Universale Remedium

VI


Waldo Dodge avanzava all’interno di quella specie di canalone, che era il risultato delle prime opere di scavo, iniziate e quasi subito abbandonate dal professor Tumbstone. Aveva lasciato alle sue spalle la zona recintata a spicchi, dove si svolgeva, in limiti chiusi e controllati, lo scavo collettivo. Dalla sera prima, aveva simulato un’indisposizione, tale da non consentirgli di presentarsi ai pasti comuni. Beninteso, aveva da tempo rifornito la sua stanza di generi commestibili. Era un piano a lungo meditato. Alle prime luci dell’alba, si era calato con una corda al di fuori della Red Pompeian House, ed aveva preceduto, quel giorno, tutti gli altri ospiti. Aveva, finanche, messo stracci appallottolati sotto le coperte del suo letto, per sfuggire, almeno, ai controlli più superficiali. Aveva indossato anche una tuta da meccanico stinta che, nella sua immaginazione, doveva essere una divisa mimetica, per di più di qualche misura superiore alle esigenze della sua taglia.

Era evidente che Dodge non voleva incorrere, ancora una volta, nei rimproveri della signora Selfridge. D’altronde, non voleva neanche correre il rischio di suscitare le ire del maggiore Abercrombie. Il maggiore avrebbe potuto individuarlo anche con un binocolo. Perciò aveva accuratamente alterato la sua fisionomia. Era diventato più grasso. Al di sotto della tuta si era imbottito di strati di lana lavorati nei modi più svariati, dalla sciarpa, alle maglie di tutte le fogge. Tutto ciò accentuava il suo aspetto un po’ tozzo di intellettuale non emaciato.

Le sue mani non portavano segni di fatica fisica. Sul volto squadrato c’era un’espressione quasi folle, non per naturale predisposizione, ma per una consumata abitudine a ragionare sui problemi della cultura, senza arrivare ad utili e definitivi risultati. Nonostante la tuta e la vanga, che teneva appoggiata su una spalla, era un intellettuale dagli occhiali cerchiati da una montatura dorata di tipo antico. Quella degli occhiali era stata un’altra geniale idea per mimetizzarsi. Pur essendo un intellettuale, non portava, infatti, occhiali. L’averli, mentre simulava, con il resto dell’abbigliamento, di essere un meccanico, avrebbe creato senz’altro confusione in chi si fosse messo ad osservarlo da lontano.

L’attenzione di Waldo fu, all’improvviso, attirata da un rumore di pietre e di terriccio che cadevano, alle sue spalle. Si voltò e ritornò sui suoi passi fino al punto in cui una parete della trincea non era più compatta, ma rivelava l’apertura di un locale non molto grande. Con circospezione, l’uomo si introdusse all’interno. Accese una lampada tascabile e cominciò a valutare la portata della sua inaspettata scoperta. Sembrò, alla fine, non molto convinto che si trovasse in un posto che potesse interessarlo. Si affacciò all’apertura e sollevò un po’ all’indietro il berretto a scacchi con visiera, per grattarsi meglio con la mano libera, proprio sopra alla tempia. Guardò diffidente da dove provenivano dei passi. Si rasserenò non appena vide chi era quel passante che camminava tranquillamente, con le mani ben protette nelle tasche del pesante giaccone di montone.

«Ha scoperto qualcosa?» chiese Tramma.

Waldo Dodge mostrava modi ben diversi da quelli che aveva rivelato nel corso del loro primo incontro. L’esordio pastorale poteva considerarsi completamente chiuso. L’argomento “capre” che, forse, era l’unico in grado di produrre effetti rilassanti sul poeta, sembrava accantonato. Decisamente, Waldo aveva ben altre preoccupazioni. Si rivolse bruscamente all’ispettore: «Non dirà agli altri e, soprattutto alla vecchiaccia, che mi ha visto qui? Non mi tradirà ancora una volta?» «Non ripeterò l’errore». L’altro incalzò: «Posso avere la sua parola d’onore». «Mi sembra superfluo. Ma ce l’ha».

«Ispettore, è vero che, in pratica, non ha più nulla a che spartire con New new Scotland Yard?».

«In pratica sono in vacanza. Perché mi fa questa domanda? C’è qualcosa di illecito ...».

