Universale Remedium

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Guardò Cedric che gli aveva porto una lettera e ora se ne stava impalato di fronte a lui. Il messaggero non aveva detto una parola. «Ti manda la signora Celia, lo so». Tariq si era seduto sulla sella curule e aveva cercato sul tavolo qualcosa per aprire la lettera. Lo stilo di bronzo poteva rispondere allo scopo.

Notò subito che la grafia era alterata. Una forte emozione aveva turbato Celia. Dopo aver letto, rimise il foglio nella busta e posò il tutto sul tavolo. Il contenuto della missiva non aveva influito in alcun modo sullo stato d’animo dell’ispettore.

«Puoi andare. Verrò più tardi alla Red Pompeian House».

Il gigante non se lo fece ripetere due volte e ritornò sui suoi passi.

Tramma, dopo essersi vestito, uscì sulla strada e ritirò quattro bottiglie di latte di capra. Fece lentamente la sua colazione liquida. Beveva e rifletteva, guardando ogni tanto l’impasto gessoso che era andato a ricostruire il tappeto di Sinopis. Sebbene non vi fosse, naturalmente, il colore, la perfetta colata era andata a ricreare il sapiente intreccio dei fili. Stava per riaprire un’altra volta la busta, ma si trattenne subito, scrollando le spalle. Tanto non c’era voluto quasi niente ad impararne il contenuto a memoria. «Petruchio è morto. Venga subito. Celia Selfridge».

Arrivò alla Red Pompeian House che era ora di colazione. Si recò subito nella stanza da pranzo. Fu sorpreso nel trovare la camera quasi del tutto deserta. C’era solo il maggiore Gordon Abercrombie, seduto a capotavola. Davanti a lui una bottiglia di vino di marca. Doveva essere una bevanda destinata alle grandi occasioni. Il vetro era coperto da uno spesso strato di polvere. Il militare alzò un calice pieno, in segno di augurio e ne bevve il contenuto tanto avidamente da allagare la camicia e la cravatta. Guardò le macchie che si allargavano e scoppiò in una risata irrefrenabile. Tramma poté capire qualche parola: «Tanto oggi è festa».
L’ispettore era, a dir poco, stupito. Prese la strada dell’altra cameretta, pure destinata a colazioni, ma più raccolta. Qui trovò Waldo Dodge. Anche il poeta era intento a coltivare un suo particolare rapporto con una bottiglia, che era stata certamente compagna, in cantina, di quella che l’ispettore aveva visto prima. Aveva un altro temperamento Waldo. Almeno, non aveva plateali comportamenti razzistici. Non sghignazzò, si alzò in piedi, con il bicchiere ben colmo in mano. «Sono allegro. Per festeggiare degnamente il grande avvenimento, sarebbe il caso di comporre una poesia. O forse sarebbe meglio un poema. Solo che non mi vengono le parole». L’uomo traballò ed andò a cadere, fortunosamente, su una poltroncina che stava dietro. «Sono un poeta fallito» bevve ancora il vino che non era schizzato via e buttò il bicchiere. Con la testa tra le mani, cominciò a lamentarsi e, poi, a piangere. Tramma lasciò anche quella stanza. Non riusciva a capire cosa fosse successo. «Strano che l’annuncio della morte di Petruchio ha provocato simili reazioni. Come è possibile che Celia abbia permesso a quei due di manifestare così la loro gioia e di ubriacarsi, addirittura». Tramma non era tipo da scomporsi, ma, questa volta, filò via verso l’appartamento della Selfridge. Passò accanto alla camera di Joseph e Mary Bollinger. La porta era aperta. L’uomo gridava. «Prima Abercrombie ci ha cacciati dalla stanza da pranzo. Poi quell'imbecille di Dodge ci ha fatto lasciare la sua cameretta. Tu hai impedito che intervenissi. Mi sento ancora ribollire. Avrei fatto a pezzettini quei due». Il tono della voce della moglie era molto pacato. «Sempre meglio quei due che la terribile vecchiaccia. Stanno già ubriacandosi. È gente che non si sa regolare». Tramma si era fermato per qualche istante. Il tempo necessario per sentire quel pezzo di conversazione e per vedere la donna lanciare dalla finestra dei flaconcini di un antidepressivo molto conosciuto. Tariq affrettò il passo.

