettamente plagiato dalla Mano Invisibile, ha detto, in inglese, meraviglie dell'economia mongola, che ha oggi i tassi di sviluppo più elevati e i fondamentali più accattivanti dai tempi di Gengis Khan. Un'economia al galoppo, quindi. Ci ha, perciò, consigliato di investire tutti i nostri risparmi, e quelli dei nonni, nella borsa di Ulan Bator.
Questo microcosmo terrestre nella sua ultima versione mi fa fremere di sdegno. E se l'artista non ha distacco, è meglio che taccia o che scriva fesserie. È questione di etica professionale.
Posso solo riferire che, al termine di una lunga osservazione, Gogol è scattato. “Basta. Questi fanno ancora più schifo di quelli del mio tempo. Allora, almeno, pur se miserabili, avevano umanità!” Se ne è andato. Ha incontrato per le scale il buon Peppino, che sudava a tirar catene e a reggere la testa in mano. 

“Dove va, Maestro?” 

“Pagliaccio” gli ha urlato dietro Nikolaj Vasilevic. 

Peppino, punto sul vivo, ha risposto con un lamento lugubre che, certo, avrà fatto raggelare il sangue nelle vene anche del più cinico del palazzo.

La commissione, monca del suo presidente, Gogol, ormai dimissionario, ha vissuto attimi di divisione. C’è stato chi si è espresso per scioglierla, altri per aggiornare i lavori. Solo io ho insistito per continuare ad oltranza. È intervenuto, come al solito, un deus ex machina, che ha salvato capra e cavoli, e cioè Peppino.

Io sono stato un letterato mancato, ma anche Peppino ha avuto un lato artistico ingiustamente ignorato dalle grandi masse popolari. La sua aspirazione artistica non realizzata è quella dell’attore. L'attor giovane per la precisione. 

Per quanto riguarda questa sua prepotente inclinazione, Peppino non ha mai visto uno straccio di approvazione da parte del pubblico e della critica, ma ha creduto, comunque, di intravedere una divina approvazione. “Quando mi fatto morire, il Cielo? A soli cinquantaquattro anni, nel pieno delle mie inespresse ed eccezionali potenzialità di attor giovane.”

Nel “buffone” indirizzatogli da Gogol, Peppino non ha visto un insulto, ma un riconoscimento tardivo della critica accademica alla sua esuberante teatralità. Si è precipitato da me, ha smesso i panni e la funebre attrezzatura del duca decollato ed ha organizzato una rappresentazione in onore del grande maestro russo. 

Davanti ai resti della commissione di indagine si è consumata una rappresentazione, a dir poco, tragica. Ho dovuto fare da spalla e scrivere i testi. 

Peppino ha radunato un bel po’ di impiegati e dirigenti, quelli profondamente segnati dai nuovi valori finanziari, li ha ipnotizzati, come ha appreso da un manuale ed ha fatto in modo che ognuno dichiarasse pubblicamente, in inglese medievale, a quali inconfessabili sentimenti e pulsioni ispirasse la miserabile esistenza impiegatizia. 

Si è creata una scena da teatro d’avanguardia. C’erano i pusillanimi, i reietti, quelli senza spina dorsale, quelli condannati in eterno ad impersonare il ruolo servile dell’impiegato, ora inesorabilmente precario ed in perenne esuberanza. Essi strisciavano sul pavimento, tremavano, piangevano. 

A me è toccato richiamare all'ordine quella schifosissima platea, battendo tre volte con un grosso bastone a terra. Mentre la canaglia impiegatizia si appiattiva ai muri ha fatto il suo ingresso l'Attore nei panni e con i gesti del burocrate sommo. 

È iniziato il monologo, scritto da me: “Un’ombra inquietante oscura l’oriente e l’occidente. Tremate, se non appartenete alle schiere elette. Sono il ristrutturatore generale. Poto. Privatizzo. Taglio i rami secchi. Me ne sbatto dei singoli drammi umani. Devo agire nel supremo interesse privatistico. Elimino i superflui. Sostituisco cento impiegati con un solo cinese. Arrivo nei momenti di crisi e in quelli di non crisi. Questo è l' interesse generale dei mercati. Questa è la Mano Invisibile”.

A questo punto, mentre gli impiegati ululavano terrorizzati, Peppino si è rivolto verso di me con tono di sofferto rimprovero: “È tutto qui il testo? Miserello. Infame, tu attenti alle possibilità eccezionali di estrinsecazione dei miei potenti mezzi espressivi.”

Per molti giorni ci siamo tenuti il broncio. Si sa, i rapporti tra artisti sono spesso complicati.
Il mio amico mi ha mandato a dire, a mezzo del suo collega Moliere, che, d’ora in avanti, i testi se li scriverà lui.

Infatti di lì a qualche giorno terrestre, Peppino, che è un attor giovane polivalente, ha chiesto la parola al congresso “Il futuro delle città - C'è un futuro per le città?”

“Signori fondatori, state lavorando troppo. Questo congresso assorbe le vostre energie in maniera eccezionale. Mi permetto di offrirvi una pausa di riflessione e di relax. Vi canterò uno spirituale di mia composizione. Il titolo è “Disastro urbano”.

Con voce profonda, con tono ispirato, ha iniziato:

“Fai schifo straniero,
sei una merda straniero
uao purtroppo, uao
io sono uno straniero.
La colpa è della mia famiglia,
le colpe dei genitori ricadono sui figli
uao uao uao.”


Il tono era francamente disperato.

“Non ho avuto due genitori,
sono figlio unico di genitore unico.
Papà era ermafrodita,
Mamma era parte di papà.
Papà e mamma non facevano che litigare.
Papà beveva,
Mamma batteva per far bere papà.
I vicini mi dicevano:
“Tutta uguali voi figli di ermafroditi,
puzzate di pesce morto,
non vi lavate,
non sapete stare in società.
Non volete lavorare,
approfittate dell’assistenza sociale.”
Uao uao uao
E quelli animati da spirito pedagogico
mi picchiavano, mi pestavano, mi frustavano a sangue.
“È un lurido endogeno.
Diamo una lezione a quello lo sporco ermafrodita..”
Il mio unico genitore morì un giorno,
contrasse la malattia del secolo,
avendo rapporti con la parte sieropositiva di se stesso.
Ora tutti i giornali dicono:
“Poverini gli ermafroditi, sono tutti appestati.”
Ora sono costretto a vagare di città in città
e in ogni città sono scacciato a pietrate.
Mi dicono: “Torna nella città dove sei nato.“
Ma non posso tornare nella città
dove sono stato scacciato la prima volta.
Uao, uao, uao.
disagio urbano, disagio urbano, disagio urbano.
Forse cento volte meglio la campagna.”

Peppino, vecchia pellaccia dal cuore tenero, si è commosso. Non così l' uditorio. Tra grida, ed insulti, Peppino è stato cacciato a viva forza dall’aula del congresso. “Venduto, venduto.”

“Ma a chi?” 

“Agli ermafroditi” ha urlato di rimando, un congressista più informato degli altri.


...continua