Universale Remedium

IV


Uno strano impulso aveva spinto l’ispettore a ritornare all'antica Pompei. Avrebbe potuto rinviare la nuova visita. Tanto, ormai, la cosa più abbondante di cui disponeva, era il tempo libero. Chissà se avrebbe più rimesso piedea New new Scotland Yard? Si era spesso posto quella domanda. Era, senza dubbio, un atteggiamento illegale, quello dei suoi superiori. Ma lo stipendio gli veniva accreditato lo stesso, con estrema puntualità, attraverso la sua banca. I suoi capi non volevano correre il rischio di trovarselo tra i piedi, ogni volta che c’era da incassare il salario. E allora perché rivolgersi alla magistratura? E con quale risultato? S’era ormai creato un tale intreccio di connivenze tra i vari centri di potere che il tentativo di tornare sarebbe stato inutile. Così aveva lasciato correre. Impiegava il suo tempo in lunghe passeggiate per New London.

La città avrebbe conservato per sempre l’aspetto originario di centro mediterraneo. I colossali lavori per costruire i luoghi e gli edifici più cari della vecchia, cara Londra si erano rivelati una truffa colossale. Dicevano che avrebbero scavato addirittura un canale artificiale per ricreare l’atmosfera del vecchio Tamigi. Erano state panzane di speculatori senza scrupoli, di delinquenti fantasiosi. L’aver voluto ficcare il naso in quegli affari era costato a Tramma il posto a New new Scotland Yard.

Quando aveva conosciuto come le sue tasche tutti gli angoli di quella città malcostruita, gli era venuta una misurata frenesia, come poteva essere una frenesia modulata dal suo carattere, di conoscere nuovi posti. Di altre mete non è che ci fosse grande scelta, considerati i guasti della glaciazione, le difficoltà nei trasporti e le magre risorse a sua disposizione.

Un giorno, aveva buttato lo sguardo su un vecchio segnale stradale arrugginito che indicava la direzione per Pompei. Aveva appreso che, alle rovine della città romana, si erano aggiunte quelle del villaggio moderno. Sembrava che ci fosse, comunque, una sola presenza umana, oltre a qualche rifugio di pastore, costituita da una strana pensione. Si trattava della Red Pompeian House, l’unica attrezzatura ricettiva in un raggio di molte e molte miglia. 

Mentre si addentrava all'interno degli scavi, diceva a se stesso che la scelta di quel posto si era rivelata felice, a giudicare dai primi contatti.

Continuava a girare senza una meta precisa per la città. Si fermava ogni tanto a guardare quello che rimaneva di una casa, di una bottega, di un edificio pubblico. Ad un tratto, gli sembrò di sentire strani rumori da un’area che veniva a trovarsi, in quel momento, alla sua destra. Compì una deviazione rispetto alla direzione che aveva tenuto da un quarto d’ora. Si avvicinò con circospezione al luogo, da dove partivano rumori sordi di picconi che percuotevano il terreno, e fruscianti suoni di terra smossa con vanghe e depositata per formare cumuli sulla neve. Salendo un pochino, Tramma arrivò a dominare una vasta area quasi brulla. Non c’erano le consuete carie, che erano i segni del disseppellimento. La zona era squarciata al centro da un lungo canalone. Ed era proprio da quel canalone che partivano i rumori. Isolati l’uno dall’altro, con la sola eccezione dei Bollinger, che erano natura!mente insieme, gli ospiti della Red Pompeian House erano intenti ad un duro lavoro di scavo. L’area assegnata ad ognuno era rigorosamente delimitata da paletti, uniti tra loro da strisce bicolori. Qua e là c’erano altri buchi abbandonati e non più recintati, segno che quelle esplorazioni venivano condotte da un bel po’ di tempo con una certa metodicità.