Una luce fioca proveniva dalla stanza di Celia Selfridge. La donna giaceva sul letto, composta nel suo sonno mortale. Cedric e Pat se ne stavano muti ed immobili, lì accanto. Vasi di ginestre finte erano sparsi dappertutto. Edna Duckworth armeggiava intorno al corpo senza vita. Aveva in spalla il fedele apparecchio. Passava il cilindro tutto intorno a Celia. Ogni tanto manovrava delle manopole che erano sulla macchina radionica.

«Cosa fa?» chiese Tramma a bassa voce. «Non vede che la signora è morta. È una cerimonia? Non mi risulta che la defunta appartenesse a qualche strana setta religiosa».
«Sono pratiche mediche» rispose la Duckworth con voce vellutata, senza interrompere quello che andava facendo. «Cerco di far riaffluire lo spirito vitale nei vari organi. Ruotando la manopola, imposto il programma di riattivazione più idoneo per cuore, polmoni, reni... Purtroppo è una terapia che, secondo le nostre statistiche, dà risultati solo nel dieci per cento dei casi. Sto studiando per portare la rianimazione totale ad almeno il quindici per cento».
«Ma lei pratica un tipo, come dire ... di medicina alternativa?» Chiese Tramma interdetto. Se non ci fosse stato un cadavere da far risorgere, al quale bisognava comunque portare rispetto, la Duckworth forse si sarebbe arrabbiata. Rispose quietamente: «Tutta la medicina è alternativa alla morte. Solo che molti miei colleghi hanno una tremenda paura delle novità, perché sono conservatori e non riconoscono il genio autentico. Rimangono abbarbicati alle loro vecchie, decrepite terapie. Gli unici a soffrire sono i pazienti».

«Non mi pare che la signora soffra più» commentò l’ispettore.

«Vorrebbe soffrire» fu l’oscura risposta. Poi la dottoressa andò avanti senza parlare. Dalla piatta espressione di Cedric e di Pat si sarebbe detto che, quanto veniva fatto, rientrava perfettamente nella norma. Cosa ordinaria fu anche l’insuccesso e la sua causa. Ad un tratto, la dottoressa si tirò indietro e fece cadere il cilindro. Interruppe l’erogazione di qualcosa, che doveva essere un fluido benefico, spingendo un grosso bottone. Si voltò bruscamente verso l’ispettore: «La colpa è sua. Da quando è entrato in questa stanza ha continuato ad emanare un fluido negativo, che ha ostacolato il mio lavoro. Un’altra volta, procuri di andare a manifestare la sua incredulità in un altro luogo. Si abbia sulla coscienza la mancata rianimazione di questa vecchia malefica».

«In pratica, sta dicendo che ho ucciso io la signora Selfridge». Tramma guardò la donna, che, senza replicare, si dava da fare per mettere a posto la sua attrezzatura. Nonostante l’età non proprio giovanile, si ostinava ad usare un abbigliamento informale. Un paio di pantaloni di tela blu ed una camicia che sembrava molto semplice, ma era anch'essa di gran marca. Un giaccone ottimamente modellato, con la chiusura lampo, pesante ma comodo. I capelli erano corti ed accuratamente tinti. La pelle tesa lasciava intravedere qualche ruga. «Il segreto del mio aspetto giovanile è ovviamente nel processo di stimolazione cellulare che realizzo attraverso l’uso quotidiano della macchina radionica. Usandola, ogni donna potrà essere come me a cinquanta, sessanta ed anche settanta anni» diceva spesso la dottoressa.