«Niente di illegale. Non le avrei rivolto il quesito. L’avrei messa inutilmente in allarme». Poi, dopo lunghi minuti di silenzio, Dodge disse a bruciapelo: «Secondo lei, questa può essere considerata la casa in un medico?» Tramma fu preso alla sprovvista. Poiché il suo interlocutore si era scostato, entrò per dare a sua volta un’occhiata. Per una stupida associazione di idee gli venne in mente e paragonò la cavità allo studio e alla sala d’aspetto del suo medico a New London.

«No, non mi sembra» concluse, a voce alta, l’ispettore.

«È quanto avevo pensato anch’io» fece Waldo. Il poeta mostrò di voler riprendere il suo cammino. Tariq, però, dopo essere uscito completamente dal vano, lo bloccò per rivolgergli delle domande. Dodge si arrese subito: «Dica, ispettore».

«Ha praticato lei questa apertura?».

«Certo che no. Quando hanno scavato hanno commesso degli errori. Ne hanno fatti tanti. Perciò smisero. Dovevano fare solo un primo lavoro di sgrossamento, togliendo terra dal tracciato delle strade, e, invece, in qualche punto sono andati troppo all'interno. In certe zone hanno addirittura sfondato dei muri».

«Non mi pare che lei e i suoi ‘amici’ abbiano una cura maggiore. Ho visto ieri come lavorate».

«Ha visto tutto?» fece Dodge esitante.

«Tutto» dichiarò Tramma seccamente.

«Quell'Abercrombie è un pazzo violento. Sono tutti pazzi qui. Torniamo a quello che mi ha chiesto prima. Qui hanno solo sfiorato l’apertura, dove in origine c’era la porta. Con il tempo e con queste condizioni climatiche è caduto anche l’ultimo strato di terra». Si spinse, di nuovo, all’interno del vano che illuminò anche verso l’alto. Ritornò sulla soglia e riprese:

«L’interno è solo parzialmente invaso dal materiale vulcanico. Probabilmente il tetto dovette resistere all’eruzione. Si deve essere conservato molto bene». Waldo Dodge fece un brusco cenno del capo e riprese a camminare. Tariq, preso alla sprovvista, borbottò, a sua volta, un saluto e lo seguì con lo sguardo, fino a perderlo definitivamente di vista. Quella specie di trincea faceva qualche curva, inerpicandosi lievemente in salita. Il passo dell’ispettore era, poi, ancora più lento di quello che lo precedeva. Tariq continuò a camminare senza una meta precisa. Aveva sempre le mani ficcate nelle tasche del giaccone e, sotto le braccia, spuntavano, ben serrati, per non perderli, due volumi.

I libri, per le continue consultazioni di Tariq, cominciavano già ad annerirsi. Si trattava di un vocabolario latino e di un testo sulla vita quotidiana a Pompei, prima dell’eruzione.

Quando fu arrivato in una specie di largo, l’ispettore si fermò. Una sensazione strana, un impulso si era fatto sempre più prepotente. C’era qualcosa che lo spingeva a ritornare là dove si era compiuta l’occasionale scoperta di Waldo. Ritornò sui suoi passi e si sorprese con un passo più affrettato, quasi agitato, per rivedere, più presto che era possibile, quel luogo.
Non aveva una lampada tascabile, dovette perciò procedere a tentoni, cercando di abituarsi a quel poco di luce che penetrava nel vano. Appena vi era entrato, si era come tranquillizzato. Aveva preso a studiare l’ambiente, dando piccoli colpi sulle pareti. Sentiva un suono sordo, come di vuoto. Intravide, in un angolo, una specie di scatolone di terra. Si inginocchiò vicino ad esso e battette con le nocche. Avvertì ancora il vuoto.

Provò più forte, fino a che la terra cadde e si aprì un varco. Mise una mano e trovò qualcosa. Tirò delicatamente. Era una tavoletta ricoperta di sabbia. La prelevò con cura. Uscì all’aperto. Gli sembrò di leggere nella sabbia alcune parole. Riprese i suoi libri, che aveva prima deposto per terra. Cominciò con il consultare il vocabolarietto. Riuscì, infine, nella traduzione.

«La mia vita terrena finirà al tramonto sotto la statua di Licia Cocconia. Fuggi. Sei in grave pericolo. Sinopis Aegyptius».