Tramma non si sarebbe certo potuto definire un esperto in archeologia, ma il modo di procedere di quelli, che lavoravano non molto lontano da lui, non gli sembrava certamente ortodosso. Tutto aveva l’aria confusa di una caccia ad un tesoro. Il maggiore Abercrombie e Waldo Dodge erano i più accaniti. Attaccavano il terreno con poderosi colpi di piccone, lavorando, poi, vigorosamente di vanga. Dalle zone che erano state assegnate singolarmente ai due, scomparve ogni traccia di neve; ci fu solo un’indistinta fanghiglia. Le ricerche, nel settore dei Bollinger, sembravano coordinate da Mary, che indicava i punti nei quali il marito doveva esibirsi nelle sue prove di forza. Joseph Bollinger, nonostante la temperatura inclemente, era senza giacca e cravatta e mostrava grande perizia nell'operazione di sterro. Tutto questo lasciava chiaramente intendere che l’uomo, al momento della nascita e per un lungo periodo successivo, non aveva vissuto in compagnia di gentiluomini. Dall'aspetto di Mary erano scomparsi i segni del crollo nervoso di poco prima. Si scorgeva in lei una determinazione ad arrivare ad un risultato. Edna Duckworth, unica donna costretta dalle circostanze a dover lavorare da sola, agiva con una scatola nera, alla quale era attaccato, con un lungo filo, un cilindro di acciaio, che passava con mano ferma sul terreno. All'improvviso, lasciò cadere a terra il suo armamentario e raccattò un piccone. Cominciò a darci dentro con l’attrezzo, con una forza ed un’energia insospettata. La donna smise di picconare e si accoccolò a terra, per usare meglio una paletta. Smosse delicatamente il terreno. Anche gli altri si erano accorti di quello che Edna andava facendo. Smisero tutti di attendere alle loro ricerche e rimasero in piedi, ad osservare la donna. Dopo alcuni lunghi minuti, la Duckworth estrasse delicatamente un largo vaso. Lo capovolse per farne uscire il contenuto. Quando il recipiente fu completamente vuoto, prese a frugare tra il terriccio, che era uscito dal vaso. L’indagine doveva aver avuto esito negativo, perché Edna si rialzò e riprese la scatola nera. Tutti gli altri ritornarono al loro lavoro.

Edna Duckworth camminava ora lentamente con la sua macchina radionica. Assorbita nella sua indagine, non si accorse di essere arrivata proprio a ridosso del settore nel quale si svolgeva l’esclusiva attività di scavo di Gordon Abercrombie. Il maggiore avvertì subito il pericolo dell’intrusione nel suo territorio. Si voltò deciso, brandendo minacciosamente il piccone e pronunciando frasi offensive. Gli altri pensionanti si distolsero di nuovo dalle loro occupazioni. Edna rimase immobile, interdetta, mentre l’ufficiale continuava a far percorrere al suo attrezzo brevi traiettorie. Finalmente, la dottoressa si girò di scatto e riprese a camminare, nella sua area, badando bene a non compiere altri pericolosi sconfinamenti. Gordon Abercrombie liberò tutta la forza, che aveva fino ad allora represso, e lasciò che il piccone si conficcasse profondamente nel terreno. 

I Bollinger e Waldo Dodge, non più distratti, ripresero le loro ricerche. L’attenzione di Tramma si appuntò su uno spazio, anch’esso ben delimitato, ma sul quale rimaneva un uniforme strato di neve. Nulla era stato smosso lì. «Quella deve essere la zona assegnata a quel tale Petruchio che, stamattina, non si è presentato a colazione. Strano che non si sia fatto vedere neanche qui».