Edna Duckworth non si girò neanche per salutare quella che era stata la proprietaria della Red Pompeian House. Degli inchini furono, invece, accennati da Pat e Cedric, quando Tramma chiese loro di abbandonare la stanza. L’ispettore, quando fu finalmente solo, si avvicinò al letto. Guardò a lungo ed intensamente. Celia Selfridge riposava per sempre con un lieve sorriso beffardo dipinto sul viso. «Non ci sono segni evidenti di violenza, solo la naturale alterazione dovuta alla causa, che non mi sembra determinata da altri, della morte».
Rimase in raccoglimento davanti alla vecchia, con il capo leggermente chino e le mani unite. Nonostante tutto, aveva provato una grande simpatia per Celia.

Come succedeva spesso, all’improvviso, la luce andò via. Qualche tempesta di neve aveva probabilmente spezzato i fili della compagnia elettrica. Rimase al buio e quasi si assopì, in piedi. Per il secondo giorno, i domestici della defunta lo avevano costretto ad una levataccia. Ad un tratto, gli sembrò di vedere nitidamente Celia Selfridge. Era sulla sedia a rotelle, arzilla come non mai. «Mi hanno detto che, quando era in servizio a New new Scotland Yard, parlava con i cadaveri. Quando si recava sul luogo di una morte violenta, cacciava via tutti, anche quelli della scientifica, e cominciava ad analizzare la scena. Trovava qualcosa di interessante per le indagini e chiedeva direttamente al morto se il reperto era di utilità per la polizia. Se non la conoscessi per il grande svitato che è, penserei che lei è un grande imbecille. A me non ha chiesto praticamente niente. È convinto che si tratti di un caso di morte naturale. Eppure tutti, qui, avrebbero voluto uccidermi. Al posto suo chiamerei il medico per un controllo. Non si sa mai ». Dopo alcune incerte scariche, il filamento all’interno della lampadina diventò di nuovo stabilmente incandescente. Tramma passò la mano sugli occhi. Nulla era cambiato. Celia Selfridge continuava a ridacchiare, fredda ed immobile, distesa sul letto tra le ginestre finte che non le davano ormai alcun fastidio.

Il medico confermò a Tariq che non c’erano misteri in quella morte improvvisa: «L’organismo era già molto debilitato...».

«Chissà se mangiava mai?» «Come? Aveva molti acciacchi. Il cuore era debole. Ci deve essere stata una causa scatenante. Una violenta emozione. L’infarto e poi...»

Non ci furono difficoltà. Il certificato di morte venne subito rilasciato. Più complicato fu predisporre quanto era necessario per la cerimonia funebre e per la sepoltura.

Celia Selfridge non lasciava alcun parente diretto. Di buon grado, Tramma si occupò delle formalità, coadiuvato da Mastro Antipher. Ignorava a quale confessione religiosa appartenesse la defunta. I domestici, interrogati sul punto, non si pronunciarono in modo intelligibile. Conferì, perciò, l’incarico al primo ministro religioso che riuscì ad incontrare. Mastro Antipher, per parte sua, prese accordi con il proprietario di una compagnia di pompe funebri.

L’addio di Celia Selfridge alla Red Pompeian House non fu dei più commoventi. Nel giardino si era composto il corteo funebre. Davanti a tutti, un chierichetto reggeva una croce. Seguiva la bara, portata a spalle da sei robusti individui, che indossavano una specie di divisa scura. Quindi, il sacerdote, imponente e rubizzo, con i capelli rossi. L’uomo di chiesa, non appena arrivato, aveva chiesto a Tramma un bicchierino di “quello buono” altrimenti non sarebbe riuscito a condurre in porto, dato il freddo intenso, l’ufficio funebre. Tariq si era preoccupato di offrire anche una cioccolata calda al ragazzo. Dopo il prete, venivano Pat e Cedric, l’espressione dei quali, sempre piatta ed uguale, poteva essere ora scambiata per un profondo senso di partecipazione alla cerimonia. Ultimi, a qualche passo di distanza, erano Tramma e Mastro Antipher. Alle finestre si erano affacciati tutti gli ospiti della Red Pompeian House. Non c’erano segni evidenti di soddisfazione sui loro volti. Si erano dati, forse, un minimo di contegno, perché erano presenti degli estranei. Non avendo alcun dolore da esternare, stavano lì per controllare che effettivamente la vecchiaccia se ne andasse una volta e per sempre.