Tariq rimase per un po’ pensieroso. Poi passò ad esaminare l’altro volumetto, quello che illustrava la vita degli antichi abitanti di Pompei. Trovò un primo elemento di comprensione. Quella tavoletta coperta di sabbia era usata per lo studio della geometria. Su di essa si disegnava, con un bastoncino, per la rappresentazione delle figure. «Sinopis Aegyptius, studioso di scienze esatte» disse ad alta voce. «Peccato che qui non ci siano più archeologi al lavoro. Sicuramente avrebbero chiamato questa la casa del matematico». Riprese, poi, pensoso, il suo cammino senza meta. Rifletteva sulle preoccupazioni che avevano turbato un uomo di scienza di tanti secoli prima. E a chi era diretto il messaggio?

La incontrò in giardino. Tramma rientrava, modera-tamente eccitato, per le sue recenti scoperte. Celia Selfridge, invece, cercava di riscaldarsi, ben coperta, alla luce di un pallidissimo sole.

«Ispettore, non cerchi di infilarsi a razzo nella porta. Per favore, non dimostri con tanta platealità che non intende stare ad ascoltare una vecchia signora, così tranquilla e ben disposta verso l’umanità».

Celia ammannì a Tramma il massimo che era in grado di produrre quanto a sorrisi smaglianti.
Tariq si fermò, mostrando un’educata rassegnazione.

«Di Petruchio non abbiamo ancora notizie. Comincio ad essere preoccupata. All'inizio avevo pensato a un suo comportamento un po’ strambo. Sa, si tratta pur sempre di un artista. Ma la sua assenza si prolunga da troppo. Anche se ci avesse voluto lasciare, magari per ritornare a New London, a questo punto ce lo avrebbe fatto sapere. Non ha dato nessuna disposizione per le sue cose, che sono ancora qui. Come vede, anche se non sembra, ho a cura il benessere e le sorti dei miei ospiti. Questa è una pensione all'antica. Ora dovrei essere melliflua, per chiedere un favore. Ma non mi piace fare questo. In quali rapporti è con New new Scotland Yard? Penso pessimi. Perché sarebbe opportuno che lei chiedesse ai suoi ex colleghi di dare una guardatina in giro. Bisognerebbe sapere dove si è andato a cacciare il nostro Petruchio».

L’uomo rimase pensoso. Se era seccato per le affermazioni della vecchia, non lo dimostrava: «Tutti i gradi alti sono praticamente fuori questione» cominciò ad enumerare. «Di quelli a livello intermedio, pari al mio, neanche a parlarne. Alla gran massa dei subordinati sono completamente antipatico. Però... c’è il mio ex collaboratore. Di lui, se si riesce a farlo lavorare, ci si può fidare. So per sicuro, però, che in questo periodo è ammalato. Deve fare certi lavori in campagna, mi pare. Quindi, non posso esserle utile».

La donna borbottò: «Da una parte, mi dà una buona notizia, perché mi conferma che, praticamente, non si può accostare a New new Scotland Yard, pena l’essere estromesso attraverso la finestra. Ma accolgo questo dato di fatto anche con una punta di contrarietà. Purtroppo, non si può fare niente per muovere le acque, discretamente, negli ambienti di polizia».

«Potrebbe rivolgersi direttamente lei a New new Scotland Yard?».

«Lasci perdere questi consigli e non mi faccia arrabbiare» replicò bruscamente Celia. Poi acquistò un’espressione cattiva. «Non ha più nessuno al mondo, vero? Ha perso tutti i suoi cari a causa della glaciazione. È una tragedia comune a molte persone al giorno d’oggi. Molta gente vive in uno stato di perenne dolore e non può certamente desiderare di prolungare la propria esistenza. Non è vero?». 

Tramma, visibilmente contrariato, infilò d’un balzo la porta di ingresso. La vecchia gridava alle sue spalle: «La sua presenza qui è doppiamente gradita. Lei non può assolutamente interferire».

Gordon Abercrombie, nonostante avesse lasciato indietro i cinquanta anni da un bel pezzo, manteneva ancora un fisico invidiabile. Non un etto di grasso traspariva dalla tuta di ginnastica che, sebbene fosse felpata, era pur sempre leggerina per quelle latitudini. Correva impettito all’interno della Grande Palestra. «Ventesimo giro» disse ad alta voce, scandendo il passaggio vicino ad una colonna posta di traverso, che costituiva il suo punto di riferimento.