Intanto, Waldo Dodge, dopo aver controllato che gli altri fossero ben immersi nelle loro attività, aveva lasciato la sua postazione ed aveva attaccato a lavorare in quella di Petruchio. Per un po’ il poeta aveva agito indisturbato senza, peraltro, pervenire ad alcun risultato. Mentre Dodge era intento a rovistare nella terra smossa, era stato aggredito alle spalle dal maggiore Abercrombie. I due erano poi rotolati per terra, avvinghiati. Erano restati abbracciati nel fango per un po’ di tempo. Si serravano ed ognuno impediva con forza all'altro qualsiasi movimento. Quella lotta statica prosciugò le loro forze. Quasi nello stesso momento, i due abbandonarono la presa e se ne stettero, quindi, distesi e doloranti nell’impasto di neve sciolta e terriccio. L’energia riaffluì più velocemente nel maggiore, che diede un grido e spiccò un salto per afferrare il piccone. Con grandissimo sforzo, anche l’altro contendente si preparò all’estrema lotta. I due si fronteggiavano a distanza. Si studiavano. L’ufficiale si dimostrava più sciolto nei movimenti, mentre l’avversario, meno esercitato in quel tipo di combattimento, era legnoso. Dodge non rispondeva neanche agli insulti che gli venivano indirizzati. Lo studio dei contendenti continuò per molto, tanto che Edna Duckworth e i Bollinger, che avevano seguito con interesse le prime fasi della lotta, ritornarono a cercare. Alla fine i due si dovettero decidere. Si avvicinarono ed intrecciarono i due picconi. Dopo di che si dettero da fare per liberare le armi. Proprio in quel momento, al punto giusto, perché ora Dodge ed Abercrombie si sarebbero potuti far male per davvero, ci fu un provvidenziale intervento. Sbucando da non si sa dove, apparve un uomo gigantesco. Aveva i capelli e la barba color rame ed i lineamenti squadrati, massicci. L’uomo agì con molta determinazione. Si avvicinò ai contendenti e, con un grido, li obbligò a fermarsi. La Duckworth e i Bollinger, a quel punto, avevano ripreso la veste di spettatori. Il maggiore e il poeta rimasero immobili, con i picconi intrecciati. L’uomo dal cipiglio barbarico, che non era certamente Petruchio, riuscì a strappare dalle mani dei due le armi improprie, senza provocare guai. Gli ex lottatori tornarono immediatamente al loro posto e ripresero lo scavo con altri mezzi.

«Ma questo è un modo scandaloso di fare delle ricerche archeologiche» considerò con sincero disgusto Tramma, prima di abbandonare la postazione e riprendere il suo viaggio nella città morta.

Badando bene a non scivolare, Tariq Tramma discese tutta la gradinata. Già era pericoloso scendere in tempi normali, figurarsi ora che gli scalini erano coperti di neve.