Il corteo si avviò, prendendo subito la strada per la vecchia Pompei. Passarono attraverso Porta Marina e ci volle tutta l’abilità dei becchini perché l’entrata nella città non fosse segnata, per la difficoltà del terreno, da una caduta generale. Forse a Celia Selfridge non sarebbe dispiaciuto entrare tra le vecchie case in una bara volante, sia pure per pochi attimi. Anche il sacerdote, come il chierichetto, arrancava e, in più, biascicava qualcosa che non era scritto nel libro che aveva in mano. Lasciata la porta, il cammino divenne molto più agevole. All’irrealtà di quella strana processione tra le vecchie pietre cadenti, faceva da contrappunto l’atteggiamento di Mastro Antipher. Mentre Tramma taceva, quello che si era ribattezzato Titius Caius aveva un atteggiamento assolutamente normale per un funerale. Parlava a voce bassa. «Non ho avuto il piacere di conoscere l’estinta. Però ho sentito ugualmente il dovere di partecipare alla cerimonia. Soprattutto per riguardo a lei, ispettore, che aveva una sincera ammirazione per la signora Selfridge». Avevano, intanto, lasciato alle spalle il Tempio di Giove e stavano per sbucare in via delle Terme. Arrivati alla casa del Poeta Tragico, ebbero l’impressione di essersi smarriti. Data la solennità del posto, ritennero di poter interrompere, un momento, la cerimonia. Si riposarono e confabularono. Il chierichetto si sedette su un gradino. Tramma continuava a stare in piedi con le braccia conserte. Mastro Antipher, più pratico, era al centro dell’improvvisata riunione e prendeva spunti, per la strada da seguire, da una piantina di Pompei, che era in un suo libretto.

Si rimisero in marcia dopo aver ricomposto, come prima, il corteo. Titius Caius si rivolse a Tramma, cercando di mettergli davanti agli occhi quello che aveva in mano: «È una fortuna che abbia portato con me questo volume».

Tramma continuava a guardare fissamente davanti a sé, senza parlare. «È di un certo René Guerdan. Deve essere un francese. Ha visto il titolo? La vita di una città prima della morte. È anche abbastanza intonato alla circostanza. Solo che questo non mi pare possa essere considerato un bel funerale pompeiano. Guardi qui».

Antipher cominciò lui a sfogliare il libro, sempre camminando e parlando. «Qui stiamo praticamente in silenzio, invece, una bella cerimonia come questa, nei tempi andati, era estremamente rumorosa. Davanti a tutti c’è solo il povero ragazzino. Invece, stando a quanto scrive l’autore, sarebbero indicati quattro trombettisti e due flautisti. Noi non avremmo avuto la possibilità, come numero, di arrivare a questo. Ma avremmo potuto mettere Abercrombie come trombettista e Dodge come flautista. Dunque seguivano delle donne in impeccabile vestito nero che gridavano, si battevano il petto e si strappavano i capelli. Molto sugge...» Interruppe a metà la parola perché nella foga aveva messo un piede in fallo e sarebbe caduto a terra, se Tramma, sempre molto composto, non fosse riuscito a riequilibrarlo. Tutti quelli che erano davanti si girarono a guardare, tranne Cedric e Pat. Tutto era già tornato normale, con l’artigiano che parlava e Tariq che sembrava non ascoltarlo. «Molto suggestivo» aveva ripreso l’uomo dai capelli candidi. «Per le donne vestite di nero avremmo potuto impiegare la Bollinger e la Duckworth. Ci avrebbe pensato lei, ispettore, a convincerle ad intonare canti lugubri. Poi, otto uomini, che portavano su una barella il defunto. Non c’era il morto a scatola chiusa, come usiamo noi. Qualcuno, oggi, può sempre chiedersi, ma è sicuro? C’è o non c’è, là dentro? L’estinto giaceva tra i fiori. Nessun problema. Avremmo potuto usare le ginestre finte, di cui mi ha parlato. In bocca il morto aveva una moneta per pagare il passaggio dello Stige. Non mi piace molto, ma avremmo potuto impiegare una sterlina. Non è molto, anche per l’inflazione, ma è il pensiero che conta ... Dietro camminavano i parenti e gli amici. Per i congiunti, Cedric va benissimo e noi siamo amici perfetti».

