Universale Remedium

I


Camminava lungo il muro sbrecciato, tendendo l’orecchio per cogliere rumori che indicassero l’esistenza di segni di vita. Una pretesa che poteva sembrare assurda, considerato il luogo in cui si trovava. Il paesaggio intorno era sconfortante. Dovunque erano case senza intonaco, senza tetti, senza infissi; nulla più che scatole sfondate. L’unica presenza di vita era costituita da soffici tappeti di muschio. Quella consistenza vegetale verde si insinuava dappertutto, dalla massa dei detriti, che erano all'interno delle abitazioni, fin sui muri, che finivano irregolarmente, creando qua e là i denti irregolari di una sega divorata dalla ruggine. Era indubbio che quel luogo era stato sconvolto da un’immane catastrofe. Successivamente, le condizioni climatiche avverse, l’abbandono e l’incuria avevano creato nuove ferite. Se la prima tragedia aveva operato repentinamente, distruggendo parzialmente le case e spezzando tutte le esistenze umane ed animali, ora i nuovi insulti operavano subdolamente. Un cancro inesorabile attaccava quello che era rimasto delle opere murarie, sgretolandole e condannandole ad una fine imminente. Il vento, che soffiava, a tratti, forte, trascinava con sé piccole pietre, staccatesi dai muri. Più raramente, ma con costanza inesorabile, si udivano tonfi e si vedeva una fitta polvere salire dall'interno delle case.

La città continuava a cessare di esistere, con amputazioni lente, inesorabili, progressive.

Di certo, quel visitatore, che imprudentemente camminava lungo i muri, desiderava imbattersi, più che in improbabili abitanti del posto, in altri esploratori che, come lui, camminassero a piedi, di mattina presto, senza paure, nella città morta. 

L’ispettore Tariq Tramma soffriva di insonnia. Non permanentemente. C’erano lunghi periodi di tempo durante i quali riusciva a dedicare al riposo notturno le ore che erano normali per un uomo della sua età, in buona salute. Capitava, però, che, all'improvviso, senza un’apparente ragione, si risvegliassero antiche angosce, tensioni non del tutto sopite. Esplodeva la difficoltà di vivere in un’epoca così dolorosa. Erano i momenti di inattività quelli nei quali si riacutizzavano disturbi e sofferenze psicologiche. Allora poteva fruire solo di brevi e stentati periodi di dormiveglia, popolati da incubi e da pensieri sgradevoli.

Da un po’ di tempo, l’uomo non era assorbito in attività lavorative degne di questo nome. Perciò, arrivato alle prime luci dell’alba, si rivestiva, indossava il pesante giaccone di montone ed usciva per fare lunghe passeggiate. Durante quelle buie escursioni si concedeva, ogni tanto, una sigaretta. Nei suoi periodi buoni, invece, di solito, non fumava.

Ad un tratto, una pietruzza, staccatasi dalla sommità di un muro, era rotolata fin sopra la sua testa. Si decise a scendere da quella specie di marciapiede ed a proseguire la sua passeggiata senza meta al centro della strada. Camminava con gli occhi fissi a terra. Gli piaceva vedere scorrere, sotto di sé, il manto stradale, costituito da pietre squadrate in modo imperfetto, separate dagli strani disegni composti dal muschio. Doveva fare molta attenzione a non cadere, perché il muschio era viscido e le pietre erano levigate e bagnate dall'umidità.

Era quasi arrivato all'incrocio con un’altra strada. Si fermò. Gli sembrò di sentire un rumore, che, forse, proveniva dalla parte superiore della via che stava per incontrare. Escluse che si potesse trattare di uno di quei suoni che sottolineavano la sinistra dissoluzione della città morta. Pareva uno scalpiccio. Si fece un po’ più avanti. Non aveva paura, solo curiosità. Finalmente, una vita girò l’angolo e si diresse decisa verso di lui. Dopo un attimo di sorpresa, un senso di infantile felicità lo invase e gli fece dimenticare tutte le sue pene. Dunque, si poteva ancora sopravvivere in quel luogo, nonostante quello che era accaduto.

Tramma si era imbattuto in un bellissimo esemplare di becco, di razza Saanen. L’animale apparteneva ad una varietà di capre, originarie delle località alpine, sufficientemente robuste per resistere nella pianura in cui si trovava la città, flagellata dal freddo e dal vento inclemente. Il becco non aveva corna. Era coperto da una fitta lanugine chiara ed aveva una lunghissima barba bianca. Quell’appendice ed i grandi occhi, che Tramma trovava dolci ed espressivi, conferivano al becco un’aria da vecchio saggio, perennemente immerso in profonde meditazioni. A Tariq venne istintivo dargli un nome e, pronunciandolo, gli sembrò, anche per la reazione del caprone, che non potesse rispondere ad un altro.