Il Teatro Grande era stato costruito sfruttando il ripidissimo pendio di una collina. Tariq si fermava ogni tanto e non fissava l’ima cavea, dove erano le gradinate più basse, per non perdere il precario equilibrio. Si girava, invece, a guardare, in alto, la successione delle sue impronte, formate con uguale pressione sulla neve. Riuscì, infine, ad arrivare all'orchestra, il semicerchio che era a ridosso della scena e che confinava, dall'altro lato, con l’ima cavea. Si voltò per cogliere il meraviglioso colpo d’occhio di tutte le gradinate innevate, che incombevano. Volle provare anche l’ebbrezza dell’attore. Percorse in uscita una porta laterale, che consentiva l’accesso all'orchestra, cambiò direzione e si trovò infine sulla scena. Dal centro, dove si era in un primo momento messo, si portò ad un lato estremo. Chiuse gli occhi. Li riaprì, quando uno strano tepore lo invase, scacciando ogni sensazione di freddo reale. Restò a fissare un punto indistinto nel vuoto. Non c’era più neve, il cielo non era più grigio e plumbeo. Un sole, forte e caldo, faceva filtrare i raggi attraverso un immenso velo di stoffa, che copriva tutto il teatro. Per proteggere gli spettatori dalla calura, gli addetti bagnavano i gradini con secchi d’acqua allo zafferano. I venditori di cibarie, di bevande e di cuscini, riempiti con foglie e spighe di giunco, si affrettavano, andando là dove essi erano chiamati. Tramma avvertiva un grande tramestio al di sotto della scena. Erano in corso gli ultimi preparativi prima dello spettacolo. Ecco, infatti, che, al contrario di quanto si pratica nei teatri moderni, il sipario finalmente scese verso il basso. L’uomo-programma apparì sulla scena per proclamare con voce stentorea il titolo e l’autore della rappresentazione. Entrarono in azione i flauti, precedendo l’inizio della recitazione. Gli attori agivano sulle tavole di legno. Nella visione di Tramma non c’era un filo logico che unisse quei brandelli di vita che gli artisti andavano imitando sulle tavole, lì vicino a lui. Vedeva solo indistinte macchie di colore che si muovevano. Ad un tratto, sentì rumori di tuoni e percepì la luce dei lampi. Un macchinario teatrale li aveva prodotti per annunciare l’apparizione di una divinità. Tra cigolii, un argano fece calare dall'alto un attore. La mirabile finzione teatrale lasciò, per una volta, completamente ammutoliti gli spettatori. La suggestione dell’invenzione scenica, però, fu tale da rompere quasi subito i deboli argini della compostezza. Dal popolo minuto, che si ammassava nella parte alta del teatro, si levarono, presto, strepiti, applausi e grida di consenso. Dopo di che, anche il contegno più serio delle prime file, dove si ostentavano vesti eleganti, capelli splendidamente acconciati e preziosi monili, venne meno. Tramma tralasciò di seguire il confuso procedere delle macchie di colore sulla scena e appuntò la sua attenzione su quello che era al di là della scena. Il ruolo di spettatore degli spettatori gli era più congeniale. Passò in rassegna le gradinate, finché tutti i visi che aveva osservato si sommarono in unico volto, che rappresentava l’intero pubblico. Un’unica faccia sovrastava la parte centrale della cavea. I lineamenti volgari del faccione mutavano espressione seguendo l’azione dei teatranti. Grandi sopracciglia si aggrottavano rivelando sbalordimento per il sapiente gesticolare delle mani degli interpreti. Il faccione seguiva con disappunto gli eventi drammatici e manifestava il suo mancato gradimento con urla di disapprovazione. Il disappunto cambiava in plateali cenni di consenso, quando la trama assumeva aspetti farseschi. Allora la bocca si apriva in una risata irrefrenabile e dagli occhi scendevano, copiose, lacrime di contentezza. Nelle pause, la bocca si spalancava ed all'interno piovevano pezzi enormi di cibo condito con salse rivoltanti, dall'odore pestilenziale. La masticazione successiva faceva tremare tutta la struttura muraria
e provocava cupi rimbombi nelle opere di legno.

Gli occhi di Tramma, ancora fissi nel vuoto, percepirono una macchia bianca che si spandeva, nell'avvicinarsi al centro della scena. Poi, più nulla. Tutti i colori si erano spenti e non rimase altro che un indistinto globo grigio. 

Non c’era più alcun rumore. Qualcosa di umidiccio lo toccava alla mano destra. Finalmente, Tariq staccò gli occhi dal punto in cui li aveva tenuti fissati fino ad allora. Il teatro era di nuovo desolato, sotto la coltre bianca. Guardò la mano. «Sei tu, Platone. In effetti, mi sembrava di aver avvertito la tua presenza. Mi dispiace, ma non ho proprio pensato a portarti qualcosa da mangiare» fece Tramma, premuroso.