Erano intanto arrivati in via dei Sepolcri, nei pressi di Porta Ercolano. Gli uomini delle pompe funebri giravano ogni tanto la testa per tenere d’occhio Tramma, alla volontà del quale si appellavano per le ultime incombenze. L’ispettore continuava a camminare impassibile, mostrando che non era ancora giunto il momento. Erano nei pressi dell’esedra della sacerdotessa Mamia, un grande sedile semicircolare, aperto su un lato. La costruzione era sormontata da ciò che rimaneva della tomba degli Istacidi, un tempietto circolare di solo tre colonne. Tramma fece cenno agli uomini di fermarsi. Gli addetti compresero. Posarono la bara a terra ed iniziarono, con difficoltà, lo scavo, proprio al centro dell’esedra.

«L’esedra della sacerdotessa Mamia è un posto splendido. Ottima scelta, ispettore» fece a bassa voce Titius Caius Antifero. «A quei tempi si praticava l’incinerazione. Bruciavano tutto il corpo tranne un dito, che seppellivano». La buca, intanto, dopo un duro lavoro, era pronta. Gli uomini calarono dentro la bara ed attesero. Il sacerdote si avvicinò con il chierichetto, aprì il libro e cominciò a biascicare qualcosa. Intanto, imperterrito, Antipher, sempre sommessamente, leggeva e commentava il suo volume: «Prima di dar fuoco alla pira, un mucchio di legna mista a pece e a papiri, venivano aperti per l’ultima volta gli occhi al defunto». Il sacerdote interruppe la sua lettura e guardò fisso in direzione di Antipher. Questi ammutolì. Poi i due ripresero, quasi nello stesso momento, ciascuno la propria litania. Quella dell’artigiano era più comprensibile a Tramma, perché era vicino a quella fonte. «Anche gli oggetti più cari al defunto venivano messi a bruciare sulla pira». L’uomo di chiesa invitò Tramma a lanciare la prima palata di terra. Tariq, dopo aver compiuto il gesto, ritornò al suo posto. I becchini, intanto, completavano l’opera. Anche Antipher. «Il rogo veniva spento con acqua o vino. Le ceneri erano raccolte in una stoffa bianca ed asciugate al sole. Dopo alcuni giorni venivano messe in un’urna». Guardò fisso il sacerdote. «Non erano presenti sacerdoti a quest’ultima cerimonia».

Tutto era finito. Tariq volle sistemare una semplicissima targa sulla quale era scritto «Celia Selfridge». Se ne tornarono tutti via, in direzione della Red Pompeian House. Tariq mostrò di voler rimanere. Antipher non capì subito che l’amico voleva essere lasciato solo, e si allontanò dopo gli altri. L’ispettore rimase in raccoglimento per qualche istante, poi sistemò le ginestre finte e se ne andò anche lui, lentamente. Quasi a ridosso dell’esedra della sacerdotessa Mamia, la sua attenzione fu richiamata da una semplice tomba, che era anch'essa recente. Si accostò. Non sembrava abbandonata. Era stata curata fino a qualche giorno prima. Tramma scostò un vaso, nel quale c’era ancora un fiore appassito, e lesse un nome: «Cecil Tumbstone».

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