«Tu sei Platone» disse Tramma, senza conferire alle sue parole alcun tono interrogativo. Riprese a camminare. Il caprone si dispose al fianco destro dell’ispettore e lo seguì docilmente. Avevano appena percorso un centinaio di metri. Tramma stava pensando a quello che avrebbe potuto dire all'abitante della città morta. Si era fatto un nuovo amico, ne era sicuro, e cercava un sistema per comunicare con lui. Voleva fargli intendere la sua buona disposizione. Ad un tratto, l’animale divenne più lesto nel muoversi, superò l’ispettore e si bloccò di traverso, proprio di fronte a lui. La mossa inaspettata del becco colse l’uomo di sorpresa. Tariq si squilibrò e scavalcò l’animale. Si trovò con la testa sul selciato ed i piedi in aria, appoggiati al soffice corpo lanuginoso.

«Ma che scherzo è questo» fece Tramma, mentre faceva cadere i piedi a terra, prima di risollevarsi. «Credevo di aver trovato un amico...» In quell'attimo, mentre si puliva il giaccone e si tastava qua e là per constatare i danni, a pochi metri di distanza, un muro crollò. Un tremendo fragore ed il sollevarsi di una fitta polvere accompagnarono un diluvio di pietre corrose, che precipitarono ad ingombrare tutta la strada. I detriti dilagarono fin quasi al punto dove l’uomo si trovava. Tramma rimase un bel po’ a guardare fisso, fin quando la polvere  comparve e le ultime pietruzze, trovato finalmente un assetto stabile, smisero di rincorrersi giù dagli instabili mucchi. L’uomo si riebbe ed espresse la sua riconoscenza all'animale, accarezzandolo.

«Mi hai salvato la vita, Platone. Devi conoscere molto bene i pericoli di questo posto desolato». Riprese il cammino. Non si azzardò a passare vicino al luogo dove era avvenuto il crollo. Per raggiungere la parte della strada, di fronte a lui, al di là della massa dei detriti, fece una deviazione e passò attraverso alcune case diroccate, che costeggiavano a sinistra l’arteria. Ebbe ugualmente paura di fare quel percorso, ma, quando si accorse che Platone lo seguiva docilmente, si rinfrancò. Avevano fatto un bel pezzo di via dell’Abbondanza, quando il becco, improvvisamente, deviò a destra, verso la zona dei Teatri. Tramma si fermò a guardare Platone che si allontanava. L’animale andava speditamente avanti e non si girò mai verso l’uomo. Tariq proseguì nella sua direzione. Ad un certo punto, girò anche lui a destra per immettersi in una serie di viuzze con un tracciato a gomito. Sbucò in un ampio piazzale, dove erano stati piantati, non molto tempo addietro, degli abeti. Gli alberi avevano attecchito perfettamente e si apprestavano a lan6ciarsi verso l’alto.

Tramma percorse tutto il piazzale sconnesso, fino a trovarsi al di sotto di uno scuro edificio scoperto. Una coppia di scale di pietra saliva alla sommità della costruzione. Tariq guardò verso l’alto, quasi per saggiare lo sforzo che avrebbe dovuto compiere. Si decise, infine, ed affrontò la scalata. Si trovò sulla sommità. Era l’anello superiore di una costruzione ovale che digradava all’interno, fino ad uno spiazzo in terra battuta. In origine, il complesso era formato da gradinate che si restringevano verso il basso. Gli antichi, grandi scalini di pietra non esistevano più. In arte, erano stati distrutti dall’immane catastrofe che aveva flagellato quel luogo, per il resto erano stati mangiati dal tempo e dalle intemperie. Mancando le gradinate, la costruzione scendeva ora verso il basso con declivi stranamente sagomati, ricoperti di muschio. La stessa vegetazione tappezzava il centro dell’edificio. Questo si apriva all’esterno mediante quattro porte.

Dopo aver lungamente fissato quel posto, Tramma buttò lo sguardo più lontano, fino ad abbracciare tutta la città morta. Un fitto reticolato di strade costituiva una griglia dalle maglie strette. Apparivano tanti quadratini e rettangolini. Ciascuno era un microcratere. Dovunque, pareti sbrecciate, disposte in quadrato od in rettangolo, accoglievano all’interno mucchi di detriti. Sembrava che la città fosse scoppiata, mille, diecimila volte al suo interno, in una serie interminabile di tremende implosioni. Fin lassù arrivavano scricchiolii e boati. Erano nettamente percepibili funghi di polvere che salivano.