Quand’ebbe ricordato a se stesso che aveva terminato il venticinquesimo percorso, rallentò e trotterellò in diagonale, fino ad arrivare quasi al centro dello spazio delimitato dalle colonne. Iniziò una serie di saltelli e, quando ne ebbe fatti tanti quanti se ne era prescritti, cominciò una serie interminabile di flessioni e di altri esercizi.

Era di statura superiore alla media. Dimostrava, anche nei minimi particolari, un’estrema cura della sua persona e del suo abbigliamento. Certe scelte: un tipo di baffetti sottili, un profumo intenso usato con generosità, i capelli curati e tinti per nascondere quelli bianchi, ne facevano un ufficiale britannico di tipo particolare. Anzi non aderiva, per quei dettagli, al cliché corrispondente ad un militare di Sua Maestà. In più di un paese straniero, specie in quelli che erano solitamente visitati da eserciti invasori, era stato preso per un ufficiale della Legione Straniera.

Mentre piegava il busto e portava la testa tra le gambe divaricate, intravide Cedric, malamente nascosto dietro una colonna.

Gordon saltò in piedi come una molla, interrompendo la sua frenetica attività fisica.

«Esci fuori di lì, babbeo». 

Cedric fece due tranquilli passi e si mostrò completamente. La sua figura gigantesca non sfigurava in confronto all'enorme colonna.

Abercrombie fece una rapida valutazione delle forze in campo nella Grande Palestra e cambiò immediatamente l’oggetto dei suoi attacchi:

«Quella vecchia pazza maligna. Le avevo dato la mia parola d’onore. La parola di uno che è stato ufficiale di Sua Maestà. Non sono un farabutto falso come quel dannato poetastro amico delle capre. Le avevo assicurato che sarei venuto tra queste pietre marce a fare della sana ginnastica. Non è leale mandarmi Cedric appresso. Io non esco dalla zona che mi è stata assegnata. Capito?». Per calmare la rabbia cominciò a correre di nuovo, fuori programma.

Cedric, intanto, si era di nuovo approssimativa-mente nascosto dietro la colonna.

«Non se ne può più di questa vita. Ora si è messo tra i piedi quel dannato di un pakistano. Meno male che non è in grado di nuocere, perché l’hanno sbattuto fuori dalla polizia. Era ora. Hanno capito, finalmente, che gente di quelle origini non può assumere posizioni di rilievo, tali da infastidire la comunità bianca».

Gordon Abercrombie conosceva perfettamente il proprio fisico e si sottoponeva a sforzi che era in grado di fronteggiare. Quella volta, però, la furia improvvisa lo aveva indotto a strafare. Scoppiò e si buttò a terra sfiancato. Data l’inclemenza del tempo, quella orizzontale non era tra le posizioni più consigliabili. Il maggiore dovette risolversi ad alzarsi e a sedersi con la testa tra le mani. Ora era arrabbiato anche per l’improvvisa caduta di tono, dimostrata, per di più, ad un estraneo. Con un incredibile sforzo di volontà si rialzò e si avvicinò alla colonna spezzata, che giaceva di traverso all’interno dell’area scoperta nella costruzione. Chiuse gli occhi per concentrarsi. Contrasse i muscoli e poi liberò l’energia. Colpì con il taglio della mano la colonna e gridò. Un rumore secco segnò l’aprirsi di una netta frattura nel manufatto. Gordon saltò alla sua destra e colpì di nuovo la colonna, urlando. Ripeté più volte la formidabile mossa. Quand’ebbe finito, indietreggiò di qualche passo per contemplare la sua opera. Ammirò soddisfatto il suo capolavoro, affettato a mani nude.

«Avrai visto molte cose» disse alla colonna «ma mai un ufficiale dei gurkha arrabbiato». Anche se gli era rimasto del risentimento, ora era certamente più tranquillo. Se ne tornò alla pensione impettito. Intorno al collo aveva un asciugamano arrotolato. Con la mano destra reggeva una borsa sportiva, che aveva una scritta, ormai stinta, sui due lati più lunghi. Cedric uscì dal suo nascondiglio approssimativo e cominciò a seguirlo ad una certa distanza.

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