Il caprone si voltò per ritornare verso il centro della scena. Qui prese a colpire con lo zoccolo qualcosa di rilevato. Dava colpi cadenzati, né troppo forti, né troppo deboli. Venne finalmente alla luce una scatola nera, abbellita da numerosi fregi cromati. Con un calcio più forte, ma tale da non arrecare alcun danno all'oggetto, Platone mandò la scatola in direzione di Tariq. Questi rimase per un momento interdetto, poi si chinò a raccoglierla. Era un piccolo registratore. Tramma fece scorrere un dito sui vari tasti, che si trovavano su uno dei lati più corti dell’apparecchio. Questo risaliva a prima della glaciazione. Era ben conservato, anche se aveva graffi e macchie brunastre, qua e là sulla carrozzeria. Maneggiandolo, fece scattare inavvertitamente un tasto. Il coperchio si alzò di scatto e la cassetta, che conteneva il nastro magnetico, cadde sulla neve. Intanto, Platone si era accoccolato al centro della scena, come se aspettasse un evento teatrale, meno fantasioso di quello che aveva visto, spettatore solitario, l’uomo. Forse il becco era più realista dell’ispettore. Questi rimise a posto la cassetta e si accertò che le pile fossero ancora funzionanti. Fece scorrere il nastro fino ad arrivare al suo inizio. Si dispose di nuovo all’estremità della scena con l’apparecchio messo di traverso, in modo che l’altoparlante andasse idealmente a colpire, con le sue vibrazioni, il centro della cavea. Il volume era al massimo. Il teatro era ora disadorno. Nessun pannello dipinto, nessuna macchina teatrale, o costruzione in legno, o sipario. Solo nude pietre corrose dal tempo, e neve. Il sole non filtrava dalle nuvole basse. Non c’era il vociare di un pubblico ineducato, ma solo la lievissima nebbia che si alzava da due esseri, un uomo ed un animale, che respiravano. Tramma premette un pulsante. Dopo il lungo frusciare di un nastro non inciso, si sentì una profonda, asmatica inspirazione.

«Amici, romani, concittadini, prestatemi le vostre orecchie. Sono venuto a seppellire Cesare, non a tesserne l’elogio». L’orazione funebre di Antonio non poteva trovare sfondo più adatto. Il propagarsi di quelle parole sembrava non fosse sconosciuto in quel luogo. Forse, nel Teatro Grande, il passo della tragedia era già risuonato al naturale, prima che venisse ora replicato dall'apparecchio inanimato. La voce ferma ed accorata era quella di un vecchio. Più che dignitosa la recitazione, al livello degli attori shakespeariani di buona scuola. Un lieve, ma percettibile accento straniero non inficiava la validità del monologo tragico. «Il male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto insieme alle loro ossa». Le parole fluivano e Tramma, cullato da esse, ebbe la visione di una lunga ombra che si allungava sulla cavea, traendo origine da una figura esile, ossuta. L’attore era immobile. Solo il petto e le labbra si muovevano.

«Io non parlo per dar la smentita a quello che ha detto Bruto. Parlo soltanto di quel che so. Tutti l’avete amato, e ne avevate ragione. Quale ragione vi impedisce ora di pianger per lui? O discernimento, sei fuggito a rifugiarti presso gli animali bruti, e gli uomini hanno perduto la ragione. Vogliate scusarmi. Il mio cuore si trova là nella bara con Cesare...». La voce, con il fluire delle parole, si era fatta meno ferma. L’attore qua e là aveva incespicato. Platone drizzò la testa. Il registratore prese a gracchiare, come se il nastro avesse impressionato la lunga serie di colpi di tosse di un vecchio. Tramma e Platone aspettavano che quei suoni strazianti terminassero di essere amplificati, rincorrendosi tra le vecchie pietre. L’animale, ad un tratto, divenne irrequieto mettendo sul chi vive l’ispettore. Da una porta laterale apparì Edna Duckworth, che diede un’occhiata alla scena e, poi, proseguì.

Tramma, non appena scorta la donna, aveva spento il registratore. Mentre la Duckworth usciva attraverso un’altra porta, fece il suo ingresso il maggiore Abercrombie e, subito dopo, Waldo Dodge. Tutti e due portavano picconi e vanghe in spalla. Si sentivano le voci ed i passi dei Bollinger che si avvicinavano. Tramma decise di andarsene, portando con sé il registratore. Rimase solo Platone sulla scena.

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