Tramma si spinse, infine, con lo sguardo al di là del perimetro della città. Vide una distesa verde che rivelava, pur nelle avverse condizioni atmosferiche, l’estrema fecondità di quella terra. La varietà delle essenze che crescevano era, negli ultimi tempi, profondamente mutata rispetto a prima. Al paesaggio, tipico della zona mediterranea si era sostituita la consistenza vegetale propria di latitudini molto più settentrionali. Le nuove piante coprivano la terra, dalle
mura della città morta fin su alla montagna che la sovrastava. Il grande rilievo era brullo. Esso era formato da due alture, l’una più alta dell’altra. La maggiore aveva, nella parte terminale, un cono, coperto di neve. Si trattava del vulcano Vesuvio e la città disabitata ai suoi piedi, dove Tramma si trovava, era Pompei.

L’ispettore di New new Scotland Yard staccò gli occhi dal vulcano e li appuntò più vicino a lui. Scorse una costruzione fitta di colonne, puntellata qua e là da lunghe assi di legno. Al centro vi era un ampio spazio scoperto, dove condizioni più favorevoli, la buona esposizione del terreno ed il riparo offerto dal quadrilatero colonnato, avevano favorito la crescita di rari ciuffi d’erba. A Tramma sembrò di scorgere dei segni di vita in quel complesso, che era stato la Grande Palestra.

Era ormai giorno, ed anche se il cielo era coperto, a tratti, larghi squarci nelle nuvole facevano filtrare i raggi pallidi di un sole che non riscaldava. Tramma sentì uno scampanellio frenetico e, poi, il latrare di un cane. Una capra entrò di gran carriera nell'Anfiteatro, in cima al quale era Tramma. L’animale uscì dall'altro ingresso e, sempre seguito da un cane, si infilò di nuovo nella Grande Palestra. Il cane, che aveva evidentemente ottenuto quello che si proponeva, si era fermato, ansando, sotto il colonnato coperto. Tramma, dopo essere disceso dalla sommità dell’Anfiteatro, seguì lo stesso percorso del cane e, raggiuntolo, si chinò per accarezzarlo. L’animale sul principio ringhiò, poi mostrò di accettare i colpetti affettuosi dell’ispettore.

Il gregge, che si trovava nella Grande Palestra, non era costituito da molti capi. Tramma valutò, comunque, con compiacimento, che il numero era sufficiente per soddisfare anche le sue richieste più esagerate di latte di capra.Quelle richieste che segnavano i momenti di più intenso lavoro intellettuale dell’ispettore. Si trattava di ottimi esemplari, non di razza Saanen come Platone, ma pur sempre appartenenti a ceppi alpini, i più indicati a resistere ai rigori della grande glaciazione.

Tramma si inoltrò al centro del vasto spiazzo circondato dalle colonne, verso una donna, seduta su una colonna spezzata. La capraia era giovane e ben piantata. Il suo aspetto sarebbe stato anche attraente, se non ci fossero stati qualche sgradevole particolare fisico e gli evidenti segni di un'abituale trascuratezza nel modo di vestire. Tramma fu colpito dal rossore che era dipinto sulle sue gote, dagli occhi grandi e belli, ma assenti, non rivelatori di grandi sforzi di concentrazione. La donna non mostrava alcun disagio nell'essere scrutata in quel modo.

Tramma ebbe un’improvvisa illuminazione. «Ma è Pat, la cameriera della Red Pompeian House» disse ad alta voce, ricordandosi di chi lo aveva accolto, ad ora tarda, al suo arrivo alla pensione. «Vedo che hai più di un incarico. Sarà molto faticoso attendere ai lavori di casa e governare gli animali». La donna non rispose. Spostò semplicemente lo sguardo inespressivo, fino a quel momento diretto verso il colonnato, su quello che le stava parlando. Il cane, intanto, dopo essersi riposato, era ritornato al centro della Grande Palestra e guardava, vigile, le capre. Abbaiava non appena uno degli animali faceva le mosse di staccarsi dal gruppo. Tramma era rimasto immobile, imbarazzato, a guardare a sua volta Pat. Frugava nella mente per cercare qualcosa da dire. Qualcosa che avrebbe potuto suscitare l’interesse della cameriera-capraia. Se ne uscì con un «ti piace il tuo lavoro?» che, non appena fu pronunciato, risultò insulso allo stesso ispettore. Né, d’altronde, ci fu risposta, sia pure sotto forma di un cambiamento di espressione in quel volto inanimato.

«No, non caverà nulla dalla nostra Pat. Non ama la conversazione».

Tramma si voltò di scatto, nel sentire quelle parole, che provenivano da dietro le sue spalle. 

«Capisco che questa città fa sembrare eccezionale ogni presenza umana, che non sia costituita da Pat, naturalmente. Ma di qui a trasalire come ha fatto lei...»

«Non l’avevo sentita arrivare. Forse, dopo aver camminato a lungo qua dentro, ci si disabitua a pensare che possano esistere altre persone» rispose Tramma.

«Lei deve essere il nuovo ospite della pensione. Ho sentito parlare del suo arrivo».

«Esatto. Non potevo che capitare alla Red Pompeian House. Per miglia e miglia qui intorno  non c’è nessun altro luogo dove si possa risiedere. Nessun albergo, nessuna pensione...».

«Nessun centro abitato degno di questo nome. Solo qualche raro rifugio di pastori. Tutto questo mi ricorda i punti più desolati della Scozia. Ha presente la Scozia?». 

«Vagamente. Ci sono stato solo una volta, da ragazzo. Sono di Londra, infatti».

«Era di Londra» precisò l’interlocutore dell’ispettore.

«Già. A volte si finisce col dimenticare» fece l’altro pensieroso. Per un po’ il discorso si spense. I due uomini furono assorbiti dal ricordo delle vicende, anche personali, di una catastrofe, molto più vicina nel tempo di quella che aveva funestato Pompei duemila anni prima.

La situazione era alquanto strana. Lo scenario era quello della Grande Palestra, lo stesso che aveva visto le sfrenate esibizioni di vitalismo degli atleti di tanto tempo prima. Ora era null'altro che il relitto di una città morta. Al centro, due uomini ed una donna fissavano il vuoto. Tutt'intorno salivano gli scampanellii delle capre che brucavano l’erba. Ogni tanto, un cane saltellava abbaiando.

«Temo di non essermi presentato» fece l’uomo, offrendo a Tramma la mano aperta, dopo essere uscito dal suo torpore. «Mi chiamo Waldo Dodge». Calcò la voce su nome e cognome, perché l’altro intendesse bene. Tramma, ancora un po’ imbambolato, non fece la domanda che Dodge aspettava.

«Ho detto Waldo Dodge. Non ha mai sentito parlare di me? ».

«Temo di no, purtroppo. Sono Tariq Tramma. Un nome ed un cognome poco anglosassoni».

«Conosciuti, però. Lei è il famoso ispettore Tramma di New new Scotland Yard».

«Famoso, poi ...» si schermì Tramma.

«È qui per seguire qualche indagine?».

«No, assolutamente. Diciamo che sono in vacanza. Piuttosto, mi è sembrato di capire che lei sia una persona importante, popolare, anche se, per qualche mia lacuna, io non conosco il suo nome» .

«Quelli che mi conoscono appartengono ad un ambiente molto ristretto e molto qualificato. Società letterarie, accademie di poeti. Ma ora desidero arrivare anche al grande pubblico.  Devo, perciò, percorrere strade diverse da quelle che ho battuto fino ad ora. Basta con le cose irreali, astratte, opinabili. Mi occuperò solo di argomenti popolari. Ho deciso di scrivere su temi ovini. Ho in preparazione un monumentale lavoro sull'allevamento delle capre. È un’opera seria, con ampio respiro scientifico, poggiata su una solida documentazione, fatta di studio e di osservazione diretta. Quando il volume sarà stampato, non dovrò temere l’opinabilità dei giudizi degli altri. Al mondo non spetterà di giudicare, ma solamente di constatare. I lettori potranno solo plaudire ad un’opera che si propone di fare chiarezza intorno ad un argomento, che è stato finora in balìa del pressappochismo. Le stesse capre non potranno che approvare il mio tentativo di creare le solide basi del loro benessere futuro».

Tramma, fino a quel punto, si era astenuto dal giudicare il suo interlocutore. La circostanza, però, che Waldo Dodge si proponesse di costruire un testo destinato al successo, sfruttando malamente nel pubblico il richiamo offerto da un tema di facile presa commerciale, non poteva che farlo fremere di indignazione. Erano, infatti, noti l’affetto e la simpatia dell’ispettore per gli animali produttori dell’alimento a lui più caro.

Waldo Dodge si andava infervorando. Aveva tolto le mani dalle tasche del vecchio impermeabile chiaro e le agitava nell'aria fredda. «Non mancheranno i riferimenti storici. Lo sa che, ogni mattina, le strade delle città romane, e, quindi, anche di Pompei, erano percorse da greggi di capre, per distribuire alla gente latte appena munto?». Tramma annuì compiaciuto. «Presso gli antichi» continuò Waldo «le capre furono tenute nella massima considerazione. Anche se non mancano le prove di disistima alla quale fu fatto segno questo animale ... Capita ai migliori, del resto. Presso alcune popolazioni, ogni anno un becco fu condannato a morire di fame nel deserto. Era il capro espiatorio. Per certi, la capra era il simbolo della lussuria».

Tramma ebbe un moto di disappunto. «Un animale ingiustamente perseguitato». 

Dodge non tenne in alcun conto l’interruzione. «Questo non è che un piccolissimo esempio dell’immenso materiale che ho raccolto. Di cosa potrei parlare, ancora? Vedo, dall'interesse con il quale mi segue, che lei deve essere un vero intenditore. Lo sa, per esempio, che le latterie, qui in Pompei, avevano per insegna una capra in terracotta?». Tramma pensò che grande doveva essere stato il grado di civiltà al quale erano pervenuti gli antichi romani.

«Basta, però, con questi ghiotti richiami storici. Voglio ora introdurre alcuni dettagli tecnici. Prendiamo il decornamento. Questa operazione viene compiuta per evitare che, nelle lotte tra animali maschi, si verifichino spiacevoli incidenti. È consigliabile effettuare il decornamento nei soggetti giovani, impedendo, in pratica, lo sviluppo delle appendici a mezzo di causticazione con un bastoncino di soda o a mezzo della cauterizzazione con ferro rovente». Tramma trasalì. «E che dire dell’eliminazione dell’odore ircino? Ha presente quell'odore sgradevole, prodotto dalle ghiandole odorifere dei becchi? Anche qui, zac ... si cauterizzano le ghiandole. Parliamo della mungitura. Innanzi tutto, il latte di capra è superiore, per qualità, a quello di
mucca».

Waldo raccattò da terra un lungo stecco e disegnò qualcosa di molto gonfio, su un tratto di terra senza erba. «Ecco, queste sono le mammelle ideali. La mungitura può essere effettuata a mano o con la mungitrice meccanica. L’operazione compiuta a mano è la più diffusa e la più difficile, perché richiede attenzione e garbo. Non si fa certo con queste mani». Waldo indicò con il lungo ramo le povere mani di Pat, coperte dai geloni. La donna si coprì con pesanti guanti di lana. «Come possono queste mani avere la sensibilità per compiere alla perfezione la mungitura?». Waldo mosse le dita di una mano, come per suonare un immaginario strumento. Con il ramo che aveva nell'altra mano colpì, inavvertitamente, un dito di Pat. La capraia dette un gridolino, guardò con gli occhi carichi di odio Waldo Dodge e ficcò le mani nel cappotto sbrindellato.

In quel momento, grossi fiocchi di neve cominciarono a scendere giù dal cielo. Il cane fu il primo ad avvertire la mutata situazione del tempo. Aiutandosi con latrati e con saltelli, riuscì, in breve tempo, a smuovere le capre e a portarle al riparo sotto il colonnato. Stava anche lui per accoccolarsi al coperto, quando si avvide che Pat era ancora al suo posto. Tirandola per un po’ con la bocca per i lembi del cappotto, riuscì a farla smuovere. La donna si andò ad
appoggiare ad una colonna.

Waldo si accorse, finalmente, anche lui della nevicata. Interruppe il lungo monologo, che aveva, da ultimo, toccato, con grande dolore di Tramma, la qualità della carne di capra e i problemi della macellazione.

«Direi, ispettore, che è tempo di tornare alla Red Pompeian House. È ora di colazione. Facciamo la strada insieme?».

Tramma rifiutò, con ferma cortesia. Adducendo un’improbabile commissione, comunicò a Dodge che avrebbe fatto la strada da solo.

La breve parentesi pastorale era finita, perché Dodge, mutando inopinatamente modi ed espressione, gridò all'esterrefatto ispettore: «Lei non mi ha visto qui, stamattina. La diffido dall'affermare pubblicamente una cosa simile». Uguale affermazione ripeté a Pat, che non sembrò risentire del repentino cambiamento di umore dell’intellettuale ovino.

Intanto, la neve si andò a disporre, livellandoli, sui muri sbrecciati. Il peso della coltre bianca aggravò la situazione statica di quello che rimane degli antichi edifici di Pompei. I crolli aumentarono.

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